Al cinema, la visionarietà stuzzicata dall'osservazione, è cardine e volano, ed a maggior ragione in letteratura dove, in sequenza al testo più razionale, creiamo mentalmente - e riga per riga - scenografie e scenari a supporto di allucinazioni irreali che accompagnano la lettura generando messeinscena ad elevatissimo budget.
“La
letteratura”,
del resto “è
sempre stata la miglior forma di rappresentazione della coscienza di
sé dell'uomo e della società, questione complessa per il cinema che
parla attraverso combinazione di audio e video in movimento”.
(Chiara
Sulis)
“E
nulla potrebbe apparire se non esistessero esseri ricettivi, creature
viventi capaci di conoscere, riconoscere e reagire a ciò che non
semplicemente c'è, ma appare loro ed è destinato alla loro
percezione” (Giuseppe Bomba)
Oggi
scartabelliamo risvolti ideologici anche per gli svariati natali in
crociera, ed è un difetto determinato sia da regie provocatorie come
da disegni altamente fasulli.
Discernere
dalla molteplice carne al fuoco potrebbe essere lo sport del futuro.
Intanto
il Nuovo Cinema continua a scavarsi attorno ed addosso leccando e
morsicandosi alla scoperta di un divenire ancora oscuro, ma ricco di
potenzialità.
E
l'importante è sapersi mettersi in gioco ogni volta di nuovo davanti
ad un film, come ad un libro,
una musica,
un quadro,
od anche “solo” un tramonto.
una musica,
un quadro,
od anche “solo” un tramonto.
Dovremmo riappropriarci della nostra iniziativa senza farci annichilire dai disegni altrui.
Più
che il “cosa provare”, diventa essenziale il “provare”.
In
quest'ottica, forse, anche Il cavallo di Torino potrebbe riacquistare
senso.
A
patto di poter giocare ad armi pari, però.
Testoline
ottuse
“Il
Sioux guardava in basso, verso la vallata, brandendo l'ascia in un
gesto eterno. Davanti ai suoi occhi socchiusi apparve il ranch più
spoglio che avesse mai visto, di dimensioni modeste e molto
scalcinato.
Fosse stato il dirigente di un nostro qualsiasi
ministero, avrebbe potuto dire che il suo lavoro non gli dava più le
giuste motivazioni. Ma la realizzazione professionale dei guerrieri
Dakota, purtroppo, non ha mai interessato nessuno.
Dentro la piccola costruzione si intravedevano due visi
pallidi, un uomo ed una donna, che ammiravano un neonato.
Avrebbe potuto attaccarli anche da solo, non ci sarebbe
voluto molto ad avere la meglio su quella famigliola indifesa e
portare via il bestiame, mezza dozzina di pecore, un bue accovacciato
ed un piccolo cavallo. Non riusciva però a decidersi, forse per la
scarsezza del bottino, forse per l'espressione serena e benevola dei
due genitori.
Il Sioux si chiese per quale motivo gli altri non
arrivassero, tra i guerrieri della sua tribù ce n'era almeno un paio
che non avrebbero avuto problemi a fare il lavoro al posto suo.
Desiderava moltissimo acquattarsi, ma naturalmente non poteva. Dietro
di lui, il suo mustang lo fissava, immobile e dignitoso, nonostante
gli mancasse una zampa anteriore.
Si accorse allora di altre presenze che non aveva notato
fino a quel momento.
A poca distanza dal ranch c'era una donna che lavava i
panni nelle acque di un piccolo stagno e al suo fianco, anche se
sembravano ignorarsi del tutto, un ragazzo pescava. Stava tirando su
un bel pesce dorato, ma non si decideva a staccarlo dall'amo.
Girando ancora lo sguardo per quel che gli riusciva
vide, sotto un albero che non conosceva, dal lungo fusto e dalle
ampie foglie paripennate, una sparuta mandria di strani cavalli dal
dorso orribilmente deforme.
Il pellerossa si sentiva nervoso, era entrato in un
territorio sconosciuto, misterioso ed ostile. Cominciava ad avere
paura, sentimento che non ti puoi permettere se ti chiami Orso
Indomito. Le terre del suo popolo, lo sapeva bene, si estendevano dal
piccolo tavolo sacro al tappeto dei mille orsetti bruni. In quei
luoghi i Sioux cacciavano, combattevano i soldati e vivevano in
libertà i loro giorni. Adesso però si era spinto troppo oltre. Tese
l'orecchio sperando di sentire le grida dei suoi fratelli che si
avvicinavano.
Fu allora che scorse una creatura spaventosa, in cima
alla collina adiacente a quella su cui si trovava. Era un tacchino
gigantesco, molto più alto di lui, che lo guardava in silenzio. Il
sangue gli si ghiacciò nelle vene.
Mentre
si preparava a difendersi dal mostro, arrivò il marine.
Stava
parlando ad un telefono da campo e non sembrò avere nessuna paura
dell'enorme gallinaceo che incombeva su di loro.
Anzi,
si trovò subito a suo agio lì nel presepe, dove Simone, sette anni,
lo aveva messo, con un innesto spazio-temporale ardito ed
affascinante. Del resto, il Medio Oriente era pane suo, un posto
infido e pericoloso dove però i marines
sanno
come muoversi.
Il
militare iniziò subito a tenere d'occhio tre vecchi che si
avvicinavano alla capanna sui loro cammelli, portando ciascuno un
cofanetto sospetto. Avrebbe potuto essere esplosivo, degli arabi non
ci si deve mai fidare, questo al marine
lo
avevano ripetuto migliaia di volte.
A quel punto, Simone tornò dalla sua camera con le mani
piene di soldatini e li sistemò dappertutto: un giapponese a dare
una mano al caldarrostaio, un barbaro con arco e frecce vicino alla
mangiatoia, un pirata malese che cercò subito di attaccare discorso
con l'angelo che stava sopra la stalla.
Tutti i soldatini, qualunque fosse l'etnia che
rappresentavano e in qualunque materiale fossero stati fabbricati,
convissero serenamente: davvero non c'erano più romani e barbari,
cristiani ed ebrei, bersaglieri e giubbe rosse, che si trattasse di
ometti in plastica o in piombo, se ne stettero là, tranquilli, con
nelle loro testoline ottuse la sensazione sempre più chiara che
dovesse accadere qualcosa, arrivare qualcuno.
Ma arrivò solo l'Epifania e la piccola città venne
smontata, le casupole in cartone e la capanna riposte in una cassetta
di legno dello Stock 84.
Anche i soldatini tornarono nella stanza di Simone,
riposti in piccole scatole a seconda dei gruppi di appartenenza:
indiani con indiani, pirati con pirati e cosi via. Il piccolo
pellerossa con il tomahawk sempre alzato riprese la solita vita,
fatta di riunioni intorno al totem, battaglie lampo e cacce al
bisonte (in realtà erano mucche, ma Simone aveva solo quelle).
Tutto sembrava tornato come prima, con la sola eccezione
che, qualche volta, il guerriero Sioux sognava l'enorme tacchino e si
svegliava terrorizzato.
Un giorno però, durante un attacco al forte, una giubba
blu, che nei giorni del presepe si era ritrovato accanto, lo salutò
con inaspettata cordialità e da quel momento, nel cesto dei giochi,
di tanto in tanto, un soldatino mandava un saluto a quelli delle
altre scatole, che rispondevano calorosamente, con grida di esultanza
e brevi cori affettuosi.
E quando Simone decideva di scatenare la guerra
mondiale, che per lui significava tutti contro tutti,
indipendentemente dalle nazionalità e dalle epoche storiche cui i
piccoli militari appartenevano, era una specie di festa tra vecchi
amici, nonostante, per serietà professionale, spade, fucili, frecce
e cannoni dovessero entrare scrupolosamente in azione. Alcuni
addirittura, tra scariche di artiglieria ed assedi interminabili, si
davano appuntamento vicino alla capanna per l'anno successivo.
Tuttora, a dispetto di sociologi e decreti governativi,
nonostante siano passati molti anni e lui non giochi più con i
soldatini, il presepe di Simone rappresenta il più ambizioso e
ottimistico tentativo d'integrazione razziale mai realizzato nella
buia, grandiosa, sconfortante storia dell'Umanità”
(Marco Presta - Il paradosso terrestre -)
Realtà ed inganno si prestano agli ingegnosi strumenti
umani per camuffare senso e percezione.
C'è
chi traveste la realtà e chi vorrebbe, testoline
ottuse,
denudare l'archetipo.
Continuo a preferire i primi.
Il sesto senso
Il
vuoto dentro
The prestige
I soliti sospetti
La grande bellezza
Il cavallo di Torino
Inside man
Il dentro vuoto
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