Canzoni ne escono a bizzeffe, ma per quest'ultimo pezzo di Cesare Cremonini, mi voglio spendere anche io con un post dedicato.
Si ascoltano sempre le stesse nenie.. bene che ogni tanto qualcuno vari registro..
Buon ascolto!
Canzoni ne escono a bizzeffe, ma per quest'ultimo pezzo di Cesare Cremonini, mi voglio spendere anche io con un post dedicato.
Si ascoltano sempre le stesse nenie.. bene che ogni tanto qualcuno vari registro..
Buon ascolto!
Su lodevole iniziativa di Mariella https://acquamari.blogspot.com/ voglio ricordare anche io Vincenzo Iacoponi, scomparso esattamente un anno fa,
ed insieme a lei Daniele https://agoradelrockpoeta.blogspot.com/ Cristiana https://lilladoro.blogspot.com/ Pia https://personalitascritturaartefantasia.blogspot.com/ e Patricia https://hermioneat.blogspot.com/
Ho scelto un commiato che mi ha scosso, Parlatemi di voi, una lirica di carattere, sempre espresso con la sua personalità. Il suo essere diretto. Il non girarci mai attorno.
Con Vincenzo una sintonia creativa.
C'era stata turbolenza perché entrambi senza peli sulla lingua, ma subito chetata in nome del rispetto, delle comuni passioni, del sano contraddittorio.
PARLATEMI DI VOI
Parlatemi di voi, amici miei,
ché io sono stanco di parlarvi di me.
Quel che vi ho raccontato in tutto questo tempo
mi torna tutto a galla nella gola
monotonamente,
e più lo spingo giù, più
me lo ritrovo in bocca,
sapore acido che non riesco mai a sputare.
Se almeno
ciascuno di voi volesse
dirmi una parola sola,
l´incipit di un discorso,
di una litania,
di un sogno,
di un insulto, di una
benedizione,
io potrei scegliere, oppure
sentirmeli tutti suonare nella testa
i vostri incipit,
come un 45 giri in un vecchio grammofono
a manovella,
come un 33 giri in un juke-box a gettoni.
Stacchi la spina quando sei stanco
di ascoltare.
Ma le parole degli amici, cattive o buone,
non stancano mai.
Resterebbe a lungo attaccata la spina:
tutto il giorno e poi
tutta la notte.
Parlatemi di voi è una preghiera ed un ringraziamento, uno stringerci le mani uno ad uno, gli sarebbe bastata una parola che forse arriva tardi, sostituita da un pensiero che non lo dimenticherà mai.
"Non ho poteri magici,
soltanto snido parole"
scriveva Vincenzo, e invece noi lo sappiamo che c'era magia nei suoi versi, che aleggia ad ogni rilettura, che ci tiene fragorosamente attenti e vigili, di fronte alle negligenze del mondo e dei suoi abitanti, noi per primi.
Ciao Vincenzo ;)
Si era partiti con una legge votata a maggioranza.
E tutti a dire e pensare “finalmente si danno una
ridimensionata!”.
La legge poi è stata cancellata. Toh!
Modificata in referendum. Ma guarda!
Le voci politiche, prima a favore,
tutte “stranamente” a fare marcia indietro. Che strano..
Il popolo dei complottisti a dire che la misura è sbagliata,
che non basta, che si risparmia un caffè al giorno (ahah!), che si perde in democrazia (e
anche in clientelismo, aggiungerei..)
Delle ragioni del NO mi procurano estremo fastidio i richiami continui a questa balla della fine democrazia e al risparmio irrisorio: è già adesso che il clientelismo e capigruppo fanno il bello e il cattivo tempo, in parole povere non cambierebbe un Bel Nulla, anzi, questo sistema bacato verrebbe ancor più certificato dal voto popolare, con buona pace di chi mal governa e peggio amministra
Io vorrei vedervi lavorare in dieci ma con tre di questi che inventano casini, fanno sciopero, stanno malati sette giorni al mese e, quando ci sono, vi nascondono le pratiche e organizzano risse in ufficio;
Non so voi, ma io lavoro molto meglio con poca gente collaborativa, volenterosa e che affronti le difficoltà invece di crearne.
E vorrei anche vedervi che mandate via uno che viene a
spegnere l’incendio della vostra auto con un secchio, dicendo che “no, un
secchio è troppo poco, lascia perdere che tanto non basta, ci vuole altro”.
Vorrei proprio vedervi.
Favoletta esemplificativa per i tanti ai quali piacciono le metafore: Un bambino birbante bigia la scuola, non studia, quando è in classe infastidisce i compagni, salta i compiti in classe e interrogato fa scena muta, una vera peste. Il corpo insegnante decide di graziarlo e promuoverlo, perché l'anno successivo, vista la comprensione e la lungimiranza del collegio giudicante, finalmente inizierà a studiare e diverrà uno studente modello.
A buon intenditor...
E tanto per chiosare: la Costituzione l'hanno redatta in 75.
Se fossero stati in 600 ancora stavano cavillando...
In realtà volevo riscattare e rendere giustizia ad una delle più umane e genuine speranze: l'aspettativa.
e mentre con Tenet le aspettative erano andate abbastanza deluse, sapevo con certezza che le aspettative di vedere un filmaccio, e poterlo stroncare con gusto, in questo caso, non sarebbero mai venute meno.
E avevo ragione... ;)
Muccinata s.f. Azione che denota leggerezza e immaturità cinematografica non sempre giustificabile, talvolta addirittura suscettibile di un giudizio severo, risentito: è stata una vera m.; (Zanichelli)
In questo caso l’azione, o meglio il goffo tentativo, di girare un film, l’ennesimo, da parte del regista che ha originato l’autorevole sostantivo in calce.
Ovviamente, in presenza dell’artefice originale, la muccinata acquista valenza doppia quando non tripla o quadrupla, attribuendo capacità ad ogni singolo interprete di esibirsi, ognuno da par suo, nell'intero parco delle efferatezze registiche del Nostro.
Ed eccoli qua i quattro moschettieri dell'orrido: Favino (ormai lo guardi e sembra un po’ Crazi, un po’ Buscetta.. ), Kim Rossi Stuart (più catatonico di Accorsi..e ce ne vuole!), Ramazzotti (come sgualdrineggia lei poche altre) e Santamaria (che si agita cercando di dare un tono al suo anonimo personaggio.. giusto Muccino poteva rinominarlo e farlo chiamare: a sopravvissu'..), strabiliano per impalpabilità espressiva, impudenza attoriale, vuotezza cosmica, intensità zero.
Fin dai loro alter ego adolescenti gettati allo sbaraglio, cercando di farne richiamare, in maniera ridicola, fattezze e movenze da adulti, con le loro schizzatissime moine in scala, e farceli vedere tutti frullati, poi, in un gioco dell’oca dai tanti bassi e pochissimi alti, che finirà inevitabilmente a tarallucci e prosecco, brindando “alle cose che ci fanno stare bene”, tutte cose che soltanto nell'immaginaria e patetica roulette mucciniana riescono a trovare il loro bandolo della matassa.
Partiamo da improbabilissime scene di guerriglia urbana, tra discoteca bordo strada e feriti da arma da fuoco lasciati lì nell'indifferenza.
La medesima indifferenza che meriterebbe il resto del film, sentimento (o presagio) cui, purtroppo, non diamo ascolto…
L’amicizia iniziale dei quattro protagonisti sviluppa in maniera saltuaria e volubile, dando risalto a pochi rilievi caratteriali: l’infingardaggine di Giulio/Favino, la rassegnazione di Paolo/Rossi Stuart, l’incostanza di Riccardo/Santamaria, la zoccolaggine di Gemma/Ramazzotti e la depressione del pappagallino suicida.
Il tutto condito dal reiterato saccheggio di svariati cantautori dell’epoca (Baglioni su tutti) e del richiamo - finto omaggio - costante a tutto un cinema d’oro anni sessanta, dai Fellini, ai Risi ai Monicelli fino al tanto celebrato(!) La meglio gioventù.
Quattro personaggi legati dal nulla, tanto per dar modo al Muccino di tirarne con l’elastichetto vicende e siparietti. A legare i tre maschi, la Ramazzotti, che vorrebbe giocare alla piccola Monica Vitti, senza averne ne’ statura ne’ personalità... alla fine quella più convincente (o meno finta) è la cantante Emma Marrone, nei panni della moglie di Santamaria.
Questo ci meritiamo. Poi dice che uno guarda Netflix...
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Scauri |
Non cambiano i luoghi,
forse neanche il tempo scorre.
Sono i nostri occhi
che viaggiano famelici,
a ritroso.
Scorgono quello che c’è,
sottraendo ciò che era,
in un viaggio dove la memoria
gioca sporco col presente,
perché accumula forza
ad ogni istante che passa,
ad ogni risacca,
ad ogni grida di bimbo,
ad ogni aroma di pasticceria.
Non cambiano i luoghi,
ne’ tutto il ricordo che vi si annida,
in profondità.
Sono i nostri occhi macchine del tempo,
che grattano mille riverniciature,
rivivono giochi, baci, pedalate...
vedono locandine di cinema
davanti vecchie arene ricoperte di edera,
riconoscono mare mosso
di infinite intemperie,
mentre è solo onda quieta, ora,
a creare brusio indistinto.
Pensa una poesia.
Immagina
l’odore, il peso,
la forma
degli aggettivi,
la memoria
che scava,
l’emozione che
emana,
lo spazio
che va occupando
come acqua in frenetico rivolo.
Poi limala,
fantasticala,
torcila.
Riempila di
te
all'inverosimile,
e rileggila.
Riscrivila
ora, accorciala,
elimina il
furore,
passeggiaci
attorno.
E ripensala, fuori da te;
in un altro
tempo,
scritta da
altre mani
e altre
lacrime.
Ed ecco che
già respira di suo.
Alla fine, quello che
rimprovero al buon Nolan, è di aver infarcito di qualche scena missionimpossibleiana
di troppo (e assolutamente non nelle sue corde, tipo la rapina al camion o i
buckinjumpiggeggi sui palazzi o ancora il tanto celebrato schianto del Boeing), un
film che probabilmente non ne aveva bisogno, vivendo già di suo più di un piano
temporale; anche i tornelli che servono per andare avanti e indietro, al posto della DeLorean di Ritorno al futuro,
lasciano - paradossalmente - il tempo che trovano per invertircelo sempre con
comodo come e quando serve (ma chi - e quando - li ha lasciati tutti ‘sti tornelli in giro?).
Il film stavolta non ti
lascia con quel “Ohhh!” di meraviglia in gola allo svelare dello svelabile,
perché per quanto tutto si contorca all’inverosimile la storia si incanala fin
dall’inizio in uno schema chiaro e prevedibile, alla faccia dell’inversione (che
comunque fa risparmiare un sacco di pellicola).
Avrei preferito un vero
ribaltamento, ulteriori scoperchiamenti di carte, oltre al sapere che il solo
Neil manovra nell’ombra (cosa che si capisce già dalla scena nel deposito a
Oslo quando riconsegna il casco all’uomo in tuta dietro l’angolo).
Di questo film
finiscono per affascinare le teorie possibiliste del dopo, i richiami
sottolineati alla famosa iscrizione palindroma latina Sator Opera Tenet Arepo
Rotas, leggibile sia orizzontalmente che verticalmente, i magheggi attorno ai
paradossi del nonno che nessuno potrà far fuori tornando dal futuro, il titolo
che potrebbe essere anche un richiamo ai “dieci” minuti di battaglia invertita
finale: TEN - NET, il figlio di Kat che vediamo bene come il Neil da crescere
nel culto di un futuro salvataggio a ritroso nel tempo.
Da contorno a tutto ciò
Il protagonista, attore senza nome anche nella vita, perché rimarrà giusto “il
figlio di Denzel”, quel Denzel Washington che in un fenomenale Déjà vu ci
ricorda molti dei meccanismi ad incastro sui paradossi temporali con ben altro
fascino e pathos.
Qui il figlio lo scimmiotta appena, nella camminata e in quel tipico aggiustarsi il pantalone quando si alza dalla sedia, ma per il resto non comunica emozione ne’ brivido.
Degli altri, Robert Pattinson
mi convince poco, dà costantemente l’idea di averci capito poco col copione che
gli spunta dallo zaino (a ben guardare protagonista - lo zaino - più di lui, alla fine), Kenneth
Branagh, orfano di Shakespeare, fa il cattivo con appena sufficiente nerbo,
Elizabeth Debicky, la bella spilungona da salvare appare fin troppo algida, e le
piazzano pure i tacchi per giraffare
meglio.
“Non sono lo bombe
esplose a fare la Storia, ma quelle disinnescate” questo il messaggio di fine
pellicola alle “posterità”.
Credo che invece Nolan
si sia disinnescato da solo con l’occasione, speravo davvero in un altro gioco
di Prestige, invece ho passato solo più volte il tornello (e non m’hanno
neanche misurato la temperatura).