sabato 28 febbraio 2015

MOMENTO



C'è un momento, nella tua vita, 
in cui ti sembra di decidere per sempre. 

In realtà è arduo 
che la tua decisione per sempre, 
riveli il suo momento.

venerdì 27 febbraio 2015

UN TRUCCO PER POTER SCRIVERE


Stamani ascoltavo Gallucci nella sua rubrica La lettura su Canale 5 dove quotidianamente presenta scrittori più o meno famosi e relativa loro ultima pubblicazione.

Oggi era il turno di una francese di cui non ricordo neanche il nome (ma non è questo il nocciolo) e della sua saga familiare edita in tre libri, una signora truccata e sbiadita che mi ispirava, in realtà, ben poco.

E alla domanda di Gallucci su come riuscisse ad essere così prolifica

- mentre lavavo i piatti, pensavo a cosa preparare per il pranzo da portare in ufficio per me e la mia signora, cogitavo sul turno di differenziata da mettere in strada prima del ritiro e mi facevo venire in mente a quanti e quali clienti telefonare in giornata per strappare l'ennesima apertura di conto corrente -

mi si è rivelata, innocentemente, la risposta della scrittrice:

"Nun c'ho un cazzo da fa"

mercoledì 25 febbraio 2015

ESCHER o DELLA RIVOLUZIONE IMMAGINARIA


Immaginaria
perché è su una superficie piana
che avviluppa il gorgo:
esattamente dove svaniscono
le tue sicurezze prospettiche:
con l’esterno che sgambetta l’interno,
il basso che precipita in alto,
la notte che tramonta nel giorno,
il sopra schiacciato dal sotto,
l’indefinito a smolecolare certezze,
e partorirne di tutt'altra natura.
Un’illusione ottica
che
- appesa al muro -
rivoluziona il piano dove il genio ghirigoreggia.
E quelli incorniciati di sorpresa,
alla mercé dell'inversione dei rapporti,

diventiamo noi.



Da bravi romani pigri e indolenti, abbiamo atteso l’ultimo giorno per visitare la mostra di Escher, al Chiostro del Bramante, a Roma - due passi da Piazza Navona, tre da Campo de’ Fiori -.
Fila pazzesca ovviamente (..e che romani saremmo altrimenti!..).
Ma non per noi, per fortuna, con l’acquisto online ci siamo garantiti l’entrata prioritaria ed un gaudentissimo saltafila alla faccia delle centinaia di malcapitati in ordinata attesa..


Ma in realtà, a ben guardare, in special modo una volta fuori della mostra, risalendo a ritroso quel serpentone snodato lungo i viottoli del centro storico, riconosco in quella fila che sembrava infinita, una ragazza minuta e dai capelli mechati di viola che.. ma si! E' proprio la stessa vista nel foyer appena dentro il chiostro, quasi in pole position per l’entrata fatidica affacciata, esausta, all'ultima balaustra di sicurezza.. 


perché solo allora scorgo l’arcano: la fila che s’incunea nell'ingresso principale, sviluppando nel cortile e poi fin nelle prime sale della mostra, si attorciglia per una ripida scaletta a chiocciola che sbuca al primo piano e ridiscende a precipizio lungo un ballatoio in bilico tra due mezzanini, scompare sotto una cupa architrave, riappare sottotetto e s’affolla tra i portici, le colonne, lungo parete fino a risalire per l’angusto corridoio prioritario, che introduce all'ultimo disimpegno che precede il definitivo controllo biglietti.. 
il che significa che come un umano nastro di Moebius la fila degli astanti si ricongiunge in un infinito procedere tra nicchie e volte, senza poter mai visitare la mostra ma, ancor più, ricreandosi tale ad ogni insistito accesso.

Fila per la Mostra di Escher



domenica 22 febbraio 2015

NOI E LA GIULIA ...ecco del buon cinema italiano!!



Un giorno ti capita di leggere un nuovo autore italiano, Fabio Bartolomei, e il suo Giulia 1300 e altri miracoli.
E rimani favorevolmente impressionato dalla freschezza e dall'originalità, dalla capacità di descrivere microcosmi diversi in rotta di collisione oppure capaci di generare nuovi vortici di solidarietà.


Qualche anno dopo scopri che uno dei tuoi attori/registi italiani che hai imparato ad apprezzare da tempo, ha preso in mano la sceneggiatura di quel libro e vuole farci un film.
Inutile nascondere che quel connubio ti sa di miscela esplosiva, sai benissimo che Edoardo Leo potrebbe prendersi per se la parte del protagonista disorientato dalla vita, ma non vuole strafare, ha già una regia e una mezza sceneggiatura da curare, da spremere; personaggi tutti al limite da far incontrare e coesistere, e ci riesce con indubbia maestria.


Si ritaglia la macchietta del film e ci fa ridere senza ritegno. Spreme il succo più denso dalle pagine di Bartolomei e disegna, anche stilizzando, personaggi e situazioni in curiosa ed elegante metrica cinematografica: col “sociale” che fa capolino, la storia d'amore a margine, le motivazioni di una generazione che gioca al “piccolo camorrista” perché nessuno offre alternative, l'immigrazione da integrare, il lavoro da inventare e difendere poi.
Chi ha amato il libro assiste a questo veloce rewind di sensazioni che ha coltivato pagina per pagina e si spiazza vagamente: come un camorrista scafato al quale ci si rifiuta di pagare il pizzo; ma poi si adegua al ritmo indiavolato che Leo imprime, piazzando perle di saggezza bartolomeiana quando meno te lo aspetti, calcando su esatti tormentoni, tempi comici e tagli di camera virtuosi, affidandosi il ruolo di metronomo per far sì che la commedia si contamini di tragedia e viceversa.


Qualcosa andava sacrificato e l'affezionato lettore avverte la sfrondatura, l'esaltazione dello stereotipo e la minimizzazione degli schemi, ma si fa piacevolmente fagocitare dalla verve di Leo sia in regia che come protagonista. Il nostro eclettico, anziché riservarsi serenamente la parte dell'incompiuto Diego, si defila (si fa per dire) come macchietta comica perfettamente integrata, come il resto del collage di interpreti che se la cavano tutti al meglio incastrandosi e sostenendosi con estrema duttilità, da Fresi ad Amendola, passando per un Argentero in palla e una dolcissima Anna Foglietta incinta per davvero.
Illustrare la conversione del camorrista alla giusta causa, del resto, poteva apparire improbo negli spazi stritolanti di una trasposizione filmica, ma Leo distilla al meglio questo work in progress di complicità sottintese, questa rivalutazione dell'amor proprio, dell'utilità di un ideale, del riscatto sociale
Cogliamo questo “pareggio fuori casa con la camorra” come una bella vittoria perché, al contrario di come si narra dei nostri protagonisti, Edoardo Leo sembra avere “tutte le armi giuste” per farsi ampiamente strada.


domenica 15 febbraio 2015

LA REGOLA DELL'ACQUA



Ecco un post all'acqua piovasca:
bigio, uggioso, grigio ma di ben altre sfumature;
da un blogger molto acqua cheta quando non le smuove,
capace anche di portarvele con le orecchie volendo,
non fosse altro, per confondervele.
Le acque.
Ed allora ecco anche il cinema sull'acqua, a mollo, attorno all'acqua
(Gilles Deleuze, filosofo amante del cinema, affermava già nel 1936:
Se avessero avuto l'idea di una cinepresa passiva,
l'avrebbero piazzata davanti all'acqua che scorre”),
divorato dall'acqua, liquidamente  tsunamizzato da Eastwood,
muscoloso quanto basta per affondare la Bismarck;
con un Waterworld pronto ad affogarti e un Le gran bleu a ingoiarti.


Acqua corrosa, fluida modellata;
celebrante acqua: marina, dolce, salata o potabile, lacustre o corrente, stagna o minerale, da sorseggiare, da allagare, di lurida pozzanghera, 
o di cristallina fonte, rubinetto, polla, sorgente;

acqua da desiderare, da scavare, da tavola, da temere,
da incubo - come per Renoir - o saponata - come per Verdone -;
inquinata, avvelenata, calda da doccia, fredda da gelo;
ma anche un postare, che fa acqua da tutte le parti,
acqua che manca
(una persona su cinque non ha accesso costante ad acqua pulita).


Vapore acqueo, di pesce guizzante che ne resta fuori,
acqua da pestare inutilmente nel mortaio,
da custodire in bocca,
da tirare al proprio mulino;
sciabordio sommesso di cattive acque, come di Titanic inondato,
acqua scarsa di bassa marea, perdita d'acqua come perdita d'identità,
da acquario o da risacca logora, o di squalo a respirarci dentro,
acqua che gocciola da vaso cinese o tortura i pensieri.
Acqua santa di acquasantiera ed anche acqua che piove a catinelle,
e sempre santa perché piove come Dio la manda (ma dove pare a Lui).


E acqua senza diga, senza limiti,
senza tempo (può annegarti in un bicchiere),
acqua che scolpisce, che passa sotto i ponti (anche a Madison County);
il lusso è un diritto” ammonisce un Cassel insipido come acqua, e per tanti dovrebbe (deve) esserlo, un lusso:
come bere, lavarsi, pescare, cucinare;
e non averla soltanto alla gola.
L'acqua.
La prediligo tra i quattro elementi, l'avverto più dell'Aria,
la soffro più del Fuoco
che rimane minaccia maggiore nella sua istantaneità
ma doverosamente distaccata - non si scherza col fuoco! -;


la palpito più della Terra, solida e rassicurante massa dall'abituale stabilità (chissà che ne pensano in Giappone, forse sono cosi pacati proprio per reazione...),
la immagino come l'acqua per gli elefanti, come una lady che vi nuota.
Un'acqua di Febbraio, che se la piove cauto, appena grig
io, uggioso, bigio,
e comunque, tra breve, acqua passata.

Come un post che fa un buco.

Nell'acqua, ovviamente..









venerdì 13 febbraio 2015

CONFESSO!



Anch'io risulto tra i titolari di conto in Svizzera...

ma è stato il mio commercialista che a suo tempo mi ha fatto firmare una procura che mi vincolava in una delega di incarico per un mandato non meglio specificato..
una cosina così,  che poi è risultato un vero e proprio impegno,



ma totalmente a  mia insaputa..  




mannaggia li pescetti, mannaggia...

è che non ce se po' fida più de nessuno...

martedì 10 febbraio 2015

BIRDMAN - L'OSCAR SUBITO...



Birdman ti prende per mano, ti solleva dalla poltroncina coi suoi minipoteri che emana ed evoca, ti intrappola sullo schermo che non hai ancora finito di sitemarti il soprabito sulle ginocchia e ti conduce per mano in un superpianosequenza dove srotola comicosurrealeactiondrammagrottesco a ritmi in/consueti, dove anche una meravigliosa colonna sonora sincronizza suono/immagine/movimento in un tutt'uno.
Sei calamitato da scene e dialoghi che ti si sciolgono addosso e avviluppano in quel iperrealismo al quale ti costringe la camera in continuo divenire.
Ma che comprende anche pause, le pause che noi, nel nostro quotidiano - personalissimo - piano sequenza, giriamo con innata naturalezza, respirando lentamente quasi a riprendere fiato.
Michael Keaton è Riggan Thomson. E' divenuto famoso grazie a Birdman, un supereroe alato: tolto il costume, ha imboccato la via dell'oblio.
Nel film cerca di affrancarsi definitivamente da questo ingombrante e inquietante fardello mettendo in scena una pièce di Carver.
Il contorno della compagnia teatrale, dei fantasmi, delle nevrosi, delle rivendicazioni di ognuno di questo eterogeneo gruppo dove ci muoveremo in claustrofobico e frenetico circolo tra palco, quinte, camerini e le immediate vicinanze del teatro, è il terreno di gioco scelto da Inarritu.
Un elogio alla vita teatrale che, modesto calpestatore di palchi e retropalchi, ho avvertito in tutta la sua potenza, quel dietro le quinte che palpita di copioni in ebollizione, di correzioni in corso, di metodi che si scontrano, di alleanze e strategie, di amori rubati in corridoio, di recitazione trasudata, viva, eccitata, come solo chi ha costruito spettacoli riconosce a pelle; le porte da aprire, le tende da scostare, la scelta del tempo, gli oggetti di scena a suggerirti la battuta.


Un clima di teatro pulsante dentro un film che scorre al quel ritmo, ritmo di piano sequenza. Che è la velocità del teatro.
Una commedia dura due ore e tu sei là. O sul palco o dietro. O in poltrona col pubblico, a srotolare tempo in diretta. Poi c'è il cinema, certo, e riprese che possono durare anni, le meduse spiaggiate ad alimentare il Birdman introspettivo, quello defilato, quello che l'atto inizia in camerino e la scena madre la sfoderiamo al bar, per distruggere la critica che vuole distruggerti, volando radente solo con le parole.
Quello è il Birdman che si libra alto anche uscendo da un taxi, che schianta il destino, con gli schizzi di saliva esaltati dal controluce, che si pulisce la bocca con tutto il genere umano, che ricrea e dona nuovo vigore a Carver anche se nei bicchieri non c'è whisky ma tè.
E noi lì a goderci uno spettacolo che sembra chiuso in sé ma spazia e smonta il mondo, quello del cinema, del teatro e del virtuale (coi social che ti creano e ti distruggono in un clic), e ne incrocia e sovrappone i linguaggi affidandosi ed elevando anche i coprotagonisti (deliziosi i Norton, le Stone, i Galifianakis) in qualità di assoluti mattatori ad ogni (piano)sequenza.
Non è un caso se Keaton e Norton poi, abbiano vestito i panni di supereroi nel loro passato cinematografico, purificandosi ora nella definitiva archiviazione di un cinema che Inarritu rilegge con grazia estrema e “imprevedibile - ma non troppo - virtù”.

Un film coi superpoteri. Davvero voglio crederlo. 
Occhio a non uscire volando dalla sala...


sabato 7 febbraio 2015

DIO ESISTE?

Anch'io, sulla scia del Moz, volevo approcciare il weekend con un post leggero



E se il titolo del post fosse stato: esiste la sbungicattola?

Quante coscienze avrebbe smosso, qual - seppur vago - moto interiore avrebbe mai potuto scalfire? Nessuno, a mio avviso.

Avrei forse accaparrato ignari e curiosi lettori attirati da un intrigante incipit. E invece no.
Esiste Dio è una domanda che in molti non si pongono più, persi come formichine nel loro quotidiano frenetico vagare.
In effetti non è la risposta il fondamento del quesito, ma la domanda in se; una domanda continua e sempre fresca, ribadita e risolta spesso in una, meccanica, asettica, risposta negativa.

Io sono per la domanda eterna da sempre e i mille fluidi di pensiero che ne scaturiscono.
Sono per la discussione, sono per le ipotesi, sono per lo spulciamento di mille catechismi, per le infinite versione di una sola parabola. Sono per il punto interrogativo.

La certezza è blasfema. Ogni certezza.

Resta probabilmente un dato di fatto incontrovertibile: per quante chiacchiere si possano buttare giù, alla fine non ne sapremo un'acca di più di quanto non si possa sapere della sbungicattola.

E su questo almeno, "credo" non ci piova. 

domenica 1 febbraio 2015

I GRANDI QUESITI



Pensavo a un post scemo tanto per diradare dubbi su realtà quotidiane che in parecchi danno per scontate.

Ma voi maschietti, almeno a casa vostra, fate la pipì in piedi o seduti sulla tazza?

Io ho scoperto solo verso i quaranta che da seduti è di un comodo estremo.
Ovvio continuo a farla in piedi quando sono fuori, in ufficio o comunque in altri bagni.
Ma a casa ragazzi!...

Mi sono deciso a porre il quesito perché, spesso, l'argomento tirato fuori casualmente ha procurato reazioni discordanti  rivelando, nella maggior parte dei casi, una idiosincrasia diffusa del "maschio" tipico ad adottare posture considerate storicamente femminili...

E poi oggi è domenica, fuori piove e mi va di cazzarare un po' a casaccio...  ;)