martedì 26 maggio 2015

YOUTH - Quant'è bella (Giovinezza), che si fugge tuttavia! Chi vuol essere lieto, sia: di (Sorrentin) non c'è certezza


Il trio medievale che gorgheggia magico sui titoli di coda di Youth , rimarrà tra le perle di questa pellicola che almeno, rispetto ai fastidiosamente pretenziosi This must be the place e La grande bellezza, esalta ancor maggiormente virtuosismi fotografici, scelte di tagli e prospettive, soffermandosi sulla ricerca di una filosofia che rivela, anche ai più distratti, come la vita sia pur sempre fonte di sorpresa e speranze
Certo aiuta l'aver girato in (splendidi) spazi delimitati con liberatori sfoghi sui panorami svizzeri.
Montagne mozzafiato a circondare hotel e Spa di lusso.
Cura di sé e della memoria, frammenti di sauna, fanghi, vapori, massaggi terapeutici. Silenzi e meditazioni, almeno apparenti come c'insegna una coppia di tedeschi oggetto di scommesse.
Luci tagliate, corroboranti acque termali, pelli aggrinzite, personaggini evocanti (del resto Sorrentino, a Maradona, l'aveva ringraziato durante la cerimonia degli Oscar..) e fanciulle dai corpi spaziali che sottolineano il tempo che passa ai due amici/consuoceri alle prese con problematiche di quotidiana esistenzialità.
Ma come accadeva per il Servillo/Gambardella de La grande bellezza, affrontate nell'agio, permettono riflessioni assai più pacate (un po' come lo Stravinskij incontrato da giovane dal nostro sornione Michael Caine), anche se la depressione e le insormontabilità della vita non risparmieranno neanche i nostri ospiti.
Guarda caso Keitel e Caine rappresentano i loro mondi di cinema e musica, due arti senza tramonto, a differenza dei loro interpreti.
Stavolta apprezziamo di più, ci adagiamo sugli esercizi di stile, anche se a volte smettiamo di vedere la luna e ci distraiamo col dito che la indica.
Piccoli dettagli in fondo, ma che a un Bigazzi cultore del particolare non dovrebbero sfuggire.
Ci godiamo comunque deliziosi siparietti come il concerto di campanacci da mucca diretto esemplarmente da Caine, intervallati pur sempre da un sacco di roba inutile e prevedibile (tipo il buddista che imiterà scontatamente Birdman, la malinconica escort d'albergo o il marito sciocchino di un'intensa Raquel Weisz), ma gliela perdoniamo stavolta a Sorrentino, in fondo va migliorando, non è proprio stupido, come si penserebbe di una Miss Universo qualsiasi..






sabato 23 maggio 2015

SPECIALE CANNES!!!

Cannes 2015    Sezione Un certain regarde
ecco il film che farà tremare la croisette:



STRACCIVENDOLI (Kader Ragpickers)

Probabilmente l’azimut del regista cipriota Nicòla Osvodali, discepolo di un perduto neorealismo greco ortodosso, inviso alla critica, mai presente a festival e kermesse che proponessero la minima ribalta, anche a causa della sua manifesta acredine verso il sistema di distribuzione e produzione (addirittura il mega alternativo Cinefestival di Saluzzo ha evitato ogni minimo coinvolgimento con il compromettente regista, persino a livello di effimera ospitata), negato ai consolidati circuiti massmediatici (non esistono tracce dvd o streaming, televisive o amatoriali, buio sul web, motori di ricerca muti, e perfino la stampa del dissenso, imbavagliata suo malgrado).

Noi rischiamo grosso oggi, e rischia decisamente POSTODIBLOGGO a pubblicare, ma Straccivendoli deve irrompere nel sistema (cfr. Datevi una sistemata - 2004 Ediz. Superenalotto)

Un’opera spiazzante che dileggia e condanna, una wikileaks della coscienza, in grado di destabilizzare l’intero mondo - se solo potesse vedere la luce - e che l’intero mondo ora, vuole tarpare.
Prodotto porta a porta nei villaggi dell’entroterra cipriota, tra Famagosta e Kyrinia, con la paura della polizia, le rappresaglie delle minoranze oscurantiste sciite, oltre al possibile intervento revisionistico, avvisato a più riprese dai soliti disfattisti, il film è la storia di novelli straccivendoli di fanfaluche, di fandonie a presunto scopo umanitario, piazzate da imbonitori che tendono ad impadronirsi del mondo (cfr Convergenze biparallele 1959 ed. La Palestra), e narra di un drappello di protopoliticanti, mestieranti d’esperienza, gente che sopravvive sull'ignoranza, l'impotenza, il torpore e l'indolenza della moltitudine (cfr. La scuola dei dittatori Ignazio Silone ed. Mondadori - 1938) che maramaldeggiano nel fantasioso stato di Viteloja, destinato al disfacimento nel tentativo di annettersi a Creta, senza più neanche una sovvenzione da ignari eternauti abbindolati dai servizi segreti (cfr MikiMoz - Un post da 1000 euro (anzi 600) Editore Moz O’Clock).


Osvodali sfida l’annichilimento completo, la radiazione dal mondo, da questo mondo che denuncia, finalmente, per quello che è: un mondo d’umani infami, con in mano il potere, quel potere che trasforma le intenzioni, l’altruismo, la generosità, (il futuro andrebbe gestito senza potere, in un caos rigenerante, il medesimo che partorì il Mondo Perfetto - cfr. Il caos ad un palmo di naso edit. Disuniti  1972 Borgo sul Sarno -).

Il loro piano è semplice, impossessarsi del mondo con la menzogna, la corruzione, il ladrocinio, il dolo e l’immoralità relegando la minoranza, la povertà, la sofferenza in un angolino circoscritto. 
Per poi eliminarlo o dimenticarlo. 
Ma già dimenticare sarebbe un sentimento troppo umano per questi straccivendoli di destino travestiti da messia (cfr. L’Ultima tentazione di Cristo - Martin Scorsese 1975).

E ci perdonino gli autentici straccivendoli - sembra asserire tra i fotogrammi più pregni, Osvodali -, quelli che riciclano gli avanzi del consumismo, che vivono di ritagli, e che non ingannano alcuno.
Alla fine, ammonisce Osvodali, straccivendoli dovremmo essere tutti noi, alla disperata ricerca di spazio da offrire o da occupare. (cfr. 2001: A Space Odyssey - Stanley Kubrick GB 1968)


Previsti tra i sedici e i ventuno minuti di applausi

sabato 16 maggio 2015

ANDATA E RITORNO



Andata e ritorno.

Specchi di percorsi completamente differenti, seppur identici considerando un ipotetico punto A di partenza e un punto B di arrivo, che si scambiano le destinazioni a un tot ore di distanza.
Parti la mattina presto per scoperchiare il centro città, e torni la sera a rimescolare puzzle di campagna, fai la medesima strada ma tutto viene percepito al rovescio.

E tutto il nostro agire, a ben guardare è un andare e tornare.
Così come quando fai del bene, o del male, o non fai affatto.

Scateni sentimenti di ritorno, reazioni dissensi, negazioni, consensi, approvazioni, gelosie, accidie, desideri.

Solo un altro punto di vista, quella scomoda curva in salita al mattino, ora agevole parabolica di ritorno, o quell'assonnato sbucare dalla bruma, ora vorticoso tramonto di paglia arrossata.

E' un continuo andare e tornare, di paesaggio da cogliere in un senso o nell'altro, con lui anche che ci sorprende accorti o sprovveduti, sensibili o maldisposti, in pensiero o svagati.

Una fuga e il restituirsi.
Un ascolto in risposta a uno sfogo.
Un abbraccio in cambio di un gridare.
Un sussurrare e la sua eco che rimbomba.

Un solo pensiero a te che non dimentichi mai un mio sorriso,
anche mentre rumino silenzio.


mercoledì 13 maggio 2015

Steve McCurry a Roma!!! Spettacolo nello spettacolo!!...




Non solo l’ovvia meraviglia procurata dalle foto di un grande creatore di suggestioni.. gran merito anche alla coinvolgente e surreale scenografia dello Studio 1 di cinematografia di Cinecittà, e i suoi pannelli ad incrociare foto e video in un magico labirinto di immagini, ritratti e colori.
Un teatro di tagli luminosi, drappeggi semi trasparenti in tela nera che scendono dalla volta, oscurità di fondo ad esaltare luce, colori e sfumature; 
possibilità e voglia di perdersi tra le evocazioni, le quinte a sorpresa e le visioni che ci rimandano mondi lontani eppure scavati ed esaltati dall'obiettivo, e diversi video con McCurry voce narrante a svelare segreti e retroscena.
Le comode e maneggevoli audio guide narrano la “storia” di parecchie delle foto in mostra e, per quanto, spesse volte, McCurry stesso tenga a ribadire la casualità di molti dei suoi scatti, rimaniamo convinti che uno dei talenti maggiori del fotografo di genio sia anche il “saperla pensare” la foto, costruendo movimenti, gesti e circostanze su misura.
Usciamo emozionati e colmi di magia. Con occhi e cuore nuovi. 
Come sapessero dipingere ora..   





















venerdì 8 maggio 2015

HO PERSO IL TRENO

Intrigato da Monia Papa e dal suo Calamorso, ho partecipato alla raccolta anonima di racconti su "i treni persi" , deragliando da par mio.. 
è uno scorcio di adolescenza a farla da padrone, con la mia cittadina di vacanza e crescita emotiva, Scauri, rinominata Rivareno (omaggio a una mitica gelateria romana..) per garantire minor appigli possibili al lettore.. ovviamente non vinsi, e per punizione ve lo propongo...



Fu probabilmente il mio sguardo ottusamente imbambolato a rimanergli impresso. Ancor più delle parole:

Ho perso il treno.
Ce l'avevo qui sul monitor ...e ad un tratto, più nulla!”.

Il Coordinatore Capo mi osservava sgomento. Ero stato il suo pupillo dai tempi della scuola allievi macchinisti.
Mi riteneva persona assennata, saggia, lucida.
Quel mio sereno, consapevole annunciare, una cosa assurda.
Lo annichilì.

Ricordavo quello sferragliare lungo costa, quando il mare iniziava ad apparire ad intermittenza al finestrino, a rapidi flashes. Era l'autentico inizio vacanza. L'abbandono della città, della scuola, delle strade popolate di auto pericolose. Un vago e sempre più consistente materializzarsi di spiagge, mare, ciambelle calde, scorribande in bici, uva rubata dai vigneti che tracimavano a bordo strada.
Ancora una galleria e la vecchia stazione dalle pensiline in ferro mi avrebbe riaccolto coi miei sogni di bimbo entusiasta.

Mi sta dicendo che un'elettromotrice da ottanta tonnellate con un vagone autorità e una trentina di persone a bordo si sono smaterializzati in galleria? Proprio l'E656, nel suo ultimo viaggio celebrativo prima della dismissione? Non diciamo cazzate Alessi..

E quella medesima stazione, quello stesso treno, a fine vacanza mi strappava ogni volta ai miei ricordi, agli amici, all'emozione di un bacio, ai primitivi subbugli di cuore, alle spensieratezze, per ricatapultarmi nella mia città, e farmi affogare di nuovo tra doveri, studio, noiosa routine, un nebuloso oblio a frantumare ricordi.

Era tutto tranquillo. Lo seguivamo sui tabulati elettronici e non c'era stato nessun preallarme o segnalazione di malfunzionamento. Nella stazioncina di Rivareno erano presenti già tutte le autorità locali, quelle che avevano fortemente voluto 'sta pagliacciata.
Non capita tutti i giorni riuscire a mettere su un evento del genere.
Volevano rinverdire i fasti della “cittadina di mare” di un élite scomparsa. E mi stavano costringendo a rivoluzionare orari e percorrenze di almeno una ventina di treni. Per fortuna sarebbe durata poco. Il binario messo a disposizione per la scenografica entrata in stazione moriva proprio lì. Dove sarebbe morto quell'ultimo sferragliare rugginoso.

Avevo finito per detestarlo quel treno che mi portava ai sogni, ma che con la stessa regolarità me ne allontanava senza alcun indugio, senza un tentennamento, una pausa per un saluto più lungo, per un ricordo da lasciare a custodire un intero anno lontano. Era un accavallarsi di sensazioni ogni volta demolite dallo scampanellìo che annunciava l'arrivo di un convoglio, di quel convoglio. Poi un sibilo lontano,a sfregiare il silenzio, un puntino che appare mesto ingrandendo fino a occupare tutto, spazio e memoria.

Il coordinatore mi guardava quasi furente ora. Specialmente dopo che gli avevo raccontato che quel locomotore era proprio lui, il treno che odiavo da piccolo, quello che mi riportava a casa a fine Settembre, che decretava ad ogni stagione la fine di un sogno, del mare, del caldo, di tutto...
Tira subito fuori quel treno, non finisco in pasto alla stampa per le tue pippe mentali.. fai “riapparire” subito quel ferrovecchio, e basta con queste stronzate.. è l'ultima volta che presto un tratto di ferrovia per queste manifestazioni nostalgiche. Andava rottamato subito quella carcassa, senza pensarci due volte... ed ora ti ci metti pure tu e i tuoi magheggi pazzoidi!! ”

Quante volte avevo pregato perché sparisse tutto.. treni, stazione, binari e capostazione.

Ero entrato in ansia. Mi ero subito agitato, in veste di Dirigente Centrale del Traffico Regionale, quando era uscita questa storia del'elettromotrice da rottamare in pompa magna, con quell'ultima corsa proprio nella stazioncina di Rivareno.
Erano anni luce che non tornavo più là, i moderni ETR frequentavano tratte apposite, le linee regionali lungo costa erano soprattutto appannaggio di pendolari cronici. Bastava un monitor, un carteggio grafico e una matita.

Ma avermi appioppato l'organizzazione di quell'ultimo viaggio d'addio era come un voler farmi rituffare in memorie sepolte. E quasi un dispetto a me che da anni non mettevo più piede a Rivareno, e che dei ricordi avevo fatto carne macinata, a volte per scelta, più spesso per necessità.

Avevo covato mille attese in quella stazione, abbracciato genitori in attesa, salutato parenti, amici, fotografato tramonti e odorato la notte.
E ci avevo atteso mille volte l'amore, più volte diverso, sotto quelle pensiline di ferro arrugginito, mi ero attaccato alle vecchie panchine inchiodate a terra mentre merci furiosi transitavano frullando polveri e aria turbinante; lanciato sms accorati, avvertimenti convulsi, disillusioni e promesse mancate, coi “dove sei?” e i “ma quando arrivi?” che si accavallavano.
Ero cresciuto alla loro ombra, binari consunti testimoni di mille vite a fuggire o a giungere.
Ho maledetto innumerevoli volte il bigliettaio che mi staccava la ricevuta di partenza e odiato quel lavoro di impietoso assassino di sogni fanciulli.

Ed ora eccomi qua, nella capitale, ad occuparmi di reti ferroviarie e treni pendolari, stazioncine in disuso. E anche treni in disuso. Come quell'elettromotrice da riportare nella sua vecchia stazione di transito. Una manifestazione voluta dal Comune per rinverdire i fasti di un periodo di florida vacanza balneare ormai perduta. Un posto di mare bello solo per chi ci era cresciuto, in realtà un paesino terremotato dal tempo e dall'incuria, devastato dalla camorra e dall'edilizia selvaggia, col mare rimasto da sogno giusto in una fotografia sbiadita degli anni ottanta.
Da lì in poi delirio di inquinamento e di perdita di sogni e adolescenza.
Non volevo tornarci e provavo un senso di intima repulsione verso quel treno che se ne andava in pensione.
All'epoca l'avrei fatto esplodere, emigrare sulla luna ridotto in polvere fosforescente.
Vederlo entrare in stazione, nella mia stazione, seppur su un monitor a led mi avrebbe squassato il cuore.
Ma poteva davvero solo il desiderarlo, per far sparire un treno?

Ricordo quando piccolo e triste, con la valigina accanto, rimanevo a fissare la galleria dove sarebbe apparso il mostro che mi riportava nella Grande Città, a scuola, lontano dai miei sogni salmastri. Desideravo allora con gli occhi chiusi e i pugni stretti che sparisse ingoiato dal buio. Ma non accadeva mai. Sbucava alla fine sbuffante e raccoglieva la mia tristezza in una manciata di attimi, il capostazione fischiava, papà mi portava sopra dopo aver caricato le valige, oppure mi salutava perché partivo con gli zii, mentre i miei genitori avevano più spazio in auto, quando se ne poterono permettere una, per caricare valige, borse e svariati pacchetti.

E ora, da adulto responsabile, refrattario alle emozioni, e forgiato dalla vita, solo a ricordarlo quello stupido desiderio che mi agitava i sogni fanciulli... puff!
Quel maledetto treno era sparito davvero! Mi si era volatilizzato. Un desiderio che cullavo da secoli si era impadronito della scena quando ormai mi avrebbe creato (e me li stava creando) solo casini immensi.. asincronismi maledetti!
Vaglielo a spiegare ora che una mia voglia bambina aveva realmente generato il miracolo, giusto con quarantanni di ritardo.. avevo volontariamente e scientemente perso il treno che mi strappava ogni anno dal mondo favoloso delle mie vacanze..

...quei vagoni a scompartimenti, che creavano un microcosmo che viaggiava per cavoli suoi, porta e tendine chiuse, come un modulo lunare distaccato dal resto del convoglio, dove si mangiava, si leggeva, si dormiva; dove odori e sguardi si confondevano e, soprattutto, si faceva conversazione.. non c'erano computer, cuffiette e cellulari, foto di memoria viva per riaccarezzare la vacanza con gli occhi, quegli apparati che ti mettono in comunicazione col mondo ma ti fanno ignorare il tizio con cui viaggi gomito a gomito.. che strane queste dimensioni macro che s'ingoiano il micro.. solo il naso appiccicato sul finestrino a rubarmi con gli occhietti tristi un mondo che sfilava via..

Chi ha dirottato l'E656 sul binario “illegale” (un binario di riserva che serve per i “contromano” d'emergenza)?!
Un binario che non si usa mai..? 
Ovvio ero stato io, certi comandi vanno via per default, sempre ammesso di trattare tutte le stazioni per quello che sono, e non ci si metta il cuore di mezzo.
Fermate anonime per scambio passeggeri e merci. Numeri sul tracciato.
Il sussidio di grafica della circolazione parlava chiaro, io mi ero fatto prendere da panico primordiale e avevo creduto di poter manipolare oggetti e desideri a mio piacimento.. che idiota!
E che figura di merda col Capo .. 
intanto tiriamo subito fuori quel treno dalla galleria, dentro c'è gente che se ne fotte delle mie malinconie...

Ma c'era quella splendida differenza tra un treno che ti portava a destinazione e quello che ti ci strappava, la stessa che nutri per un treno da perdere con tutte le forze, perché altrimenti si stacca dalla banchina come un cerotto divenuto seconda pelle, muove le ruote stridendo nervi e tendini, come una radice che urla, una fondamenta terremotata.
E allora vuoi rimanere sulla terraferma delle tue certezze, dei tuoi sorrisi. 
Che scorra via senza di me quel rapinatore di sogni. Di sogni realizzati.

C'era un regia di traffico ferroviario che mi era completamente sfuggita di mano, o che, piuttosto, avevo fatto sfuggire via. 
La gestione di questa “manifestazione” era apparentemente semplice, avevamo sospeso intercity e merci creando un limbo dove appoggiare quella mezz'ora di traffico anomalo, fare arrivare l'E656 in stazione e parcheggiarlo sul binario secondario che avrebbe assistito all'ultimo giro di ruota, alla frenata Finale.

Non lo sopportavo quel treno, quello che mi portava via ovviamente. Un treno che viaggia nei due sensi ma senza sapere che chi soffre e chi gioisce è solo a causa di una destinazione, o per l'altra.

Ma avevo dato quasi inconsciamente una segnalazione di priorità e liberato il traffico per un intercity inesistente.
La mia locomotiva delle vacanze era così “scomparsa” dai radar, seppur questione di minuti, ma nel mio immaginario l'avevo fatta sparire davvero, frantumata, l'avevo in pugno; e mi stava piacendo quella sensazione, un me onnipotente finalmente in grado di cancellare una fonte di dispiacere avvolta nel malanimo, e covata negli anni. Una vendetta servita fredda.

Che idiota. Ma che meraviglia anche!
Ti avevo perso finalmente, treno della malora.. sarebbero rimasti i grilli a frinire su quel binario di ferro ancora tiepido specchiato di tramonto rosso.





martedì 5 maggio 2015

A TUTTO PARCO...

Tre giorni di Parco Nazionale d'Abruzzo.. 
una splendida boccata di ossigeno prima di immergersi di nuovo nel caos romano.
Non si guarda l'orologio. 
Si cammina, l'occhio diventa macro, grandangolo, zoom; 
ci si sdraia con le margherite a un palmo, si beve alle sorgenti. 
Ci guida la parabola del sole, e i tracciolini segnati, il respiro sconnesso che cerca di carpire i ritmi, 
lo spazio per stupire.






Gli orsi solo disegnati però... 









Sentieri odorosi e silenziosi, solo i passi e il fiato spezzato, il fruscio dei ruscelli, le fronde mosse da brezza irrequieta, le ombre che giocano tra rami, foglie e nubi sfrangiate.

giovedì 30 aprile 2015

CONGIUNZIONI ASTRALI



Ieri, spulciando Facebook, becco una citazione di Mareva, bresciana, che parla della mia libreria di quartiere periferico romano, PAGINA348 dove vado spesso per incontri con gli Autori ed acquisti mirati.

Una libreria che sopravvive alle grosse catene di distribuzione grazie alla passione e all'attenzione dei microlettori, alla voglia di resistere di "librai" che tengono duro, e grazie anche alla cortesia di autori che accettano inviti e contraddittori con noi curiosi e avidi di conoscere chi c'è "dietro" uno scrittore.
E' qui che ho conosciuto personalmente De Luca, Malvaldi, Bartolomei e tanti altri.

E' qui che ho scoperto autori sconosciuti che da Feltrinelli non potrebbero essere ammessi neanche per le pulizie..

ma la cosa più carina è scoprire che un'amica di blog, seppur lontana, grazie a giri di link, passaparola, sentito dire o letto per caso, venga a conoscenza di realtà a me cosi care e vicine.

Significa che le "affinità elettive" esistono davvero, che alcuni fili invisibili che mantengono interessi e voglia di seguirsi, ogni tanto si scoprono, si toccano, si sfiorano, si intrecciano.

O magari non significa niente ma a me piace pensarlo. Ed è già bello così.