L’ultima fatica di Tom Hanks ci riporta a tante sue prove da solista. Qui progetta un
androide che, animato in capture motion, pian piano ruba scena ed emozione. “E’
la memoria e l’esperienza che rendono l’uomo diverso da una macchina”. La
memoria emotiva, sottolinea Tom, quella che va oltre il numero di viti e cavi
che sostengono un ponte, quella che ti
fa rivivere l’ebbrezza di una vibrazione di cavo sospeso, una volta che ci sei
sopra. Quella è l’esperienza. L’esperienza umana.
Finch sembra l’unico sopravvissuto ad un cataclisma apocalittico, con lui un
cagnolino, Goodyear, che è tutta la sua vita; ed ora, comprendendo che a causa
della malattia terminale causata dalle radiazioni nocive del sole, non potrà
più prendersi cura di lui, ha messo a punto, da provetto ingegnere, un androide,
addestrandolo al compito.
Un road movie post apocalittico che diventa uno splendido, anomalo, rapporto a
tre: uomo, macchina, animale, dove si intrecceranno esigenze, intransigenze,
emozioni e sentimenti.
Ci allontaniamo dai soliti cliché dove le presenze negative vengono, stavolta, solo presagite, per concentrarci su questa sorta di rapporto tra uomo e
macchina a vantaggio dell’animale. Miguel Sapochnik in regia si muove
sapientemente, dosando azione e sorpresa tenendoci sempre sul filo dell’attenzione.
Jeff, l’androide imbottito di informazioni e di leggi robotiche in funzione
dell’unico compito per cui è stato concepito, finirà per acquisire una
sensibilità superiore, ancora sconosciuta - purtroppo - a gran parte degli
esseri umani reali.
Caleb Landry Jones lo anima in
motion capture rendendolo deliziosamente umano, specialmente nei movimenti
delle mani, e nel riproporre sorpresa,
imbarazzo, gioia. Diventa presto coprotagonista indiscusso, dopo i primi,
scomposti, vagiti meccanici.
E Tom Hanks si muove a suo agio come sempre, sembra quasi prediligere il One
man show, un perenne Cast away dove mettere a frutto tenacia e costanza,
semplicemente canticchiando nel vuoto cosmico.
I paesaggi sono terribilmente reali, lontani dal clangore degli ultimi Mad Max, comunicano desolazione e nostalgia palpabili, rendono la sopravvivenza una questione etica, senza che lo spettacolarizzazione prenda mai il sopravvento.
In una delle ultime scene, sotto l’ombrellone, un Tom Hanks particolarmente in
tiro, si offre ad un duetto con Jeff dal delicato effetto distopico: insegnare
al cane a fidarsi di una macchina, perché quella macchina, semplicemente, sta
diventando un qualcosa di più. L’uomo è in perenne contraddizione, verso di sé
e verso il mondo, ma stavolta Tom sembra lasciare Goodyear in mani meccaniche decisamente più
sagge.