C’è un Franco che adora
la Toscana d’inverno:
i colori frizzanti,
il sole
a stemperare il freddo,
le luci che arabescano i viottoli, il luminoso lago di Chiusi, i verdi saturati, le zuppe a riscaldare,
le passeggiate infinite a disintorpidirsi e a scorgere nuovi angoli,
e poi le fantastiche terme sensoriali, col viso nel brivido di un cielo minaccioso, ed il tepore dell’acqua a contrastarne gli umori.
Poi c’è un Franco che sempre più spesso si inoltra nei medesimi luoghi,
dalle tonalità calde e scottate, quasi esauste, stavolta;
luoghi appiattiti dalla stagione del calore ma allo stesso tempo esaltati di frenesia odorosa e vitale,
ricchi e gonfi di colore e profumo a straripare, tra esuberanti fiori e grano che fibrilla,
uva che si impenna e cicale impazzite.
E ora si ritrovano qui a scrivere, entrambi, e a capire come la preferiscono, questa terra incredibile, dagli spazi disegnati da un geniale architetto.
Ma il loro è un sogno comune, carpito per il resto dell’anno da una città
maldestra e disordinata, quella Roma tanto esaltata da chi la passeggia giusto tre giorni, quel tanto che basta a rimanerne incantati, e parlarne superlativamente al riparo, poi, dei propri luoghi di residenza.
Una città noiosa e decolorata, Roma, lontana da ogni sogno di riposo e ricreazione, insensibile e irrimediabilmente rovinata, comunque, dai suoi abitanti che, a lungo andare,
guasterebbero anche i posti fantastici che vanno magnificando a fine ferie...