Come
si misureranno le parole - oltre che in riferimento all'ovvia
ammonizione di chi ne ritiene offensive alcune a seconda, appunto, di
un'ipotetica misura
- che
ogni giorno affastelliamo in buon ordine (o in discreto caos),
strappandole alle nostre emozioni, o disegnandole su di esse, e
cercando di farle apparire a forma di palpitazione, misurando noi
nuove unità di percezione che ci consentano di applicare una forma
tangibile al nostro sentire.
Ed
anche una volta misurate, inchiodate, catalogate, queste parole che
da sole identificano il fardello del nostro emozionarci, chi ci
assicura che non ne abbiano, invece, debordato il senso,
sforbiciato il sospirare, occultato il trasalimento?
Come
si misureranno queste parole se non sperando che si adattino
perfettamente al nostro pensiero come un cashemire che si adagi, neve
attutita nel silenzio di un'alba?
Non
lo sappiamo. Rileggo il mio "pensiero adagiato" e cerco di
scorgerne l'orlo emozionale.
Perdiamo probabilmente
la fluidità del pensiero fino a fermarci quel fatidico istante e
pensare a voce alta, come scrivendo nell'aria, a forgiare immagini
rigurgitate da una macchina da presa già impazzita:
Ma che cacchio sto a dì?!?
Ma che cacchio sto a dì?!?
Ma,
soprattutto, che firm avrò visto mai!?!?
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