Passiamo la vita a
contare.
Appena aperti gli
occhi: i minuti che mancano alla sveglia,
se è lei che ci
sveglia, invece, il tempo passato in bagno
e quello per preparare la colazione,
i post da leggere,
i
commenti arrivati,
le notifiche,
i uozzap,
poi le camicie rimaste pulite,
i nuovi contagiati in tv,
le scatolette di
tonno superstiti per il pranzo,
i km e i minuti per arrivare in ufficio,
la
mail di lavoro,
le persone in coda al bar,
i clienti alla porta,
i bonifici da
eseguire,
i soldi da contare (quella una tragedia che occupa mezza giornata,
soldi non miei ovviamente..),
le occasioni perse,
le telefonate da fare,
le
cambiali da protestare,
i giorni che mancano a domenica,
e quelli a Natale,
poi
contiamo su noi stessi,
ma anche un po’ sugli altri;
quanto manca per tornare a
casa,
il tempo per raggiungerla,
quanti piani in ascensore resistendo alla
pipì,
quante nuove serie Netflix
e in quanto tempo ci stuferemo a guardarle,
se
sono stati più i sorrisi fatti che quelli ricevuti,
i piatti da lavare e le
pecore per addormentarsi, e domani si ricomincia.
Ma contiamo davvero
qualcosa?
Nella nostra, pur
effervescente, minuscolità?