mercoledì 31 luglio 2013

BALLATA


Sul corso c’era una cabina del telefono. La porta si apriva e si chiudeva di continuo. 


Le persone discutevano dei loro affari, telefonavano a svariati uffici, combinavano appuntamenti, chiedevano prestiti agli amici o tormentavano, con la loro gelosia, la persona amata.
In un soleggiato pomeriggio d’estate il poeta entrò nella cabina. Telefonò ad un redattore e disse: Ho gli ultimi quattro versi! - e da un foglio tutto spiegazzato li lesse.
Ahimé, come sono deprimenti! - disse il redattore - Riscrivili, ma che siano molto più allegri.
Il poeta ebbe un bell’accampar ragioni, ma invano.
Posò rassegnato il ricevitore e si allontanò.
Per un po’ non arrivò nessuno, la cabina rimase vuota.
Poi comparve una signora di giovane età, molto formosa e con un chiassoso vestito a grossi fiori.
Voleva aprire la porta della cabina.
Questa dapprima non si aprì, ma poi si spalancò all’improvviso cosi da respingere la signora sulla strada.
Al tentativo successivo la porta rispose in modo tale che sembrò quasi affibbiarle un vero e proprio calcio. La signora barcollò all’indietro aggrappandosi alla cassetta delle lettere.
Erano sempre più numerosi, ora, quelli che accorrevano, facevano commenti sulla cabina, sulle poste e sulla signora dai grossi fiori.
Alcuni pensavano che la cabina fosse attraversata dall’alta tensione.


La cabina ascoltò per un po’ muta quelle strane congetture, poi si girò e si avviò con passo quieto per la via.
Guardava le vetrine.
Indugiò davanti un negozio di gelati, alcuni la videro entrare anche in una libreria.
Vicino le rovine dell’antico monastero vide un’altra cabina telefonica.
Andò oltre, poi si voltò e con discrezione, ma assiduamente, cominciò ad occhieggiarla.
Passò la notte in un giardino di rose, poco distante.
All’alba, era salita su per il monte poi era discesa sul versante opposto ed aveva imboccato la strada nazionale.
Molto fuori città, oltre le ultime case, esiste un campo di fiori selvatici, piccolo ed appartato fra gli alberi ad alto fusto, come un laghetto di montagna.
E nel cuore dell’estate, l’erba, la gramigna ed i fiori, arrivavano fino alla cintola.
In questo luogo si era installata la cabina.
I gitanti che capitano lì ogni domenica ne sono molto contenti.
Se viene loro in mente di fare uno scherzo a qualcuno che sta ancora dormendo il sonno del giusto, o se ricordano improvvisamente di telefonare a casa per avvertire che mettano sotto lo stuoino la chiave dimenticata,
entrano nella cabina e, mentre i fiori di campo dal lungo stelo si piegano verso di loro sulla porta,
prendono in mano il ricevitore.
L’apparecchio tuttavia non dà linea.


Si sentono invece nel ricevitore, ripetuti di continuo,
quattro versi, molto sommessi, come di violino in sordina.” 
 (Istvan Orkeny)





La poesia sopravvive agli uomini, alla memoria, alle cose, probabilmente al mondo ed alla vita.

Seppure, un giorno, anche questo file dovesse bruciare,
un’eco di sommessi versi continuerà a fluttuare,
esitando in eterno.

Tra l’aria fumosa ed acre.


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