martedì 8 febbraio 2022

PIU' LO DICO


Non mi va di scrivere poesie, estorcermi sensazioni,
confessare stati emozionali che non conosco,
che non parlano, che mi abitano soltanto.
Non mi va di ascoltarmi attraverso le righe,
di dovermi leggere per sorridere o compatirmi. 

E più lo dico più scrivo, più mi scrivo,
come fosse l'unico modo per accogliermi.

Non mi va di scrivere poesie
che si attorcigliano al nulla attorno
disegnandolo ingombrante, saturo,
fino a renderlo nebbia fine.
Ma più lo dico, più scrivo di me, 
e per riflesso di te, di quanto sei con me
ad ogni più piccola ansa di respiro,
ad ogni minimo dubitare.



domenica 6 febbraio 2022

FENOMENOLOGIA DI SANREMO

Una volta i cantanti - non solo a Sanremo - si esibivano.

Ora si vestono, si truccano, o si denudano, si imbellettano, recitano, si muovono, parlano, si autotunano, si agitano, sparolacciano , si toccano un po' tutto, piangono, si riempiono di anelli, orecchini, strass, si battezzano e altre robe strane, anche attorno: attori, pseudomusicisti, fumi, ballerine, megafoni, luci, oggetti, magie, orpelli, introduzioni, smorfie, stop and go, urletti, sospiri, rap, trap, hip pop, gorgheggi e singhiozzi. L'apparire prima di tutto.


Addirittura qualcuno canta.

venerdì 4 febbraio 2022

QUEL COTTO FIORENTINO

 



"Tra il 4 e il 5 dicembre 2021 si è tenuta Laventicinquesimaora, il premio letterario della Scuola Belleville dedicato ai racconti brevi. 25 ore per scrivere un racconto non più lungo di 3600 battute.
La traccia di questa settima edizione era: “La fine è nota.
Scrivete un racconto che cominci dal finale e finisca con l’inizio”.

Ho partecipato, purtroppo senza classificarmi.
Ora posso pubblicarlo anche qui. 


“Quel cotto fiorentino sembrava ora ancor più vivido, col sangue denso a percorrerne superfici e fughe”. Ero arrivato al punto.
Ma il punto non ne voleva sapere, si guardò indietro, o meglio sopra, e cercò un appiglio in quella parete di lettere a strapiombo che sembravano soverchiarlo.
Mise un  piede, poi l’altro, scalò l’ultima riga rigonfia di epilogo appiccicaticcio come sangue già rappreso, prese le misure dal fondo di quel baratro e iniziò ad arrampicarsi deciso, sgusciando tra perifrasi e analogie, agganciando parentesi e salutando a malapena virgole e altri punti che oziavano a guardia del periodo.
Risalendo a fatica, ma con occhio curioso, trovò la trama artificiosa e melensa, e forse proprio per questo maturò il rifiuto quasi istintivo di risultare l’artefice ultimo di una storia che sapeva di convulso e farlocco, dove lei si abbandona ad un tardivo ravvedimento e lui non le perdona il tradimento del primo paragrafo, ma neanche la recidiva col garzone a pag. 4, così come la fuga fuori città di fine capitolo; solo simulando, poi, una magnanima, nuova accoglienza in quel ritorno pretestuoso e gravido di sospetto.  
Ora può un solo punto, dico io, caricarsi l’onere di tanta tensione, di immenso rammarico, rabbia e tormento, mettendosi a fine di tutto con un solo, scellerato, colpo di pistola, seppur accompagnato da un misto di sorpresa e sgomento, e lasciando, appunto, che solo un punto - e neanche esclamativo -  chiuda a bruciapelo la vicenda? Senza curarsi dell’affanno, del panico suscitato, di un corpo ancora caldo, del sangue a scorrere via solo ravvivando un cotto fiorentino? Un semplice punto a toglierci d’impaccio? Non era possibile, voleva vederci chiaro stavolta.
Non avrebbe gestito una chiosa tragica senza comprenderne i reconditi perché. Voleva scorgere la passione iniziale negli occhi di lei, godere di un sorriso, di una carezza rubata, di un sogno a due che poteva essere vita splendida, senza alcun punto ad interrompere mai fiaba e aspirazioni.
Arrivò perciò fino a quella F maiuscola di inizio racconto, una F di luminoso ardore che vedeva quel punto come un’insignificanza lontana e inconcepibile, la F di Finalmente: finalmente l’amore, la gioia, l’impazzimento dei sensi, tutto senza ombra  e fiato di punteggiatura alcuna, figuriamoci un punto poi.
E il punto ci arrivò a quel cospetto, vagando a ritroso tra gelosie, colpi di mano, ripicche; fino a scorgere e sfiorare sfumature di complicità, intenti armoniosi, traiettorie di relazione, come si rincorre una sorgente di acqua pura, stanco di dover solo chiosare, di decretare finali, arginare l’inchiostro, interrompere sogni.
Il punto disse “ciao!”, ma l’inizio comprese subito che quel saluto non era affatto di buon auspicio, ma anzi foriero di oscuri esiti, e non aveva intenzione di ravvisare alcuna fine per quell’idillio appena nato.
Fece finta di afferrare la mano tesa ma, d’istinto, rigettò il punto per la ripida parete scritta, e lui scorse di nuovo, ma stavolta nel verso esatto - seppur nella convulsa caduta - l’infatuazione, l’amore, la passione, e poi la noia, la distrazione, la gelosia, e ancora  malcontento e  rabbia, il furore cieco e la violenza pura, fino al sangue e anche lui medesimo, a fondo pagina, dove quel precipitare avrebbe posto fine ad una nuova storia immensa, riducendolo stavolta in  rivolo cremisi di punto frantumato. “Finalmente l’eterna felicità e nessuna fine mai”


lunedì 31 gennaio 2022

GIORNATA LIBERA

Uno dei miti della pensione è la "giornata libera", la giornata da dedicarti.

Senza limiti.
Quasi una figura mitologica che fin dai tempi della scuola hai potuto far coincidere giusto con qualche festa o sabato e domenica, ma sempre con carattere estemporaneo e terribilmente limitato nel tempo, come anche le vacanze o le ferie, tutte maledettamente a termine. 

Con la pensione sembrano cambiare finalmente i termini di riferimento. Basta obblighi, basta impegni, stop agli orari, gettata via la sveglia, non esiste più il weekend.
E' sempre weekend. E' weekend per sempre.

Questa l'idea malsana che ogni  presunto pensionato cura nell'orticello delle proprie illusioni.

In realtà, nell'esatto momento del raggiunto traguardo, si palesano all'istante un miliardo di commissioni, servizi, impicci, richieste, favori, visite, spese improvvise, genitori, sorelle e altri parenti da accompagnare un po' dappertutto... tutta roba esistente anche prima, sia chiaro, non sto architettando un mondo ostile che improvvisamente si materializza sulla nostra strada, ma un intero universo pulsante ed onnivoro che, quando si lavorava, non era mai stato neanche lontanamente preso in considerazione. 

Si lavorava, punto. 

Non si era disponibili per nessuno, non esistevano poste, banche, medici, analisi, visite, spese.. tutta roba che, o dopo le 18, o sabato e domenica, o niente.
Soprattutto niente.
Nel senso che gli altri, bene o male, si arrangiavano.
Noi si lavorava duro, e a tempo pieno.

La pensione fa ricicciare fuori tutto invece. Lo evidenzia di botto sull'uscio di casa, al telefono, al citofono, per mail, per uozzap, a voce. 

Dall'ordinario al più disparato. 

Il tempo libero trasformato in una vortice senza fondo dal quale millemila richiami gridano all'unisono. 
Le ventiquattrore saccheggiate senza ritegno fino a farle apparire ignobilmente risicate. 

Come è possibile tutto questo?



...però devo ammettere che  tempo per "qualche" post in più..
lo trovo !! ahah..

sabato 29 gennaio 2022

PER NORMA E REGOLA

 


La regola se ne stava lì, mogia e annoiata. Ferma nella sua essenza.
Qualcuno l’aveva stilata un giorno, altri dovevano costantemente controllare che non fosse disattesa.
Lei non avrebbe avuto modo di ribellarsi, contravvenire, disinnescarsi. La sua era una vita abitudinaria, consapevole. Oltretutto iniziava ad essere ormai desueta, conosciuta a memoria da tutti, difficile che qualcuno non la ottemperasse  anche solo inavvertitamente.
Il giorno che decise di sregolarsi mandò in tilt il sistema.  Di regola, si dovrebbe immaginare cosa può accadere quando un po’ tutto si dilegua, ma proprio venendo a mancare la prerogativa principale,  si era andati verso la congestione.
Quasi a regola d’arte, oseremmo dire, se non ci fossimo trovati, anche in questo caso, di fronte ad un’iperbole azzardata, che non percepiva più neanche l’eccezione che la confermasse; una norma rimasta orfana, un insieme che doveva essere servito, a regola.
Ad averne.

Ed invece no. La regola - o quel che ne era rimasto - guardava con distacco il caos che aveva provocato, astenendosi stavolta. Essere in regola era un pio desiderio, e lei era fuori di sé, altro da sé, ormai le mancava il desiderio e il rispetto necessario per rimettersi, come dire, in se stessa.

mercoledì 26 gennaio 2022

L'ELEZIONE FARSA DEL PRESIDENTE



Stiamo assistendo ad uno spettacolo davvero patetico. Da ieri niente più covid, nessun morto sul lavoro, sbarchi in controllo, Ucraina sotto minaccia, ma giusto una scaramuccia.

C'è solo lo spettacolo delle marionette al voto: grandi apparati, schede colorate, maratone televisive, grandi proclami, votazioni burla. La necessità di tre giorni di buffonate per arrivare ad un quorum manovrabile, una liturgia ammuffita figlia di un sistema bacato.

Se ad una ipotetica  Finale di Champions di calcio tra Inter e Milan (e premetto che si tratta pur sempre di un gioco) i giocatori decidessero che non si tira in porta fino al quindicesimo della ripresa, o iniziassero a tirarsi i cartoccetti in campo, ci sarebbe la rivoluzione, insorgerebbero i critici, il pubblico, la stampa, i media tutti. 

Si griderebbe allo scandalo, alla svendita di valori, all'imbroglio, all'indolenza, al cinismo e alla strafottenza. 
Saremmo tutti d'accordo nel voler abolire il calcio e prendere noi a calci i pasciuti e apatici protagonisti.

Se invece la medesima, patetica baracconata, avviene per l'elezione di un Presidente della Repubblica, è tutto normale.
Continuiamo a tenere bloccato un paese votando Amadeus e Frassica (due personaggi, oltretutto, che quasi sicuramente governerebbe meglio, specie il secondo).

Qualcosa non torna.

Ma sono contento che almeno metà di questi pupazzi, al prossimo giro smetteranno di scaldare scranni.   

lunedì 24 gennaio 2022

LA VITA CHE PERDE PEZZI

 


La vita sta perdendo pezzi.
Anche da bimbi ci muore gente attorno, ma tutto in maniera più attutita, distante, impercettibile. Poi cresci e le cose iniziano a riguardarti, a ferirti, non più solo a farti vago solletico. Dai del tu ad un sacco di malattie, frequenti ospedali, cliniche, funerali, sale operatorie viste solo nei film. In cucina hai una ricca scatola di medicinali cronicizzati, che apri più del frigo. Stai attento ai dolorini, ad ogni sintomo, ogni campanellino d’allarme che solo dieci anni fa ti avrebbe fatto sorridere.
La vita ti cancella punti fermi attorno, ti presenta cimeli che non esistono più, ti fa diventare pauroso e frenetico allo stesso tempo. Pensi di dover intensificare allora, di dover recuperare chissà che. Deceleri in realtà ma vorresti correre. Perdi affetti e ti restano memorie, case vuote, eredità che non vorresti, di cui non hai bisogno. Vorresti sorrisi in cambio, o di nuovo le parole che ricordi, quegli abbracci che non esistono comunque più.
Ti sorprendi a rigiocare a tamburelle con lo zio, su una spiaggia che ti ha visto crescere, tra amore di mare e ciambelle calde. Parenti eterni, supereroi, di quelli veri, immortali. Ma non ci sono più, anche se quel mare si, e ogni volta che torni ti crea sollievo da un lato ma dall’altro sono lame che penetrano attorno a tutto ciò che non è più e che prima di quanto immagini non sarai neanche tu.
La vita sta perdendo, e si sta perdendo in pezzi, pezzi anche tuoi, di te, come un sole eterno che di colpo incrini i raggi, come sfarfallio di lampada, fino ad allora integerrima erogatrice di luce puntuale, mettendoti ora il conto davanti,  a te che pensavi fosse tutto dovuto, già pagato. Un eterno self service.
Invece c’è una vita ingovernabile che avrebbe bisogno di regole, di pazienza incredibile, di lungimiranza, rispetto, dolcezza. Tutta roba di cui hai usufruito a scatafascio, ma che forse non hai mai imparato a restituire in maniera adeguata.