Sette episodi che si susseguono e si trangugiano golosi nell’incertezza di sapere cosa bolle in questa sonnecchiosa cittadina, dove ognuno ha da nascondere qualcosa, più o meno grave, dove le vite familiari si affastellano di difficoltà e complicanze, dove le ragazze spariscono e vengono, chissà, rapite o uccise, e dove l’omicidio del titolo serve a scavare nel fango e rimestare nel torbido.
E a chi può toccare indagare, se non ad una svuotata Kate Winslet, poliziotta tuttofare, cicciottella e costantemente con la bottiglia di birra in mano, ma fascinosamente tormentata e turbata da vicende familiari che più tristi non possono? E Kate indaga. È lei il centro del thriller. È lei che ha rapporti con tutto il paesotto. È lei che raccoglie confidenze ma ne distribuisce meno, cerca rapporti senza farsi troppe domande, toccata da lutti mai elaborati, scossa da casi irrisolti, attribuiti alla sua inefficienza, e costretta a collaborare con detectives esterni, chiamati apposta a risolvere l’irrisolvibile.
È lei il vero
fulcro della serie, con una capacità di recitazione e coinvolgimento davvero
potenti. Suadente anche quando zoppica.
Sei puntate col giusto metro
mistery, tutte con finale sospeso che ti fanno venir voglia di correre subito
alla successiva, pian piano si spargono sospetti un po’ su tutti, e noi
cerchiamo di cavare il classico ragno dal buco dipanando matasse sempre più
contorte; ma come succede spesso, quando inizi a pretendere troppo da puzzle
intricati, iniziano le arrampicate sugli specchi e la sospensione dell’incredulità comincia a
scricchiolare di brutto. Su tutte, la scoperta dell’assassino ad “inizio”
settima ed ultima puntata.
Cosa si aspettavano gli sceneggiatori dallo spettatore medio? Che si sarebbe
accontentato di quaranta minuti di titoli di coda?
A parte questo, magari ad avercene di più di questi prodotti, infinitamente più
fruibili delle sfilate di cappotti della Kidman, sempre recentemente vista su
Sky.