Un
film che tifa spudoratamente, se non proprio per il “bello”,
sicuramente per il buono e per il gentile, che se sparati a pioggia,
alla fine - bello
- ti fanno diventare comunque.
Un
tipo di cinema molto ruffiano cui piace vincere facile.
Lo
inquadro nella bacheca delle forrestgumpate: quindi una narrazione
che si esalta coi presunti perdenti sistemandogli ben bene le carte
per farli uscire vincitori.
Il
nostro August, protagonista di un romanzo di Palacio, non sfugge alla
regola, nato col viso deturpato per cause genetiche, sarà sottoposto
a svariati interventi per addolcirne la deformità, nonché amato
visceralmente dalla sua famiglia, che gli assicurerà affetto,
sostegno ed istruzione evitandogli contatti prematuri ed imbarazzanti
con i coetanei.
Ma
i dieci anni, e la prima media, sono arrivati: per il nostro Auggie,
cresciuto con ambizioni lunari (gira infatti con un casco della Nasa
che gli garantisce sogni spaziali e immunità visiva), è giunta
l’ora di farsi vedere dal mondo.
E
allora ci prepariamo ad un’ampia selezione di stereotipi: dai bimbi
che si scansano al passaggio del “mostro”, all'immancabile
bulletto di scuola con la sua cricchetta spavalda, alla sorella che
soffre l’assenza di attenzioni, riservate tutte al fratellino
menomato, e che farà coppia con un nero (tanto per omaggiare anche
in questo caso la politically correct) dopo essere stata bistrattata
dalla confidente del cuore che prima la molla per machiavellici
motivi e poi si pente con colpo di “scena”, al bel ragazzino
perfettino, prima comprensivo, poi voltafaccia, poi di nuovo
amichetto, fino ai genitori invidiabili, onnipresenti, indulgenti e
protettivi, senza mai un cedimento.
August
si muove in questo panorama, a volte svicolando, ed altre cadendo, in
trappole scontate; è forte della sua intelligenza, e di quella
gentilezza citata
ad inizio film: “Quando ti viene data la possibilità di scegliere
se essere giusto o essere gentile, scegli di essere gentile”.
Un
atteggiamento che deve permettere il “cambio di sguardo” nei suoi
confronti, come auspicato dal preside ispirato, ma che non può
ammantarsi di sfacciata smielatezza da far sciogliere come neve al
sole tutti i nodi che il film, artatamente e qualche volta senza
filo logico, crea mano a mano ad esaltare risaputi cliché
hollywoodiani, fino all’epilogo finale dell’applauso scolastico a
scena aperta…
In
definitiva, parodiando il precetto prima citato: “Se proprio
dobbiamo scegliere tra un film giusto, ed uno buonista. Scegliamo
quello giusto”