A me non piace l'horror, lo splatter, la violenza gratuita. Un genere - specie cinematografico - che sembra aver preso piede e autorità. Eppure sono un fan di Stephen King, e leggo cose particolari - come questo incredibile raccontino di Gaimon - che travalicano il convenzionale senso dell'horror rendendolo Arte pura.
E vorrei, in qualche modo, invitarvi alla meraviglia.
GLI ALTRI
"Il tempo è fluido, qui", disse il demone. Sapeva che era un demone nel momento in cui lo vide. Lo sapeva, proprio come sapeva che il posto era l'Inferno. Né l'uno né l'altro lasciavano dubbi sulla loro identità.
La stanza era lunga e il demone aspettava accanto a un braciere fumante in fondo. Una moltitudine di oggetti erano appesi alle pareti color pietra, del tipo che non sarebbe stato saggio o rassicurante ispezionare troppo da vicino. Il soffitto era basso, il pavimento stranamente inconsistente.
"Avvicinati", disse il demone, e lui si avvicinò. Il demone era nudo e scarno. Era profondamente segnato e sembrava che in un lontano passato qualcuno lo avesse scuoiato. Non aveva orecchie, né genitali. Le sue labbra erano sottili e austere, e i suoi occhi erano occhi di demone: avevano visto troppo e si erano spinti troppo in là, e sotto il loro sguardo lui si sentì più insignificante di una mosca.
"Che succede adesso?" chiese.
"Adesso", rispose il demone, con una voce che non esprimeva dolore, né sollievo, soltanto una monotona e spaventosa rassegnazione, "verrai torturato".
"Per quanto tempo?"
Ma il demone scosse la testa e non rispose. Camminò lentamente rasente il muro, osservando prima uno degli attrezzi appesi, poi un altro. In fondo al muro, vicino alla porta chiusa, c'era un gatto a nove code di fil di ferro. Il demone sollevò una mano con tre dita e lo prese, poi tornò indietro, portandolo con reverenza. Posò i rebbi metallici sul braciere e li osservò mentre cominciavano a riscaldarsi.
"E' una cosa disumana."
"Sì."
Le punte delle code di gatto brillavano di un'arancione opaco.
Alzando il braccio per sferrare il primo colpo, il demone disse: "In futuro ricorderai questo momento perfino con piacere".
"Stai mentendo!."
"No", rispose il demone. "La parte successiva", spiegò un momento prima di abbattere il gatto, "sarà peggio". Poi i rebbi del gatto colpirono la schiena dell'uomo con uno schiocco e un sibilo, lacerando i costosi vestiti, bruciarono e squarciarono e dilaniarono, e lui, non certo per per l'ultima volta in quel luogo, lanciò un urlo.
Alle pareti erano appesi duecentoundici congegni, e col tempo li avrebbe sperimentati tutti. Quando, finalmente, anche la Figlia della Zitella, che l'uomo aveva imparato a conoscere intimamente, fu ripulita e riappesa al muro alla posizione duecento e undici, l'uomo devastato bisbigliò con le labbra distrutte: "E adesso?"
"Adesso", rispose il demone, "inizia il vero dolore".
E così fu
Ogni azione che aveva compiuto, e avrebbe fatto meglio a non compiere. Ogni bugia raccontata - a se stesso o ad altri -. Ogni piccolo ed ogni grande dolore che aveva inflitto. Dovette tirar fuori tutto, dettaglio dopo dettaglio, centimetro dopo centimetro. Il demone gli strappò di dosso il velo dell'oblio, mise a nudo la verità, e questo fu più doloroso di ogni tortura.
"Dimmi cosa hai pensato mentre lei se ne andava", disse il demone.
"Che mi stava spezzando il cuore."
"No", rispose il demone, senza odio, "non è vero". Lo fissò con gli occhi inespressivi e l'uomo dovette distogliere lo sguardo.
"Ho pensato che non avrebbe mai scoperto che andavo a letto con la sorella."
Il demone sviscerò la sua esistenza, momento per momento, istante dopo terribile istante. Andò avanti per cento anni, forse, o mille - avevano tutto il tempo che c'era mai stato, in quella stanza grigia - e verso la fine si rese conto che il demone aveva ragione. La tortura fisica era stata più clemente.
E poi finì.
E una volta finito, ricominciò. Ed ogni volta con una consapevolezza nuova, che in qualche modo rese tutto, ogni volta, ancora peggiore.
Adesso, mentre parlava, si odiava. Non c'erano bugie, né scuse, non c'era spazio per nulla che non fosse dolore e rabbia.
Parlava. Aveva smesso di piangere. E quando finì, mille anni dopo, pregò che il demone si avvicinasse al muro e tirasse giù il coltello per scuoiare, o la pera orale, o lo schiacciadita.
"Ancora", disse il demone.
Lui urlò. Urlò molto e molto a lungo.
"Ancora", disse il demone, quando ebbe finito, come se cominciasse in quel momento.
Era come sbucciare una cipolla. Ripercorrendo ancora una volta la sua vita, ne comprese le conseguenze. Scoprì il risultato delle sue azioni; azioni compiute ciecamente; scoprì quanta sofferenza aveva inflitto al mondo; danni arrecati anche a persone che non aveva mai conosciuto, né incontrato, né mai visto.
Fu la lezione più dura, fino a quel momento..
"Ancora", disse il demone, mille anni dopo.
Lui si accovacciò per terra, accanto al braciere, e dondolandosi piano, con gli occhi chiusi, raccontò la storia della sua vita, rivivendola così come la raccontava, dalla nascita alla morte, senza cambiare nulla, senza tralasciare nulla, affrontando ogni cosa. Aprì il suo cuore.
Alla fine si sedette schiena eretta, con gli occhi chiusi, aspettando che la voce ripetesse: "Ancora". Ma tutto taceva.
Aprì gli occhi. Lentamente si alzò in piedi. Era solo.
In fondo alla stanza c'era una porta e, mentre la guardava, la porta si aprì.
Un uomo varcò la porta. C'era terrore sul volto dell'uomo, arroganza e orgoglio. L'uomo, che indossava abiti costosi, avanzò esitando e poi si fermò.
Quando lo vide comprese.
"Il tempo è fluido, qui", disse al nuovo arrivato.