domenica 2 novembre 2014

UNA FOLLE PASSIONE (2014) ... o passione per i folli?


Io volevo la scimmietta, e m'hanno messo l'aquila... :(

Sono un fan di Bradley Cooper. E una sbandata la perdono. Oltretutto la coppia Cooper/Lawrence mi aveva affascinato nello splendido Il lato positivo, non immaginavo quindi di ritrovarli qui imbolsiti e catatonici al servizio di una storiella che gli Harmony, al confronto, sembrano scritti da Stendhal.
La storia è presto detta: una tragedia in discesa libera, una passione senza nessuna follia tranne quella che attanaglia i protagonisti schizofrenici, che decidono di sposarsi al primo sguardo e di far fuori tutti quelli che gli rompono le uova nel paniere fino a farsi fuori da loro medesimi.
Dite che spoilerizzo? Tanto non è che poteva finire diversamente un simile polpettone in salsa boscaiola.
Deprimente vedere il mio eclettico ed effervescente Bradley, stavolta sempre agghindato con la stessa faccetta e il cappellone da cowboy a mezza fronte che lo rende ancora più tonto e fuori luogo, eletto a signorotto di una compagnia di legnami e disegnato come uno che un giorno salva i suoi operai e quello dopo mette incinta le servette che gli portano il pranzo; e non tracima spessore neanche quando tenta lo strangolamento dell'ammoresuo.

Ma che davero me so' ingrassata?!

E che dire della Jennifer platinata e cicciottella alle prese con svariati istericismi stile beautiful e la chiometta bionda sempre fresca di parrucchiere (che nelle foreste della Carolina pre-depressione pullula, de coiffeur...).
Un puma, protagonista invisibile della prima scena, metterà tutti d'accordo (Una notte da puma), permettendo anche a noi, che ricordavamo due attori maiuscoli, di archiviare 'sta ciofeca nel dimenticatoio delle occasioni perse, insieme ai figlioletti illegittimi, a torvi visionari, ed altri comprimari dozzinali dai caratteri ritagliati con l'accetta (del resto il film è sui taglialegna.. me so' sfuggiti i Monty Python però...)
Tanti bei ciocchi da ardere tutto sommato. Ma neanche questi, mi sa, di buona qualità.

Ero meglio io.. altro che Bradley.. 

venerdì 31 ottobre 2014

STAMATTINA


Stamattina non mi hai dato il bacio del buongiorno
e il caffè non è uscito,
la doccia è rimasta gelida,
non trovo più la mia camicia preferita,
le rondini sono volate via dal garage,
il telegiornale ha sfornato solo brutte notizie,
il rasoio mi ha tagliato,
i calzini hanno cambiato cassetto,
anche l’alba è nolente.


Domani vedi di non scordarti.

mercoledì 29 ottobre 2014

ECCO I VERBALI!



In anteprima uno stralcio dei verbali sull'interrogatorio di Napolitano:

“Degli accordi Stato/mafia non so nulla.
Ricordo a malapena di inciuci per organizzare la strage di Bologna a copertura del casino di Ustica, 
delle infinite beghe sull'ingaggio di Alì Agca, qualcosina sulle tangenti delle baracche del Belice, 
sul bollo non pagato della Renault 4 di Moro, 
sulla soffiata che mi evitò l'imbarco sull'Achille Lauro, 
su qualche bustarella incassata per far finta di non sapere della sabbia mischiata al cemento della diga del Vajont, 
dei finanziamenti a Tanassi e di qualche lettera inviata sotto falso nome (il Corvo) in procura a Palermo. 

Eppoi si, ci sarebbe una strana telefonata ricevuta da Bush il dodici settembre 2001:
“Mi raccomando Giorgio, acqua in bocca su tutto quel tritolo transitato da Sigonella”
ma ancora oggi non ne comprendo appieno il senso.

Per il resto mi sembra si tratti tutto di ordinaria amministrazione"



martedì 28 ottobre 2014

THE JUDGE (2014) - "Questa famiglia è un quadro di Picasso"


Hank Palmer (Robert Downey jr) è un avvocato scaltro, bastardo e arrogante, che difende quasi sempre ricchi e colpevoli (“per gli innocenti costo troppo”) con lo sguardo distaccato e prosciugato da ogni etica di chi ha sofferto già troppo e della vita non gli sono rimasti in mano che il suo tracimante cinismo e la figlioletta, frutto di un matrimonio che sta volando in frantumi.


L'improvvisa morte della madre lo ricatapulta nel suo paese di origine, dove aveva tagliato i ponti con il severo padre, stimato giudice di Contea, il fratello più grande Glen e il minore con problemi psicologici.
E lì solo per il funerale della madre, si sente corpo estraneo, ma un incidente occorso al padre e la relativa accusa di omicidio lo coinvolgono, suo malgrado, nella sua difesa e, soprattutto, nel riaffrontare il passato, coi suoi rimpianti e i suoi fantasmi.


Ora io adoro Robert Downey jr, per cui potrei essere considerato vagamente di parte nel commentare questo dramma che scava argutamente nelle sensibilità di ognuno di noi, miscelando parentesi dolorose e ironia con mano sapiente (la scena in cui Robert aiuta il padre in bagno è dura e intensa, ma si risolve anche con fantastica leggerezza e vale da sola il prezzo del biglietto).
Ma in realtà adoro tutto il film che ribolle di richiami e storie sottaciute, risentimenti ed esasperazioni, ruggini e segreti.


Dialoghi illuminanti e luminosi si alternano e fasi più cupe, dove quest'epopea della memoria e del reincastro di sentimenti ancora vivi si trucca da legal thriller e di gigioneschi richiami (il Downey/Sherlock Holmes che seda la possibile rissa al bar con la sua tagliente scaltrezza è un evidente richiamo alla saga che lo ha riportato alla ribalta, e con lui il Downey ammiccante, le labili pause, i silenzi eloquenti, le smorfie accennate, e quegli occhi espressivi, vero patrimonio della pellicola..)
Qualcuno ha storto il naso per i troppi coinvolgimenti emotivi, o per le eccessive chiavi finali, ma l'accavallarsi di eventi e situazioni giova alla fluidità dell'impianto e allevia lo spettatore che si addentra nelle svariate psicologie.


Mille quadretti mettono in luce ogni piccolo risvolto di epopea familiare, una sfilza di piccoli flashes memorabili (uno per tutti quello con Hank che fa guidare sua figlia in macchina, dove si assiste ad un geniale azzeramento di generazioni in uno scambio di battute delicatissimo e rivelatore) ci conducono per mano nella vita di provincia e nelle dinamiche di questa famiglia che ha perso smalto negli anni, optato per scelte anche dolorose ma è rimasta legata a filo doppio, nel bene e nel male; ogni piccolo episodio aiuta a districarci tra i punti di vista di ognuno ed esaminare anche spaccati di vita americana apparentemente superficiali, come il simpatico siparietto del giudicare la personalità di una persona a seconda dell'adesivo che piazza sul parabrezza.


Nota anche per un gigantesco Duvall che da corpo ad un personaggio di cuore e polso, contrastato e sovrastato da doveri e sentimenti.
Alla fine il legal drama diviene una scusa, giallo inatteso, a sovvertire scialbe convenzioni di genere - anche se apparentemente asse portante -, per uno spulciare profondo, per fare i conti coi propri e gli altrui sentimenti che ci chiamano quotidianamente in ballo.

Obiezione! Qui si vuole manipolare lo spettatore! Obiezione respinta. Manipolazione legittima” 


giovedì 23 ottobre 2014

Trent'anni col Restivo di dieci

Restivo sta scontando 40 anni (reali) di carcere in Inghilterra per l'omicidio di una donna.
La Cassazione lavora, scartabella, archivia, timbra, e gliene appioppa trenta , in Italia,
per l'omicidio di Elisa Claps.



Poi parlano dei tempi lunghi (e inutili) della Giustizia.

domenica 19 ottobre 2014

IL GIOVANE (PIU' CHE) FAVOLOSO

Ed ecco servita la vita di Leopardi come perenne conflitto di aspirazioni irrisolte.
Quanti i luoghi comuni realmente capovolti?

Martone opta per una scelta forse furbetta affidandosi a versi immarcescibili, a un Germano loffio, a tre capitoli di esistenza che calcano la mano sul padre autoritario, sulla talvolta equivoca amicizia con Ranieri, sul carattere utopista ma costretto a penare infelicità terrene.


Una fotografia eccezionale coadiuvata da indovinate scelte musicali che spaziano dal classico più convenzionale fino all'elettronica di Sascha Ring, rendono tempi, patimenti e scenografia arditamente lirici, pur sottraendo spazio al Leopardi che amo di più, quello ironico e tagliente delle Operette Morali (che pure sono state rese a teatro dalla sceneggiatrice del film, Ippolita di Majo), quel lato feroce, sarcastico, visionario - tarpato dalla pretaglia fiorentina - che probabilmente stride con la facile ambiguità del rapporto con l'amico Ranieri, con l'invidia di un corpo sano e bello (“non attribuite alle mie pene fisiche ciò che è solo frutto del mio intelletto”), col semplice desiderio di evasione dal rapporto amore/odio con la prigione di Recanati, o il folcloristico vagare per brindisi e bordelli napoletani.



Leopardi è troppo avanti per tutti, soffre, ancor più che fisicamente, di questa lucidità pazzesca che lo sovraespone come in una macchina che viaggia oltre nel tempo e lo rende folle di fronte all'arretratezza di chi non dovrebbe giudicarlo con quel diritto alla verità che si arroga: 
“La nostra ragione non può trovare il vero se non dubitando. Si allontana dal vero ogni volta che giudica con certezza. Chi dubita sa, e sa più che si possa”.


Cerchiamo di comprenderlo Giacomo, afferrando il concetto in brevi lampi, mentre prega il padre dopo il suo fallito tentativo di fuga, o scrive di fronte alle molteplici lune dalle finestre intrise di notte che gli ispirano frenetiche righe, o con la testa riversa all'indietro su prati e cigli di fiumi, alla ricerca di un infinito cosi a portata di mano, almeno per lui.

"Chi dubita sa, e sa più che si possa"



Ma troppo spesso Martone ci costringe al “quant'è bravo Germano!” (che poi c'avrei visto meglio un più espressivo Filippo Timi) o al “certo, poveretto, come deve aver sofferto”; mentre Leopardi se li godeva vorace quegli anni curiosi, i sogni assaggiati e la mente spalancata a una Visione Totale che, a noi altri, non ci sfiorerebbe neanche se campassimo cent'anni alle Maldive.

giovedì 16 ottobre 2014

LA MIA POESIA


La mia poesia mi sveglia di notte
mentre non capisco se è alba o tenebra,
e mi lascia col pensiero sospeso,
pensiero da tramutare in inchiostro o pixel,
o grezza memoria.

La mia poesia è appesa a tutti i marosi,
ad ogni oceano immobile,
alle nubi che strappano le cime,
a tutti i tramonti, anche quelli inutili,
fotocopiati dalla noia,
alle pozzanghere che riflettono e a quelle precipitose.

La mia poesia è respiro da regolare,
occhio socchiuso.

Mi segue, per quanto ombra disunita,
         distratta, assente.

La mia poesia mi chiama lei,
spesso quando non ci sarei neanche io.

Ed è allora che mi torno in mente
da chissà quali pertugi
inseguendo un cursore che lampeggia.

Chissà se è mia, poi.