Il Vittoriano di Roma. L'Altare della Patria, completato e inaugurato nel
1911.
Uno scempio architettonico ormai somatizzato da tanti.
E finito per essere ammirato da stranieri e concittadini.
Classico esempio di come un
corpo estraneo, nel tempo e con l'abitudine, divenga elemento
consuetudinario e tollerato fino a diventare addirittura apprezzato.
Stravolgimento completato, una ventina d'anni dopo, con l'edificazione di Via dei Fori
Imperiali, tra Piazza Venezia e il Colosseo, e un altro intero quartiere abbattuto (l'Alessandrino),
assieme a chiese e parte dei Fori, tutto per favorire la facilità di "circolazione".
Ma torniamo all’Altare della
Patria.
Il 27 gennaio del 1986 si svolse a Roma un Processo (cui parteciparono tra gli altri, diverse personalità dell'epoca - Bruno Zevi come accusa, Paolo Portoghesi a difesa) al monumento in Roma a Vittorio Emanuele II, tra il serio, il sottile, il
pungente e l’informale, certamente; ma in forma concreta, giustificata dalla
miriade di polemiche e dissensi generati da “quella massa imponente” destinata
ad occupare un punto nevralgico di Roma e che nessuno, allora (anni ’80),
avrebbe mai immaginato potesse divenire, col tempo, il monumento più fotografato della capitale.
La totalità delle tesi ammettevano compatte la
bruttezza dell’opera, c’era chi ne votava l’abbattimento, la traslazione in
periferia, l’eliminazione di almeno il piano superiore o anche solo la
trasformazione e parziale copertura (magari con l’edera), o anche
l’impacchettamento a tempo indeterminato, come andava di moda in quel periodo,
col funambolico Christo a incellofanare svariati monumenti.
Prevalse il tenerselo lì ad eterna memoria, a monito
potremmo dire, nonostante la sua edificazione oscurasse i Fori, avesse
costretto la basilica di San Marco dietro la riedificazione di Palazzo Venezia,
l’Ara Coeli in castigo proprio alle spalle del Vittoriano, e avesse
comportato la cancellazione di un intero spettacoloso borgo medievale di cui rimane una minima traccia nell'Insula dell'Ara Coeli, guardando l'Altare della Patria, sulla sua destra.
Un monumento “giolittiano”, anche se solamente in
seguito assurto a simbolo fascista e anche sede de Il milite ignoto, fino a divenire lo specchio
dell’Italia più retorica dell’epoca.
“Ritengo il monumento a Vitttorio Emanuele II nella
piazza Venezia di Roma un nonsense storico, architettonico e urbanistico, senza
peraltro essere un nonsense intelligente o spiritoso. La sua costruzione ha
causato lo scempio di una zona di Roma fondamentale per le straordinarie
testimonianze storiche e artistiche, che sono rimaste irrimediabilmente
alterate. Il monumento si pone del tutto fuori scala rispetto alla struttura
urbana, né riesce a diventare un nuovo fulcro di riferimento e aggregazione (questa negatività attenuata poi col tempo e
la parziale apertura n.d.r,)
Michele
Cordaro (storico e critico d’arte)
Ma uno dei commenti più sagaci lo espresse Giorgio Manganelli, indimenticato
critico, saggista e scrittore:
“Penso che le città abbiano diritto, come gli esseri
umani, a una quota di bruttezza ragionevole, anche chiassosa, urtante, qualcosa
che serva ad esprimere un’intima volontà di demenza. E dunque sarà meglio che
codesta mattana venga fuori in marmo e bronzo, visibile a tutti, repellente
come gli ubriachi che venivan mostrati ai giovani di Sparta, affinché crescessero
sobri”.
Da parte mia, l'ho sempre trovato orrendo, avrei votato per l'abbattimento,
allora ma, perché no, anche oggi ;)