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"Figa 'sta cosa che se gira solo all'alba e al tramonto" "Eh si..c'avemo tutta la giornata libera!!.."! |
Alla
fine rieccoci all’ennesimo film sui loop che stanno tornando di moda, anche se
qui il loop è più spazio che temporale. La sessantenne Fern, vittima della
recessione, perde lavoro, casa e marito (cancro) praticamente in una botta
sola. Prende su la sua poca roba e con un fatiscente van e si appresta ad un
tour del precariato facendo la stagionale in uno stabilimento Amazon
(inquietante, a proposito, il siparietto sui parametri di sicurezza aziendale,
proprio in coincidenza con l’Oscar ed una morte accidentale in uno stabilimento
di Alessandria), raccoglitrice di barbabietole, operaia mineraria, tuttofare in
un fastfood, staff in un campeggio delle montagne rocciose. “Lungo la strada” conoscerà tante persone
che - alla faccia delle immensità statunitensi - reincontrerà regolarmente ad intervalli ripetuti, nel cerchio perfetto
di questo vagare ciclico, dividendo scampoli di malinconia.
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"certo n'asciugatrice avrebbe fatto comodo..." |
Ora,
al netto delle trentotto albe, i quarantatre tramonti, le ventisette istantanee di
coste in tempesta, foreste, ruscelli, sequoie e mini canyon, tutte degne di un
signor docufilm National Geographic, ci domandiamo quanto davvero resti della
riflessione filosofica.
I
nomadland, in parte evoluzione degli hippy, volenti o nolenti, ci sono sempre
stati, ma quelli che forse fanno più scalpore, fanno la spola tra Times Square
e Central Park, senza neanche un van a disposizione. I nomadland della Zhao
sono tutti al limite: malati terminali, abbandonati dalla famiglia, con un
fardello di figlio suicida. Fern li incontra tutti di striscio anche se a
ripetizione, ne vuole condividere il sorriso ma non donare confidenze, e
neanche un panorama di natura in solitudine, da sola con i propri spettri. Forse le fa paura quell'aria di famiglia arruffata, i falò a raccontarsi, la sera, la mattina col thermos del caffè in giro per il buongiorno. Non era questo che voleva.
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"..ao se sta fa' 'na certa.. " |
Poi
capitano i contrattempi, una ruota che fora, un motore che fonde (ma siamo solo
alla lontana dalle parti di Into the wild, un altro che aveva abbandonato la
vita agiata, ma non la carta di credito), e allora non resta che una sorella
lontana cui chiedere un prestito. La ospiterebbero pure ma c’è come un’acredine
nei confronti del mondo che le si è rivoltato contro, e che contagia entrambe
(“sei sempre stata irrequieta”).
In
fondo aveva solo una piccola casetta prefabbricata dell’azienda, un lavoro
semplice, un marito da amare.
Toltole
questo, rimane un vagare stordito.
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"..almeno nel Missouri mettevano qualche manifesto.." |
E
quando sul finale del film, nella casa di Dave, altro nomade riconciliatosi con
la famiglia, dove potrebbe rimanere per un nuovo inizio, la vediamo aggirarsi e
sbirciare i giocattoli di un bimbo mai avuto e sistemare la sedia di una sala
da pranzo ora deserta ma abituata ad ospitare, comprendiamo che è solo il senso
dell’incompiuto a renderla inquieta e animare, tuttavia, il suo futuro.
Nell’ennesimo
loop, ulteriore giro di giostra, ripassa dal suo vecchio ufficio deserto e
polveroso, poi nella sua casa abbandonata, tristemente vuota ma con un giardino
sul retro affacciato sul “deserto, deserto e ancora deserto”. Quel deserto che
nessuno potrà sottrarle.
Tuttavia,
sono sicuro, la scena che ha consegnato l’Oscar a Frances McDormand è quando siede alla guida di
un caravan ultratecnologico in esposizione, e inizia a muovere il volante
imitando con la bocca il vroom vroom del motore e un clacson stridulo da far
invidia ai migliori brucomela di Disneyland..
non per nulla è la sig.a Coen, e
sotto sotto se la diverte un mondo..
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"..e mo' chi glielo dice che non c'ho manco la patente!!!.." |