martedì 23 febbraio 2021

CAMBIARE L'ACQUA AI FIORI

 

Ecco un libro del quale sembra non esistere una recensione negativa. L’ho letto anche abbastanza velocemente, mi ha preso molto all’inizio. Forse perché vi si narra la storia di una custode di cimiteri.

Un posto dove tanti si trovano a disagio, un posto dove a me piace passeggiare invece, spulciare le lapidi altrui, sbirciare gli epitaffi, osservare le architetture e gli ornamenti, le date dei decessi e le foto scelte.. lo facevo anche prima della morte di mamma, anche se meno spesso, andando a trovare suoceri, amici, nonni, zii.. quindi l’atmosfera di luogo appartato, di isolamento riflessivo ed intimo,  descritta nel libro, l’ho trovata subito nelle mie corde.

Ed anche Violette, la custode (anche se da più parti accostata - impropriamente - alla Renée  de “L’eleganza del riccio”), mi ha comunicato quasi un senso di complicità e di affinità elettiva, con la sua quiete interiore, la maturità ed un livello di esistenza superiore, mi è parsa permeata in acutezza e sensibilità da quel luogo di “pace eterna” . Ma proprio mentre mi stavo accomodando tra le pagine placide di aromi e tempi dilatati, si parte per la tangente. Violette ha un passato, e ci posso stare, ma soprattutto diventa arbitro e crocevia di una moltitudine di intrecci che svicolano tutti per il piccolo cimitero di provincia. Dall’amore folle a quello molestissimo, dal thriller elementare fino alla sua soluzione infantile. Dagli intrecci di vite diverse e molteplici, dai contorcimenti familiari fin troppo ambigui, improbabili, irreali. Dai ribaltoni alle confessioni, dalle preghiere ai distacchi e alle rinunce. Incontri e  rincontri, tutto e tutti  intruppati, a mirabolante incastro, nel sottosuolo del piccolo cimitero, con i flashbacks a esumarsi l'uno con l'altro.

E’ come nei piccoli paesi, appena fuori dell’abitato, dove mi piace aprire vecchi cancelli cigolanti, in minuscoli poderi, a volte in appendice ad antiche chiese appesantite dalle stagioni; a volte su disordinati cimiteri ricolmi di passato, di storie e racconti: non c’è morte ma solo palpabile quiete, tombe e lapidi sembrano composte sciattamente, lasciando minimi e insensati spazi, ma rimane l’idea di un composto omogeneo, affiatato, necessario.. una tavolata di vecchie conoscenze, e noi a passeggiare chiedendo permesso e origliando leggende.. 

Forse da qui quel “cambiare l’acqua ai fiori”, perché quel sottoterra brulica di sete d’amore, vendetta e incanto, odio e fascino, oblio e rammarico. Ma andrebbero impiantati semafori per quei vialetti, non lucine (quei semafori addirittura esaltati e protagonisti, attraverso una pagina di melassoso cinema a nome “I Ponti di Madison County”), e chi passeggia sopra non è che la punta dell’iceberg di sconvolgimenti che partono da lontano ed evidentemente non trovano pace ma, anzi, la arano quella terra fino a sviscerarne ogni più recondita radice. E lì comprendiamo che la Perrin (nella vita coniugata Claude Lelouch, del quale non lesina nel libro scene e citazioni) non vuole più solo stupire: vuole strafare, vuole ammucchiarne di legna sul fuoco, inondarli d’acqua quei fiori; adultere che danno del Lei,  personaggi e personaggini che si incrociano a più riprese, e poi esequie su esequie, orazioni funebri da show, numero dei presenti e numero degli assenti, collezione di vedove inconsolabili, matrimoni che ce ne fosse uno azzeccato, rimorsi e rimpianti, ceneri al vento e inumati che, in realtà, non ci sono mai stati. Un continuo scoprire carte (o tombe): si parte per sottrazione e i piani temporali disseppelliscono (per rimanere in tema) altri piani temporali. Un cimitero che è Arrivo ma allegoricamente Partenza, in teoria indizio di stabilità definitiva, ma in realtà punto focale dove il tutto si aggira vorticosamente attorno, tutto passa per la casa della custode, segreti e consigli, sensazioni e sentimenti, passato e futuro, consolazioni e rivelazioni; quella casa racchiude un turbinio, e il terreno attorno sembra dissodare costantemente, anziché custodire, urlare anziché silenziare.

Ricordo ancora quando, per vedere se le lampade crepuscolari messe nel terreno vicino la tomba di famiglia di mamma, dovetti aspettare nel cimitero, quasi fino all’orario di chiusura, che ci fosse abbastanza oscurità per permettere ai led di accendersi. Ero praticamente da solo a  passeggiare sereno tra vialetti e lapidi in un magnifico silenzio, ignaro dello spettacolo che di là a pochi istanti mi sarebbe apparso: nell’oscurità incipiente una miriade incredibile di lucine stavano creando autentico spettacolo. Una città fibrillante di luce, come di festa, ma privata, una festa solo per me, e per la mia mamma.

“Signor Seul, se sulle porte degli armadi ci sono le chiavi, è perché nessuno li apra” questo fa pronunciare Valérie Perrin a Violette. In realtà Cambiare l’acqua ai fiori si sarebbe potuto chiamare: “Svuotate gli armadi: se non ci sono le chiavi, chiedete a Violette”. Mi rendo conto però che sarebbe stato troppo lungo, ed in qualche modo avrebbe potuto spoilerare gli innumerevoli epiloghi, con svariati incipit ad orologeria, tenuti semi occultati per due/trecento pagine.. giusto per farci ambientare ad atmosfere solo apparentemente lugubri. Un romanzo a scatole cinesi a forma di piccole bare, se mi è permesso il gioco di parole. Un narrare che chiede troppo, a mio avviso, nella nobile intenzione di donare tanto, sia chiaro, ma che rischia di fracidare anche il fiore più resistente, a volergli cambiare troppo spesso l'acqua.



 

 

sabato 20 febbraio 2021

ANNUNCIO RITARDO



Dopo aver mollato un supponente Frecciarossa, aspettavo, assieme ad altri, il Regionale delle teoriche 17,05. 

L'annuncio "anticipo", colse molti di sorpresa. 

Anche perché tutte le fonti di orario stavano sballando, si pensava ad eccessiva calura o ad anomale tempeste magnetiche. 

Noi lì, ormai un po' istupiditi, si ipotizzava potesse essere addirittura pomeriggio inoltrato. 

Quando il treno giunse sembrava in surplace. Entrò in stazione sbuffando lievi soffi di vapore stanco.. e si diede un'occhiata tronfia, tutt'attorno, della serie: 
"decido io quando si arriva, e quando si riparte, ora".  

Solo un vecchio merci in sosta bofonchiò qualcosa sull'arroganza dei giovani... e tornò ad arrugginirsi in silenzio. 

Un giorno era giunto spavaldo anche lui, e sempre di pomeriggio. 

Certe coincidenze spaventano.



giovedì 18 febbraio 2021

MALCOLM & MARIE

 


Malcolm e Marie, ve lo ripeto, così se dovesse sfuggirvi durante il film, visto la ricchezza di location e personaggi, voi saprete sempre che sul set ci sono Malcolm e Marie. Del resto anche loro si chiamano per nome: “Malcolm, che stai dicendo?” “Marie, credi che non ti ami?”. Come del resto Luisa ed io a casa: “Luisa, dov’è il sale” “Sempre al solito posto, Franco”. Ma in quale casa con due sole persone, le medesime si rivolgono una all’altra, ripetendo il nome ogni due per tre, in quale casa vorrei sapere?!.


Dicevamo, Malcolm e Marie, sono neri, il film è in bianco e nero, il loro umore è un po’ bianco un po’ nero, litigano, fanno pace, litigano, fanno pace, litigano, fanno pace. Lui è un regista (nella vita è il figlio di Denzel Washington) lei la sua fidanzata (nella vita è Zendaya, famosa non si sa perché, ma tutti son presi dall’euphoria). Il regista vero, invece, è Sam Levinson ("Ma davvero questo è il figlio di Barry?!")



Sono appena tornati a casa dalla prima del suo film, festeggiatissimo, ma lei è un po’ storta perché, pur ispirando la pellicola, non è stata ringraziata nel discorso, appunto, dei ringraziamenti. Anzi, non solo non è stata ringraziata, ma neanche scelta come attrice. Lui si dispiace, si dispiacerà tutta la sera, tra un piatto di maccheroncini scotti come solo in America e conditi con burro a pacchi come solo in America;



e cercherà di spiegare ma senza spiegare, cercheranno di fare pace, lei col suo alluce valgo più cicciotto delle sue tette, e qualche scena madre tanto per fargli capire perché sarebbe famosa;  lui parlando e muovendosi come un rapper di quelli schizzati, e arrabbiandosi con la prima recensione online che parla di capolavoro ma è scritta da una stronza bianca (che comunque col bianco e nero non stona), e col viso a barbetta disegnata che vira spesso sul catatonico (che in Tenet ci stava pure, vista la sceneggiatura improba) ma qua fa solo pensare “Ma davvero questo è il figlio di Denzel?!"




La casa è minimal da paura e si fuma diligentemente solo fuori della finestra dove si aggira mollemente il dolly, dentro si beve solo (salutisti va bene ma c’è un limite a tutto..). Il distanziamento è assicurato, del resto il covid è covid e non guarda in faccia a nessuno, per questo anche Malcolm e Marie si allontanano spesso ("Marie? Marie? Marie dove sei?!"), lui vorrebbe avvicinarsi a più riprese (alla faccia del covid) ma proprio mentre lei si decide per il si, si ricorda che, no! Malcolm gliel’ha fatta grossa stavolta.. non l’ha ringraziata, non l’ha scelta, non l’ha considerata, non si accorge di lei, è troppo egocentrico.. e insomma niente, per stasera, neanche masterizzata.


Quindi a letto senza cena (anche perché coi maccheroncini intanto puoi stuccarci il garage), ci laviamo i denti una ventina di minuti e poi ninna.

E un po’ ninna anche noi, a dir la verità. 




mercoledì 17 febbraio 2021

MA POI CHI E' FRANCO BATTAGLIA?


Perché è facile dire che è uno che sogna, sbircia, viaggia, interpreta, 

fotografa, ama, colleziona e poeteggia 

Poi c'è un Franco che si arrabbia, che (si) delude,  

che vorrebbe piacere e piacersi. E invece non (si) piace poi tanto.

Che non risolve, non pianifica, non raggiunge, non riesce e un sacco di altri non.

Un Franco Battaglia in pensione, che ha lavorato abbastanza, ha fatto casini in abbondanza,  che ora ogni lunedì è di nuovo domenica, che finalmente piega l'ansia in un cassetto assieme alle camicie che non mette quasi più, perché erano un repertorio da ufficio, da colleghi, da clienti; e allora via nel cassetto assieme a tutto l'armamentario, alle mille cose da mettere a posto (perché è un trasloco che è per sempre, altro che diamanti..)

Un Franco Battaglia curioso che vuole ripartire (post Covid) il prima possibile, e apposta non si precipita al bar a fare lo spritz (che pur ama) o al ristorante ad ammucchiarsi. 

Un Franco Battaglia senza figli, con i suoi matrimoni, gli incidenti, le perdite, e paura che la vecchiaia possa essere brutta.  

Dal 2006 a scrivere di cinema su FilmTv, e dal 2013 su Blogger, su entrambe le piattaforme continuo a folleggiare, sulla prima come Lampur, e qui con Nome, Cognome e storia.

Settecento post di qua (e settecento recensioni di là), tra poesie e prose, viaggi e ritorni, prese in giro, racconti, recensioni, visite, analisi sociali e analisi mediche, ricoveri e di(s)missioni
trend, mostre, denunce, 
sport, teatro e sottocultura, amori e abbandoni,
barlumi di autobiografia, burocrazia e politichese, 
bellezze e brutture, 
cucina e fotografie, risate sguaiate, magie e tristezze, 
città e paesi, acque e montagne, 
gente da irridere e gente da esaltare, soldi e miseria, 
isole da sogno, 

e ancora sfoghi, stralci di vita, giochi; tutto insieme, tutto importante, come lo scambio di idee, le amicizie o le semplici conoscenze, e le delusioni, anche grosse.

robe inventate e robe vere, che fanno la posta dietro un risveglio, e un casino di altri pensieri da mettere in ordine..

Ma chissà voi, chi pensiate che io sia, se ispiro serenità di giudizio, o schizofrenia folle? 

Me lo chiedo a volte, come in questo post.. perché questo è un post a trabocchetto, per sapere cosa sbaglio, e fare le pulci a chi legge... 

del resto, se non voi, chi altri?


Davvero siamo come ci arrediamo casa?

domenica 14 febbraio 2021

USO DELLO SHAMPOO: DIFFERENZA TRA DONNA E UOMO


SHAMPOO DA DONNA:

Dev'essere tensioattivo anionico, non aggressivo, migliorare lo skin feeling, abbastanza viscoso e con schiuma stabilizzata con ossidi di ammine selezionati, correggere i ph in automatico, fragrante ma non invadente, non opacizzante, antiforfora, proteinico e vitaminico, e con la concentrazione micellare critica regolata in base a solfati non irritanti.


SHAMPOO DA UOMO:

Il tappo della confezione deve poter aprirsi sotto la doccia senza far ricorso ad esplosivi.

sabato 13 febbraio 2021

IL GIOCO DELLE ULTIME VOLTE


 

Prendo spunto dall'ultimo romanzo di Margherita Oggero, "Il gioco delle ultime volte".

"Quando è stata l'ultima volta che abbiamo fatto o visto qualcosa 

senza sapere che sarebbe stata l'ultima?"

mi vengono queste.. 


Quando ho guardato la fede del mio primo matrimonio, prima di perderla al mare. Giugno 1988

Il gol di Van Basten all'Ancona,  maggio 1993.

La mia prima maratona.. sigh! dicembre 1980 


..e di sicuro quando ho stretto la mano della mia mamma, 

e lei l'ha stretta a me. Settembre 2020




giovedì 11 febbraio 2021

LEI MI PARLA ANCORA (..DOPO IL FILM DI AVATI, NON LO SO..)

 


Dal racconto di Giorgio Sgarbi, da cui è tratto molto liberamente il film di Avati, giusto rare tracce della lirica e della leggerezza originali; ampio spazio, invece, ai mezzucci utilizzati da Pupi per sensibilizzare la platea, specialmente sul ricamato rapporto tra il protagonista che ha perso l’amata moglie e il ghostwriter chiamato a “immortalarne” la loro storia, davvero utilitaristici e risibili, adatti giusto al filmetto che viene fuori, e che trasforma l'emozione in melodramma facile facile, soffocandola in una girandola di soluzioni pretestuose e siparietti al limite.

Non sopporto questo modo di fare cinema, questo dover stupire lo spettatore anziché farlo addentrare con tatto, questo creare esagerati contrasti iniziali, per poi farli repentinamente convergere in una sincera e costruttiva amicizia (Gifuni che sparolaccia all’inizio, e alla fine va via con la testa fuori dal finestrino come un cagnolino a guardare Pozzetto; e sconforta, si, ma solo nel constatare a cosa si arrivi per coinvolgere con maldestra superficialità).

Quindi è già con il Pozzetto catatonico, rimasto nel limbo della memoria immortale della sua amata consorte, e il suo incontro con un Gifuni calcolatore, che guarda solo i suoi interessi - ad emozione e garbo zero -, che Avati brucia gran parte delle sue carte, rendendo macchiette posticce e arruffate anche tutte le figure di contorno.

Salvo giusto una luminosa Ragonese, anche se costretta a scene artefatte, come fuga e ritorno nella dimora di lui, appena sposati; ed un bel ritaglio anche per Haber,  misurato e a suo agio.. ma davvero poco, troppo poco.. e peccato per i radi squarci di poesia malinconica, che si perdono nelle forzature..