venerdì 5 ottobre 2018

CHI MI ABITA?



Conosco, vedo, avverto l’esterno,
anche in lontananza.

Odoro la mia superficie,
mi addoloro e mi faccio accarezzare.

Ma chi mescola muscolo e sentimento
tra fegato e aorta?

Chi socchiude un poro per sudare fuori
molecole in avanscoperta?

Chi mi cresce nei capelli disordinati?
Nelle unghie ricurve?
Nelle lacrime a torrente?

Chi eclissa scrigni di memoria,
e traccia mappe, poi,
per andare a disseppellirle?

Qualcuno corre a perdifiato
per i cunicoli del mio intestino,

gioca a nascondino tra scorie
di colesterolo,
mi tende i muscoli fino
a sfibrarne la pazienza.

Credo sia anche moroso.




sabato 29 settembre 2018

SETTEMBRE SENZA SCAURI






Per la prima volta da tempo immemore (ma parliamo nell'ordine dei cinquant'anni), non metterò piede a Scauri quest'anno.

Cittadina anonima al confine tra Lazio e Campania, ma teatro di tutta l'infanzia e adolescenza, e di tutti gli annessi e connessi che ognuno può immaginare...

Anche nel 2016, reduce dal fresco infortunio alla spalla, ebbi comunque la forza (o l'incoscienza) di passarci un weekend poi rivelatosi - per scomodità e dolori - da dimenticare...

Quest'anno è l'infortunio di mia mamma a tenerci lontano da quelle amate rive.

Il tempo passa inesorabile, si, ma è un evento (il tempo che passa) che rimandiamo sempre, o perlomeno rimandiamo i nodi che verranno al pettine, ed il far fronte a esigenze e fatalità che ci saremmo volentieri risparmiati.

E quindi? Che post è questo? Per dare memoria ai rimpianti e ai dispiaceri? O per tenere a mente che le cose accadono (tutte prima o poi)?

Diciamo tutto un po'.. ma soprattutto un omaggio al mio mare di una vita.

Scauri

Ora sei in riva al mare
velato dalla sottile pioggia
di Novembre,

vedo l'orizzonte fuso
col cielo ruggine,
sabbia mattone
tra infiniti relitti
di nervose maree.

Silenzi incolmabili
sfuggiti all'eco
complici del buio che ora
circonda - vorace – tutto,
gabbiani e scogli,

e sento il vento
che trascina
aria di Gaeta
fino a te.










lunedì 24 settembre 2018

CHIAMAMI COL TUO NOME: PESCA O ALBICOCCA?



Pesca e albicocca. Di entrambe ci eravamo fatti un'idea diversa prima del film, ma Guadagnino ci chiarisce ogni dubbio, puntando direttamente all'Oscar.

Qui si parla di Amore con la A maiuscola, ignorantelli che non siete altro: gay, etero o bisex.
E se non bastasse, il rapido cameo di “Rosellina e Celestino”, i due gay ospiti dei genitori di Elio, didascalico emblema della gaiezza convenzionale, sottolinea subito la differenza con l'immensa storia di spiriti confusi e brame dell’eros, coi piedini a toccarsi e le manine a sfiorarsi lievi, di Oliver, dall’alto del suo fascino conturbante, e di Elio, in piena tempesta ormonale, due figure che pur non disdegnando l‘erotismo più classico assegnato loro da volgari, insensibili e ciechi cromosomi (copuleranno e sposeranno sessi diversi), intanto insegnano al mondo che l'Amore Vero non può guardare in faccia a nessuno.



Ed il messaggio politically correct deterge tutto il film di casto segreto.
Nessuno dovrà sapere di loro e non si esporranno mai: “Non userai questo contro di me, vero?” Chiede all’efebico e incantato Elio, lo statuario Oliver, coinvolto sì, nella storia, ma conscio di non poterla sbandierare mettendo a repentaglio il suo lavoro e la sua vita già inquadrata.

Poi c’è la bucolicità, l’estate pigra, gli occhialini da “lens in black”, le scaramucce iniziali, la diffidenza dei primi approcci mascherati da finta arroganza, a rendere poi più intrigante l’attrazione… (come in una qualsiasi storiella d’amore a polo positivo vs. polo negativo)

E questo sarebbe un film da Oscar, piaciuto alla stragrande maggioranza di tutti, con livelli di Poesia esaltati dall’Amore Maiuscolo, che non guarda alle sciocche convenzioni bisessuali ma si esalta nel Sentimento Totale.

Quindi potremmo innamorarci anche della nonna o fare sesso con l’amato cagnolino, perché no?
No dai, non esageriamo, proprio al massimo.. con una pesca, che etimologicamente, in questo caso almeno, al contrario dell’albicocca arabo/latina, deriva da “pescare (nel torbido)”… ed infatti, la scena con il succoso frutto, a metaforeggiare un rapporto anale (almeno credo) lascia basiti, come poi tutta l’evoluzione della stessa… forse con un’anguria veniva meglio, e avrebbe fatto ancora più ridere, messa a confronto con gli inserti filologici, i reperti bronzei e le “sensuali” diapositive di statue greco romane; ma come anche con i paesaggi agresti, i borghetti assolati, le cascate, i prati da correre e i laghetti limpidi, le macchinine color pastello anni ottanta, i telefoni a gettoni, i treni a vapore, le nuotatine e i balli fuori moda… tutte robe care allo sceneggiatore Ivory, regista di Camera con vista e Casa Howard...


E le donne? Le donne di questo film sono simpatici accessori, dalle ragazzette vacue e leggerine che gironzolano in bici con le loro domande profondamente spiazzanti (“ma io sono la tua ragazza?”), alle Mafalde donne di servizio del primo ottocento più che del 1983, fino alla mamma di Elio che legge versi in tedesco da brava ebrea (!) ma che il sesto senso di mamma e donna l’ha smarrito chissà dove e guida serena col figlio accanto che singhiozza, senza chiedere nulla…

Anche perché il Pistolotto Finale è a carico del padre, filosofico e comprensivo, che esalta l’Amore in tutte le sue accezioni, sottolineando al figlio che, comunque, il cuore svampa, gli anni passano, il corpo sfiorisce, i bambini crescono… e alimentando anche il dubbio - perché no - su retroscena potenzialmente pedofili...

Anche l’escamotage dello scambio di nome non servirà ad altro che a sublimare il momento topico della telefonata finale… quella che squarcia i cuori più sensibili, elevando un’episodica infatuazione estiva, da trasgressivo flirt, a storia romanzata.






venerdì 21 settembre 2018

FARE FOTO



Chissà se la luce catturata
in una manciata di pixel,
non sia che un disegno dei nostri occhi.
Non altro che una proiezione
verso l’esterno di un intimo sogno.

Fuori, forse, solo disordine,
una densa fiera
di colore fluttuante,
disposto ad ampie angolazioni e curvature,
e noi, con un clic,
lo adeguiamo al nostro sentire,
al nostro vedere.

Mi piace pensarlo,
mi piace vederlo.





sabato 15 settembre 2018

GENTILEZZA PADRONA DEL MONDO?


E comunque, anche ad un film turlupinato come quello del post precedente, se riesce ad ispirarmi qualche verso, qualche utilità mi sento di attribuirgliela...



Con un ossimoro,
che intrigherebbe ogni spirito illuminato,
vedrei la gentilezza diventare padrona del mondo.

Immagino allora
lo stupore di chi cova intolleranza,
la sorpresa di chi non frequenta fiabe,
il timore del mancato sognatore di sogni.

Ma anche quella gentilezza,
presa in contropiede,
e chiamata a decidere per altri,
delegherebbe con un sorriso:
dopo di lei”, il nuovo karma.

mercoledì 12 settembre 2018

WONDER. COME TI ARRUFFIANO IL PUBBLICO.



Un film che tifa spudoratamente, se non proprio per il “bello”, sicuramente per il buono e per il gentile, che se sparati a pioggia, alla fine - bello - ti fanno diventare comunque.

Un tipo di cinema molto ruffiano cui piace vincere facile.
Lo inquadro nella bacheca delle forrestgumpate: quindi una narrazione che si esalta coi presunti perdenti sistemandogli ben bene le carte per farli uscire vincitori.



Il nostro August, protagonista di un romanzo di Palacio, non sfugge alla regola, nato col viso deturpato per cause genetiche, sarà sottoposto a svariati interventi per addolcirne la deformità, nonché amato visceralmente dalla sua famiglia, che gli assicurerà affetto, sostegno ed istruzione evitandogli contatti prematuri ed imbarazzanti con i coetanei.
Ma i dieci anni, e la prima media, sono arrivati: per il nostro Auggie, cresciuto con ambizioni lunari (gira infatti con un casco della Nasa che gli garantisce sogni spaziali e immunità visiva), è giunta l’ora di farsi vedere dal mondo.

E allora ci prepariamo ad un’ampia selezione di stereotipi: dai bimbi che si scansano al passaggio del “mostro”, all'immancabile bulletto di scuola con la sua cricchetta spavalda, alla sorella che soffre l’assenza di attenzioni, riservate tutte al fratellino menomato, e che farà coppia con un nero (tanto per omaggiare anche in questo caso la politically correct) dopo essere stata bistrattata dalla confidente del cuore che prima la molla per machiavellici motivi e poi si pente con colpo di “scena”, al bel ragazzino perfettino, prima comprensivo, poi voltafaccia, poi di nuovo amichetto, fino ai genitori invidiabili, onnipresenti, indulgenti e protettivi, senza mai un cedimento.



August si muove in questo panorama, a volte svicolando, ed altre cadendo, in trappole scontate; è forte della sua intelligenza, e di quella gentilezza citata ad inizio film: “Quando ti viene data la possibilità di scegliere se essere giusto o essere gentile, scegli di essere gentile”.

Un atteggiamento che deve permettere il “cambio di sguardo” nei suoi confronti, come auspicato dal preside ispirato, ma che non può ammantarsi di sfacciata smielatezza da far sciogliere come neve al sole tutti i nodi che il film, artatamente e qualche volta senza filo logico, crea mano a mano ad esaltare risaputi cliché hollywoodiani, fino all’epilogo finale dell’applauso scolastico a scena aperta…

In definitiva, parodiando il precetto prima citato: “Se proprio dobbiamo scegliere tra un film giusto, ed uno buonista. Scegliamo quello giusto”





sabato 8 settembre 2018

SARAMAGO: DEL RESTO E DI ME STESSO




Raccolta inedita di cronache e articoli di José Saramago. 
Un omaggio alla minuzia, uno sguardo sul quotidiano, sull'istantaneo.

Su ciò che sfugge a chi solitamente guarda ma non vede. Lui colora con le parole, spazi, luoghi ed attimi “che sembrano rinunce”, per quanto labili e sospesi.

E’ la gentilezza a parlare, la discrezione a farsi carico,
a descrivere luoghi amati - Lisbona su tutti -
resteremo zitti e pensierosi ad ascoltare l’orologio che va uccidendo i secondi sul nascere”.

Un Saramago ispirato, acuto e chirurgico, che esamina “gli spigoli vivi della nostra condizione di esseri sconnessi” senza necessità di perdonare e perdonarsi nulla, ma con una gran voglia di quieto indulgere, scovando tutto “il resto” del titolo, adagiato sulla propria sensibilità.

Pone interrogativi senza pretendere la risposta, proprio perché mille volte è proprio l’interrogativo a divenire protagonista.

Saramago ci racconta dei silenzi, di vizi paesani e paciose abitudini, delle cose dimenticate (una per tutte: i cancelli abbandonati), della forza dei sorrisi: “Quando la luce del sole passa sui campi in balìa del vento e delle nuvole, che cosa si è mosso sulla terra? Eppure era un sorriso”, o delle favole che fanno mormorare il sangue nelle vene.

Narra e si narra, incollandoci alla pagina, di tutto quel “resto” che, indelebilmente, fa parte di lui.