sabato 28 gennaio 2017

LA-LALALA LA LA LAND...



Mia (una Emma Stone particolarmente lessa) glielo dice ben due volte a Sebastian (un Ryan Gosling particolarmente sprecato): “Ho visto di meglio”.
Condivido l'assunto.

Tutto sommato è un musical. E lo sapevo. 
Non mi dispiacciono i musical. 
Guardo ancora con la faccetta ammirata i Gene Kelly e le Debbie Reynolds che tiptapeggiano leggiadri.
E col tempo mi sono goduto i Grease, i West Side Story, i Jesus Christ Superstar Ora arrivano Mia e Seb che canticchiano e ballicchiano al minimo sindacale sbancando Golden Globe e Oscar?

Che sta succedendo?



Dov'è l'inghippo, l'errore, il fraintendimento.
Perché non poter guardare indietro con occhio davvero disincantato?
Perché il cinema non potrebbe sempre evolvere anche rispolverando miti celebrati?
In fondo esistono generi ben definiti e consolidati da tempo: western, poliziesco, fantascienza, guerra, comico, cartone animato, musical ed altri..


Ma il genio cinematografico dovrebbe sfruttare l'evoluzione, l'arte ed i mezzi a disposizione. Come il jazz, tanto caro al Gosling alter ego del nostro regista, che si rinnova ad ogni sessione, per creare qualcosa di nuovo e fascinoso sulla scorta dell'esperienza.

Cosa ci riscalda propone La la Land?

L'esaltazione del piano sequenza nel flash mob iniziale, il giochino di contrapposizione narrativa nel finale a celebrare l'arte che non cede al compromesso con la popolarità.


Poco altro in verità. Come accennato prima si ballicchia, si canticchia e si reciticchia.

Un paio di buoni sostegni musicali ci accompagneranno, a turno, per tutto il film, coi colori saturi, i continui rimandi ad una cinematografia che fu, le gigantografie di attori e attrici, i locali fumosi e i brividi del jazz, le audizioni dove ti distraggono in continuazione, citazioni d'epoca come se piovesse, il vintage che tracima ovunque anche se sostenuto da riprese in steadicam che garantiscono freschezza e realismo.


E poi gli occhioni colorati di Emma,
e poi il ciuffetto ribelle di Ryan,
e poi l'ambizione di Damien Chazelle.




Ho visto di meglio” dice Mia a Sebastian. 
Si. Buona la prima. La parte è tua.

giovedì 26 gennaio 2017

ARRIVAL



Qualcosa non convince.
Non c'è l'alieno, perlomeno quello evoluto, al quale ambivi da sempre, la comunicazione che ti aspetteresti, il Contact che sapevi, di Interstellar manco l'ombra dove brancolano i melliflui marzianoidi.

C'è quel gioco, spesso evocato dal film, a somma zero.
Man mano che la pellicola avanza, tu non perdi e la storia non guadagna.



Un pareggio annunciato, soffuso come le nebbie, indecifrabile come i messaggi, inchiostrato come la scrittura aliena, macchiato di evidenze non evidenti, tradotto come un sanscrito polveroso, che alla fine comunica messaggi ambigui affinché gli spettatori facciano - un po' come i bambini di Povia - ooh!.

Gli alieni evoluti scarabocchiano vetrate cercando di cose che già sanno, insegnando un futuro spiegato, a metà film dicono che fra tremila anni sarà l'uomo a dover salvare loro, e a quel punto potresti anche andare a vederti Silence nella sala a fianco della multi sala che ospita multi film con multi futuri e multi candidati ai multi Oscar.



Tom & Jerry negli Usa, Ficarra e Picone in Italia. Così vengono soprannominati i due amici multitentacolari. Dodici baccelli giganti portano in dodici luoghi diversi di un mondo ancora troppo spesso estraneo a se stesso, la richiesta e, contemporaneamente, l'offerta di aiuto.
Prevarrà la collaborazione, la paura, la curiosità, il timore, la voglia di sapere, il terrore di essere sopraffatti?
Un film già visto. E che si è già visto. In tutti i sensi.
Sia dall'inizio che dalla fine, sia da destra che da sinistra, come la scrittura a due mani evocata da Amy la linguista, dove entrambe (le mani) devono già conoscere tutto il discorso per potersi intersecare (ma qui rischiamo lo spoiler e allora ci tacciamo).



Eppoi le musiche pericolosamente mutuate dai Dead Can Dance, la fotografia frantumata di nebbia, i movimenti rallentati che reclamano gravità.
Ed un gioco come il mitico Tris di War Games. Un gioco a strategia perfetta, dove, se giochi con criterio, non perderai e non vincerai mai.

Oppure decidere di voler scientemente perdere per assaporare la strada fantastica (non si dice sempre che la vera meta è il viaggio?) che condurrà, comunque, al baratro.
Ecco un buon messaggio veicolato da Arrival: il criterio non come scienza applicata, ma come opzione, emancipazione di quell'arbitrio del quale spesso ci facciamo scudo e paladini.

Ma il meglio del film è il canguro che si chiama “non lo so”.
Quello davvero illuminante.




mercoledì 25 gennaio 2017

OSTERIA ACQUACHETA (MONTEPULCIANO)



Difficile che posti di un singolo ristorante sul blog - quasi in modalità tripadvisor - ma per una volta attingo all'eccezione e vi metto a conoscenza di un Luogo Magico, in località Montepulciano, dove non si entra solo per un bisogno primario, quello di sfamarsi, ma per condividere una percezione extrasensoriale, magari brutale e ammantata di una certa rozzezza basica, ma che rivitalizza e scuote i Sensi e il Gusto.

Un contatto col cibo che va decisamente controcorrente rispetto al trend attuale, e cioè quel rapporto quasi estatico con la pietanza: venir serviti di un'opera d'arte piuttosto che di un piatto riempito di nutrimento.
Quasi a doversi accontentare dell'estasi visiva, del colore e dell'armonia architettonica, della composizione equilibrata, dell'esatta saturazione degli spazi e delle tonalità.

All'Osteria Acquacheta nulla di tutto questo. Tovaglie di carta, un solo bicchiere per acqua e vino (rosso della casa).

Qui si mangia. Quello che dicono loro. Punto.



Atipicissimo ristorante toscano. Si, avete letto bene, a-tipico.
E lo avrete anche capito dall'introduzione.
Erano anni che volevo mangiare in questa osteria, rinomata e ambita, nel cuore di Montepulciano, ma già il fatto di dover prenotare giorni prima, mi aveva scoraggiato.. stavolta no, ci siamo impegnati e siamo riusciti a strappare il consenso per uno dei due inflessibili orari serali (19,30 e 21,00).

Se arrivi dopo sei fuori, se arrivi prima non entri.



Un'ottantina di posti in un locale spartano e informale dove ci si siede tutti insieme, menù abbastanza limitato ma... FANTASTICO.

Si viene da Acquacheta soprattutto per la “ciccia”, e ragazzi.. mai mangiato carne più buona, poco da girarci attorno, le bistecche, i filetti, qualsiasi taglio, te lo fanno vedere prima di cuocerlo, puoi negoziare giusto peso e tipologia, ma non la cottura: su quella decide lo chef, decisamente al sangue, ma di una tenerezza unica (la vuoi ben cotta? Prego si accomodi altrove...),  il famoso “ti si scioglie in bocca”, qui esalta tutta la sua essenza ed elimina paragoni, memorie e concorrenti per anni a venire.

Tutto qua. 
Inutile dilungarsi. Locale ASSOLUTAMENTE da non mancare. Il resto è fuffa.


L'unico consiglio, per quanto stupendi anche i primi, possibilmente, limitatevi agli antipasti, e uccidetevi di “ciccia”. 


martedì 24 gennaio 2017

LA BELLEZZA COLLATERALE C'E'...


Ci troviamo davanti ad uno di quei film massacrati, soprattutto dalla critica. Quel filone di critica alla quale spesso mi accodo pervicacemente.
Be', stavolta gioco contro corrente. Collateral beauty mi è piaciuto assai.
Mi ha coinvolto, incartato, “tirato dentro” e mollato solo alla fine.
Probabilmente reso incapace a sormontarne trucchi e parrucchi, espedienti e messaggistica subliminale, inabile a decifrarne i quantitativi abnormi di carne al fuoco esposta, inadeguato a difendermi dalla melassa versata su tutti i meccanismi e le giunture di regia.
Un film che se solo gli tendi una mano ti trascina in un gorgo di buonismo senza uscita.


Ecco. Io sono voluto affondare in questa dimensione. Tassello anche io di un domino gigante, non sono riuscito a - o non ho voluto - sottrarmi, inceppando in qualche modo il perverso meccanismo.
Volendo giocare al gioco dei detrattori, voglio scoprire la bellezza collaterale di un prodotto “furbo”, che picchia di citazionismo esasperato, che mette sul piatto fior di attori, seppur sottoutilizzati, che estremizza i sentimenti umani evidenziando tutte le corde da tirare, dall'elaborazione della perdita, alla scoperta della malattia, alla frantumazione dei rapporti familiari; dalle crisi lavorative, all'esaltazione del prenderla con filosofia, al recitare della nostra vita, fino al vivere recitando, in un metodo Stanislavskij che intreccia palco e marciapiede fino a confondere chi recita e chi, in teoria, è spettatore.


Collateral beauty è una fiaba, non un thriller dall'oliato meccanismo, e se ci sfugge l'assioma, possiamo serenamente seppellire il film in un amen.
Ma anche noi andiamo a caccia di bellezza collaterale, di gentilezza e pacatezza d'animo. Cerchiamo quell'equilibrio che non ci renda sfrontati e pessimisti, che non ci cristallizzi nell'immobilismo, aspiriamo a quella serenità che appare, a volte confusa, dietro ogni contrattempo, perché accade sempre qualcosa di nuovo, perché noi siamo i protagonisti, e perché Amore, Tempo e Morte - i co-protagonisti perenni della nostra vita, celebrati e temuti - recitano a braccetto con noi, forniscono la battuta quando la memoria difetta, subentrano in scena quando la noia attanaglia, spengono i riflettori quando siamo stanchi dei fischi di disapprovazione, o capiamo che serve solo un applauso.

Certo è un messaggio antico quello che traspare dallo schermo, anche se fa appello a tutti i ghirigori tecnici che il cinema permette.
Una messinscena calcolata, scaltra quanto basta.
E stavolta è bastata.




lunedì 23 gennaio 2017

VUOI METTERE?

Ora va bene Trump, la neve, i terremoti, i ritardi nei soccorsi, la Juve che vince, il traffico, il lavoro,
Salvini, la pensione a 70 anni, Grillo, gli immigrati, il Debito... va bene tutto...

ma quelli che ciancicano incessantemente l'involucro delle patatine al cinema?!?

VUOI METTERE?!?

  

TRE STORIE D'AMORE (TRUCCATE)


PASSENGERS
Una storia d'amore truccata da film di fantascienza.
Passengers coglie l'attimo, e la trucca pure bene, con Pratt e la Lawrence che si barcamenano discretamente, considerando che per gran parte del film se la devono sbrigare da soli soletti e l'unico col quale confrontarsi è un barista androide.
Disperazione, senso di solitudine, vergogna, paura e impotenza sono nodi che vengono tutti al pettine e coinvolgono nostro malgrado, perché in fondo ci siamo anche noi chiusi su quest'astronave lanciata nel nulla cosmico, in una sospensione spazio temporale che pur appellandosi a infinite pellicole precedenti, da Cast away a The martian, si autodetermina nel suo dramma che non prevede lieto fine, ma solo un cosciente e confinatissimo, seppur dorato, sopravvivere.



ALLIED
Una storia d'amore truccata da film di spionaggio.
La struttura giallo/spionistica paga, purtroppo, un dazio pazzesco, per poter giustificare l'intensa liason tra Marion Cotillard e Brad Pitt. E alla fine non ci rimette solo l'Angelina Jolie (che poi non so quanto, in realtà, anzi in soldoni, ci abbia “rimesso”.. ma questo è un altro film.. ), ma ci rimettiamo sicuramente noi costretti ad assistere alla mattanza della logica più elementare ed al trionfo delle incongruenze.
E mi dispiace soprattutto per Zemeckis, complice del fattaccio stavolta, lui che solitamente non sbaglia un colpo, e si accolla, anzi, il rischio di dirigere “inediti” e di tentare l'inenarrato.
Non so cosa abbia affascinato Robert in questo filmetto, quali tematiche, quali dinamiche, a quali lacci contrattuali sia stato, forse, indotto ... non nego che parta bene ma poi... come ribadito inizialmente, il castello se ne vola via come investito da una tempesta di sabbia desertica...



CAROL
Una storia d'amore truccata da unione civile
Ormai non si scandalizza più nessuno, ma una volta se ti innamoravi di qualcuno del tuo stesso sesso, erano problemi, e non solo etici.
La storia d'amore andava avanti lo stesso, ma a differenza di quelle convenzionali, non c'erano solo – come ci sono oggi – cuori che palpitano, epidermidi che vibrano. Ma anche difficoltà di integrazione sociale, di accettazione, di comprensione.
Carol viaggia a scarto ridotto: emozioni col freno tirato, una mano sulla spalla dell'una, e l'occhio sognante che si chiude, dell'altra, tutto reiterato a più riprese, non possono narrarci della difficoltà di un rapporto ambiguo e ancora troppo trasgressivo.
La raffinatamente mascolina Cate Blanchett invaghita di una malleabile, rapita, lacrimevole e tenerotta Rooney Mara, non bastano a fare una storia d'amore, figuriamoci un film.
Senza la deliziosa e trascinante colonna sonora e una fotografia intrigante e paragnosta, che si dedica a tutti vetri, i finestrini e i riflessi possibili, staremmo a parlare di pura fuffa cinematografica.



sabato 21 gennaio 2017

ABRUZZO IN LACRIME



Impazza la polemica sui social, tra chi - come me - getta benzina sul fuoco sui ritardi degli interventi, sull'incapacità di salvaguardare zone flagellate dal terremoto, dove anche soli cinque centimetri di neve avrebbero rappresentato un disagio enorme, dove sorteggiano le "casette" come noi giochiamo al Gratta e Vinci.

E chi invece accusa quelli con le chiappe sul divano - sempre come me - di saper solo buttare la croce su gente che si fa un mazzo tanto per aiutare il prossimo.

Io credo solo che la prevenzione sbandierata dai nostri politici dal 25 agosto mattina in poi non c'è stata.

Credo che dobbiamo sempre affidarci agli eroi del momento - quelli che arrivano al Rigopiano con gli sci e scavano con le mani per salvare vite tutta la notte.

Credo di essere stufo.

Veramente.

giovedì 19 gennaio 2017

EROI CONTRO


Mentre sbirciavo le evoluzioni di Jack Reacher (Tom Cruise in modalità Giustiziere) contro la rozzezza basica dei suoi avversari mi è balenata quest'idea balzana: 

ma se i nostri beneamati eroi, che spesso hanno a che fare con gentaglia tosta ma che giunta all'obiettivo finale, inevitabilmente sbraga più o meno dignitosamente di fronte all'eroe prestabilito, che è quello che, comunque, deve uscire vincitore, 
ebbene dicevo, se questi nostri eroi fossero iperbolicamente e tridimensionalmente (ma anche berlinescamente) per una volta messi in competizione l'uno contro l'altro.. 

chi se la caverebbe meglio secondo voi?

Io ho tirato fuori sette soggetti che in epoche (comunque moderne), e circostanze diverse, hanno divertito ed assicurato il lieto fine ai propri fans.

Ma se dovessero avere a che fare, l'uno contro l'altro?

Ed in omaggio alle quote rosa, c' ho infilato anche due intrepide tutto pepe...

A voi qualche idea di sceneggiatura effervescente, il compito di decretare un “vincitore superstite” ed anche l'invito a tirare fuori altri nomi che per abilità, carisma e doti eroiche, avrebbero potuto sopravvivere allo Scontro Finale. 
Qui la mia delirante trama intanto:

Nikita gira per il mondo curando per un cartello sudamericano il traffico di eroina (non lei eroina, ma proprio eroina eroina). 


Jack Reacher ogni tanto lo vedono in qualche outlet alla ricerca di una maglietta di ricambio ma di norma guarda la tv e copula con le cassiere (dell'outlet).


John McLane ha una birreria nel Bronx dove mesce solo birra scura a scanso di equivoci.


Martin Riggs (arma letale) è appena uscito dal manicomio dove si è fatto dieci anni per aver tentato di strangolare moglie, figlia, colf e suocera. 


James Bond è alle Bahamas dove passa il tempo al sole ed a bere scorpioni reggendo sul ginocchio un bicchiere di tequila, ma soffre una nostalgia fottuta per gli ascensori appena avviati da prendere al balzo. 


Frank Martin (transporter) vive in Italia e fa concorrenza ad Italo portando turisti in macchina da Roma a Milano (e viceversa) in meno di un'ora. 



Beatrix Kiddo (Kill Bill) infine, lucida la katana leggendo i superpocket di Moccia,  per di più in italiano. 



La storia è semplice: 

una vecchia zia di origine romane (pensavamo a Kathy Bates) rintraccia Jack Reacher sulle Pagine Bianche, l'unico posto dove aveva dimenticato di cancellare l'indirizzo e lo chiama a Roma per dare una lezioncina al pizzicagnolo di Via Ripetta che continua ad aumentare indiscriminatamente il prezzo del pecorino. 
Jack arriva a Milano perde la coincidenza e si affida a Frank Martin per arrivare a Roma, ad una stazione di servizio beccano Nikita che usa il bagno degli uomini e per evitarle noie con la Sicurezza (Sicurezza negli autogrill?!? .. ah ah..) la portano con loro.
 
Bucano una gomma ad Orte e mentre Frank la sta cambiando arriva Martin Riggs con un'autoarticolato e lo fa fuori sul ciglio della strada, Jack e Nikita smettono di pomiciare e partono all'inseguimento, giunti a Roma sul raccordo si perdono, chiedono aiuto ad un biondastro all'uscita Laurentina; si, è lui, Daniel Craig in arrivo dalle Bahamas per una vacanzina e che conosce Roma come le sue tasche, si offre di accompagnarli a Via Ripetta dove trovano la zia di Jack che discute col pizzicagnolo, un John McLane con pancetta (sia addosso che sul bancone), mentre Daniel Craig chiede se c'è un ascensore, dal retrobottega appare Beatrix Kiddo che con la katana affetta due etti di mortadella e con l'ultimo taglio di sguincio squarta Nikita che l'aveva guardata storta;

John McLane invidioso della maglietta di Jack gli lancia il taglia parmigiano e lo centra in fronte: sangue, urla ed effluvi prosciuttifici attirano dentro Martin Riggs che ha parcheggiato in piena Piazza del Popolo e facendosi scudo della zia dà una capocciata a James Bond e lo uccide sul colpo, tenta di far fuori anche McLane il pizzicagnolo, ma Beatrix lo fulmina con una katanata che tagliuzza a morte, in contemporanea, anche la zia di Jack. 

A questo punto John furioso prende la testolina bionda di Beatrix e la piazza nei 140 watt dell'affettatrice elettrica del negozio urlando: “Hai fatto fuori la mia miglior cliente!! Proprio ora che avevo deciso di tornare nel Bronx con la ricetta del secolo: birra al pecorino!!” ... 

Quindi McLane vincitore.. del resto era il mio preferito prima di iniziare.. eh eh..
Il regista avrebbe dovuto essere Woody Allen in omaggio alla sua tendenza a girare gialli strampalati, ma aveva incassato già tutti i sussidi dal Comune di Roma per l'ultimo suo capolavoro.. una chance potrebbe averla anche Béla Tarr solo che insiste per far guidare a Frank Martin un carrettino col cavallo... ora vediamo che si può fare... 
 

martedì 17 gennaio 2017

CAOS


Pioveva, e mi riparai sotto la tettoia.

Avrei dovuto attendere almeno un'altra mezz'ora buona,
ma preferii prendere il blog delle 18, 45.


Almeno ero sicuro di trovare post.


sabato 14 gennaio 2017

COSA CI RACCONTIAMO

Si. Cosa ci raccontiamo alla tastiera, davanti al video, O mentre passeggiamo consci di una vita regolata al secondo. Squadrata al centimetro. Non nel senso che tutto sia programmato e prevedibile. Quello no. Altrimenti sarebbe quasi noiosa.
Oddio, neanche.. perché se ce la siamo immaginata, ci piacerà pure.. quindi lavoro, casa, moglie, viaggi, figli, soldi, sorrisi, amici.

 Poi il lavoro ti annoia, cambi moglie, cambi casa, di figli non se ne parla, viaggi ma non dove vorresti, i soldi si spendono, i sorrisi si fabbricano, gli amici chissà,

E cosa ci raccontiamo alla tastiera, cosa scriviamo, cosa ci leggiamo dentro, cosa svendiamo, e cosa negoziamo fino alla fine, cosa vorremmo davvero, cosa ci fa paura, cosa ci blocca,

Poi leggi e ti dici.. ma la pubblico 'sta cosa? E poi le domande? E le risposte?

Ma te la pubblichi pure dentro? Nel senso... te la leggi dopo che l'hai scritta? O è colpa sempre di quell'editor che abita da te... quello che ti corregge le telefonate, le risposte, le carezze, le bugie,

Quell'editor che vorresti essere davvero, e invece lavora coi voucher e soltanto dentro il tuo cervello,
niente ferie, mai un po' di riposo. Ti accartoccia i sogni e te li lancia come un padrone col suo cane.

Vai, raccogli e riporta qua.

Cosa ci raccontiamo davvero?...
azz,, devo sbrigarmi.. se l'editor s'accorge che sto facendo da solo...    

CINEMA DISTOPICO













Normalmente dicesi distopico di cinema vagamente incartato tra futuro ed alterazioni del passato o che narri, comunque, in maniera tormentata, di uno stato sociale alterato o alterabile.

In questa ottica, lo sforzo cui mi sono sottoposto sorbendomi consequenzialmente Mr.Nobody e The lobster, indica - grosso modo - il grado di distopia che cerco di iniettarmi a grosse dosi, l'inconscia insoddisfazione del reale cui appartengo, e la frequente delusione nel valutare che, comunque, i modelli proposti, forse non valgono per niente la pena di rivoluzionare il convenzionale acquisito.



Mr.Nobody scimmiotta Sliding doors in modalità futuristica, The lobster ridicolizza i rapporti umani mettendo a nudo primordiali bisogni singoli che prevaricheranno sempre la coppia.

Colin Farrell in una delle sue massime espressioni espressive


Il primo ci narra di un centodiciottenne nel 2093, ultimo esempio di vita umana non alimentata artificialmente e senza possibilità - ormai normale - di una vita eterna. L'arzillo vecchietto, intervistato, ci racconterà - magi(distopi)camente - delle sue infinite vite passate, a seconda che nasca da una o da un'altra famiglia, che segua il padre o la madre dopo il loro divorzio, che sposi o meno una delle tre ragazzine che gli fanno il filo.

Jared Leto, invece, in una delle sue.


Ottime alcune trovate tecniche e di montaggio, noiosetto tutto il resto, déjà vu in troppi casi, citazionistico allo spasimo, alla lunga disarmante.
Paragonato anche a Cloud Atlas, il quale potrebbe essergli debitore in diversi frangenti, ma che spettacolarizza a livelli decisamente superiori.
Ecco, forse questo latita in Mr. Nobody, il voler spettacolarizzare ma col budget ridotto al minimo sindacale.



The lobster al contrario si frega con le sue stesse mani, volendo stupire ad ogni fotogramma, cercando di mettere a nudo istinti a noi sconosciuti, o meccanizzando natura, impulsi e inclinazioni cui normalmente diamo un peso relativo.
Stravolge quindi la normalità dei comportamenti evidenziandone altri che non riusciamo a farci appartenere, anche noi seduti comodamente davanti un film e inclini, solitamente, a giustificare eventuali derive registiche.
Fino a che il troppo non stroppi, però.




Ora, mi chiedo, dopo questa indigestione distopica... dovrei riguardarmi La vita è meravigliosa? Il prototipo della distopia formato famiglia..



venerdì 13 gennaio 2017

CALVARIO (2014)



Un film di religione estrema, potrei dire.

Non come Passion di Gibson, dove dal sangue potevi intravedere i trigliceridi, e neanche come L'ultima tentazione di Cristo di Scorsese, dove la fantasia soccorreva un Dio terreno.

In Calvario c'è l'uomo creato dal Signore, con tutte le sue derive, il prete immolato a Dio, con tutte le sue paure.
La ricerca e la catalogazione di tutti i valori possibili, alla scoperta di quelli, forse, perduti.
C'è un fare il prete in maniera scomoda, dove per salvare il salvabile bisogna di nuovo arrampicarsi sul Golgota, ripercorrere l'intero calvario, e magari scappare, infine, lasciando a Dio e al vento l'ingrato compito, oppure sostituirsi a lui maneggiando poche parole, pochissimi sacramenti.



E qualche virtù desueta.

Come il perdono, ad esempio. 
Che non si insegna. Non si tramanda. Non si lascia in eredità. Si indica al massimo, si disegna nel vento di una scogliera brulla, si cerca negli occhi di chi ti vuole bene davvero.

Fare il prete dove tutti ti odiano, dove pensano tu non possa servire, oppure implorano, a loro modo, che tu li redima tutti, indicando vie maestre, che li tolga d'impaccio. 
Ma non è così. Non così semplice almeno.

Specialmente dove tu stesso stai faticando, per capire a cosa servi, e come puoi servirlo, tutto quello che ancora non capisci, che ti sfugge, e fai fatica a disegnarlo, o solo a scorgerlo, anche negli occhi e nell'animo di chi ti ama da vicino.

Sei un prete solo contro tutti, e quando le difficoltà aumentano, anche contro te stesso.
Vorresti mollare. Fuggire via.

Anche se hai sparpagliato sul terreno con attenzione, accorto a non sprecare un solo seme. E il seme deve morire per portare frutto.
Per far si che una virtù, seppur desueta, trovi nuova linfa.




lunedì 9 gennaio 2017

CHEFBLOGGER... - POST.. + PAST!!



Cucino  in seguito a crisi deliro/compulsive. A sogni ritenuti - chissà - irrealizzabili.



Mi immergo in sapori, colori, odori.. e spariglio le aspettative.


Come un chiedere aiuto al genio sopito...


..al connubio tra  sensualità del gesto  e sua  rappresentazione..


come se si stesse affrescando, o (de)scrivendo,  una percezione..



..e invece stiamo ai fornelli.. a dipingere tonalità di gusti..



.. a descrivere sfumature di memorie,,



... come se un dedicarsi al cibo.. sia propedeutico a svelarne l'arte..


..la delicatezza, il ricamo di un'aroma,
Quella sensazione potente che vaga in una miriade di sapori...