Specialmente in questo
periodo senza cinema,
senza la magia della sala intendo:
il buio, il brusìo,
l’odore dei popcorn, due ore per immergersi totalmente in una pellicola, senza
telefoni che squillano, distrazioni, luci moleste, rumori esterni…
parlare di Grande
Cinema, può far solo piacere.

I DUELLANTI
L’opera prima è bisogno di fare film.
Ancor prima di saperlo fare.
Ed in Ridley Scott il bisogno trasuda ad ogni inquadratura coniugato ad una
miracolosa, incredibile consapevolezza del fare cinema.
C’è entusiasmo e fresca sapienza, maniacale applicazione pur nella
ristrettezza dei mezzi.
Conrad scrisse Il duello in tre mesi, Scott lo rende “visione” in un anno.
Ci trascina in un ossessivo, apocalittico inseguimento lungo un ventennio.
Il grottesco reiterarsi del duello è l’anima del film.
Il duello comanda ed i duellanti sono pedine (qui forse l’unico errore nel
trasporre il titolo, dove Scott predilige all'atto, gli attori), ed anche noi,
alla visione, siamo pedine: duello come estrema sintesi del nostro combattere
col mondo e con noi stessi senza soluzione di continuità.
Conrad coglie le nostre debolezze ostentandone l’assurdo e Scott le
confeziona in iter visionario facendoci masticare l’ordinario della follia.
Restano le performances assolutamente di rilievo di due mostri sacri calati
appieno nelle parti.
Il loro sudore, l’odio, i tremori, la sorpresa, la cattiveria e gli
stupori, le ostinazioni e le gioie, le fughe, gli accenni e gli affondi, i
ripieghi ed il sangue.
E questo cocciuto
fronteggiarsi.
Carradine e Keitel disumanamente umani di fronte all’ineluttabilità.
Incomunicabilmente esasperati,
raffinatamente maniacali,
fino al geniale epilogo.
Giocoforza, poi, divenire maniaci di Cinema.