Il rombo sommesso di migliaia di motori, un tempo colonna sonora della frenesia ma anche dell’indolenza romana, quel 3 settembre 2026, si era trasformato in un lamento, un'eco disperata che si propagava dai vicoli del centro fino alle tangenziali intasate.
Era avvenuto.
Quello che per anni era stato solo un timore sussurrato, una chiacchiera da
bar, si materializzò in una realtà incontrovertibile: “la misura è colma”, è un
modo di dire spesso utilizzato e significante, quando si arriva a dei limiti non
più sopportabili.
A Roma, stavolta, i parcheggi traboccavano.
E non si trattava di
un’iperbole.
Danila era
partita da Monteverde alle sette del mattino, sperando di anticipare il solito
inferno. Doveva essere in ufficio in
Prati per le nove. Alle otto e mezza era ancora intrappolata in un ingorgo a
Trastevere, con l'indicatore del carburante che si abbassava minaccioso e attorno decine di auto intrappolate nel delirio come lei.
Un barlume di speranza si accese mentre scorgeva un'auto lampeggiare per uscire da un
posto. Si fiondò, ma prima ancora di poter mettere la freccia, una Smart
sbucata dal nulla, ignorando qualsiasi regola di civiltà, si infilò nello
spazio, con il conducente che le rivolgeva un fasullissimo sorriso di scusa, a
nascondere palese aria di trionfo.
Era un gesto di nuova guerra, basta cortesie.
Gigi, a sua
volta, aveva ormai superato ogni limite di ragionevolezza. Partito da Casal
Palocco alle sei, convinto che il suo anticipo gli avrebbe garantito la
salvezza. Dopo aver girovagato per ore in centro, a San Giovanni, e persino a
Cinecittà, si ritrovava ora sul GRA, guardando sconsolato quella campagna che
si estendeva oltre il raccordo.
Trenta chilometri dal suo posto di lavoro in Viale Europa, e la sua utilitaria
ormai un guscio opprimente che non riparava più da nulla.
Aveva visto persone parcheggiare sui marciapiedi, sui prati, persino in mezzo
alle rotonde, ma ogni spazio si riempiva all'istante, anzi, sembrava già
intasato, nessun pertugio, nessun buco
nero.
Chi aveva lasciato l'auto in seconda fila, con il motore acceso e lo sguardo
fisso sul volante, era diventato il nuovo archetipo del romano, custode del suo
effimero ed inutile trono di lamiera.
Chi, come Lucilla, aveva la fortuna (o la sfortuna, quel giorno) di possedere un garage privato, si era trovato di fronte a un dilemma amaro. Uscire significava entrare nel vortice infernale che ogni radio ormai annunciava difficilmente risolvibile pescando un posto auto vicino al lavoro.
Aveva provato a fare un giro veloce per prendere un caffè, ma la visione delle
strade intasate e dei volti disperati dei conducenti l'aveva fatta desistere.
La sua auto, una fedele utilitaria che un tempo la portava ovunque, ora le
sembrava una prigione dorata.
Tornare nel suo garage era l'unica opzione sensata, ma quel gesto manifestava tacita
sottomissione.
Un ripiego, probabilmente
definitivo, a segnare la resa di fronte a un nemico invisibile e onnipresente.
La sera,
infine, ecco Roma illuminata dalle solite luci dei lampioni, ma stavolta a riflettersi
su auto immobili.
Un ammasso forzatamente ordinato di lamiere erranti, di clacson esausti e di
gemiti strozzati. Il silenzio si stava impossessando delle strade, non per l’assenza
di auto, ma per la disperazione di chi non sapeva più come muoversi.
Collasso totale. Le auto abbandonate dove capitava in segno di capitolazione
totale e inevitabile.
Parafrasando in foggia consolatoria una famosa massima: quando tutto è caos,
nulla è caos. Rassegnazione impotente di fronte quel nuovo, devastante,
scenario.
E la domanda
che aleggiava nell'aria, più pesante dell'inquinamento, più opprimente del
disagio palpabile, era: cosa sarebbe successo il giorno dopo?
Però.. a me
che vado in scooter, ma quanto me po’ preoccupa’ ‘sta cosa?! ;)