lunedì 10 febbraio 2014

SMETTO QUANDO VOGLIO (2014) .


Era un bel po' che il cinemello italiano non tirava fuori qualcosina di effervescente, supportata tra l'altro da attori navigati ma tutti di seconda fascia, comprimari di fiction e cinema minore, assemblati dall'esordiente Sibilia con sagacia e perfetto equilibrio, in questa avventura alla Ocean's Eleven ricca di personalità, di sarcasmo e di fresche trovate dove i richiami ad Una notte da leoni si sprecano, con Fresi che zafianakiseggia alla grande ed Edoardo Leo alter ego di Bradley Cooper con venature alla Morelli.


La banda di ex universitari, tutti di gran talento (dagli antropologi ai latinisti ai neurobiologi) e dalle verbosità stilistiche surreali, mette su un piano per spacciare una nuova droga sintetica e finalmente si dà alla pazza gioia (la scena in cui Piero confida ad una escort russa la sua futura paternità - e qua farò inorridire gli infiniti estimatori scorsesiani - brucia nella sua inaspettata prurigine quasi tutto lo sfacciato The wolf).

Il film fila via e se la cava egregiamente anche quando sembra che si incanali in un cul de sac sceneggiatoriale.
E' vero che in sala si sente ridere molto quando scatta la parolaccia, ma per fortuna non si abusa e sono poche le occasioni per rinverdire l'immarcescibile vezzo italico, al contrario le gag ed i dialoghi si supportano vicendevolmente sempre con verve e montaggio frenetico e lo spaccato di realtà affrontata, che si ribella all'impotenza del nostro asfittico mercato del lavoro, non si allontana dal cogliere l'effettivo stato delle cose, con i nostri laureati costretti ai lavori più disparati per riuscire a pagare le bollette.



A navigare tra questi ottimi caratteristi in gran spolvero - Edoardo Leo e Stefano Fresi su tutti -, anche la Solarino (che adoro a prescindere) oltre ad un Neri Marcorè che si “macchietta” col giusto eccesso che richiede l'occasione (ed ogni riferimento agli eccessi dei capitali umanoidi non è per nulla casuale) divertendosela da matti nei panni di un truce boss da quartierino. 
Ed anche se il trailer si brucia le cartucce migliori i cali di tensione sono impercettibili e la storia appassiona, e con l'esatto gusto della novità, evidenziando come i cinepanettoni e le tremende frescacce da commediola italica possano essere parcheggiati, per una volta,  a distanza di sicurezza.



sabato 8 febbraio 2014

BAGDAD


"Accadono eventi stravaganti in una vita: innamoramenti, lotterie, terremoti, rime inspiegabilmente perfette. Qualche giorno fa mi è giunto un invito: vuole venire a Bagdad? Si dà il convegno dei poeti arabi, non la interessa? Mi interessa; ma non posso negarlo, sono incredulo. Ma è vero, schietto, autentico Bagdad. Dico ai miei amici che vado in Abruzzo, dove sono considerato di casa, e vado a Bagdad. Quattro ore di volo; un grande, lucido, efficiente aeroporto; una Francoforte del medio Oriente; ma semivuota. Già, la guerra. E' la prima domanda che tutti si fanno; “tutti” sono gli invitati: noi italiani siamo in tre. Dov'è la guerra? Per togliere di mezzo una inevitabile curiosità, petulante ed aggressiva, occorre dire subito che i segni della guerra sono tanto rari e sporadici, che si ha l'ingenerosa sensazione di avere a che fare con una allucinazione. I segni classici, l'oscuramento, gli allarmi, l'antiaerea, i rifugi, i posti di blocco, la diffusa angoscia: di tutto ciò, nessuna traccia. 


La notte di Bagdad è illuminata come per una perenne festa: e può servire a dare una idea conclusiva questo particolare: Bassora, che noi supponiamo teatro di battaglie di casa in casa, è collegata con Bagdad con una regolare linea ferroviaria, servita da vagoni letto, sette ore di viaggio, con fermata alla stazione di Babilonia. A Bagdad la gente si sposa, il che non sembra eccezionale; ma almeno singolare è la chiassosa esibizione di questa cerimonia, con macchine che strepitano, tamburelli e rock, e abbaglianti ricevimenti nei grandi alberghi: e Bagdad è fitta di grandi alberghi. E della guerra per ora basta: c'è n'è di più a Roma a Ponte Marconi. Ma naturalmente altrove ce n'è. Ad esempio, a cento miglia da Bagdad: gli ospiti possono essere portati in visita al fronte. Strano? Bagdad è Oriente. 



Al ritorno, dopo aver spiegato ad amici irritati e insolenti, che non ero stato a Teramo, la domanda rituale è: come è Bagdad? E' bella?.
Bagdad è molte cose; ma in primo luogo è un nome. Sono certo che se avessi detto: sono andato a Tokyo, a La Paz, a Caracas, non avrei estorto più di un sorriso distratto; sono posti dove non va nessuno, o dove vanno tutti; dipende dalla bizzarria della Storia. Ma Bagdad è diverso: Bagdad è un nome mitico, un posto impossibile, arduo, secolare, favoloso; è uno dei pochi posti il cui nome eccita la fantasia e la frena insieme; si ha la coscienza che andare a Bagdad non è psicologicamente facile – c'è anche la guerra – ma non è possibile non desiderare spasmodicamente di andare a Bagdad. (...)


Accanto al suk, il mercato di Bagdad, ecco il Khan Murjan, un edificio del trecento, luogo di riposo dei carovanieri, che affluivano a quel suk, che si è insinuato tra i resti di antiche forse antichissime costruzioni. E' difficile nominare il suk senza essere in qualche modo risucchiati da questa “cosa” meravigliosa, incredibile, lievemente mostruosa. Il suk certo è una grande invenzione araba: mercato e insieme labirinto, luogo povero e fastoso, fatiscente e vivo di una vitalità infantile, ancor più che giovanile – una sorta di gioco innumerevole, minuzioso e sfrenato – il suk è un incantesimo di suoni, di parole inafferrabili, di delicata e lussuosa paccottiglia, un dedalo di vicoli che subitamente si apre sul superbo, astratto muro di una moschea.
Un luogo luccicante, finto di facile, innocente finzione, e soprattutto una folla di oggetti che dà la sensazione di essere in movimento, ed il moto misterioso, da inserto policromo, ha la distorta dignità del labirinto e dell'indugio delle muraglie fatiscenti, allusione ad un labirinto dentro il labirinto.

E' bella Bagdad? Non so se questa parola, con cui noi ci riferiamo a Venezia o a Firenze, abbia a che fare con Bagdad, o anzi con qualsiasi città a est di Suez. La grazia seducente, incantevole di Bagdad sta nella sua affollata fragilità, nella sensazione che dà di essere qualcosa di oscuramente vegetale, come se queste minute case fossero state seminate, o fossero nate in un'alba sacra dopo una notte di temporali; preziose, sofisticate cupole di funghi sovrastano una folla di efflorescenze effimere, un muschio, una minutissima erba incredibilmente viva, che non ha paura del tempo, che sa mescolare la sùbita vecchiaia e la ricorrente infanzia; qualcosa di impossibile: un eterno effimero."


(Giorgio Manganelli “L’infinita trama di Allah” 
Edizioni Quiritta 2002)







Era il 1987.
Era solo la prima delle guerre moderne.
Un’altra storia certo, ma eco di guerra mai dismesse, preveggenze sensibili, poesia da scorticare con gli occhi, con udito ed olfatto.
Un’altra Bagdad oggi impossibile, inconcepita ed inconcepibile.

Nessuna invidia, nessuna fantasia, nessuna Mille e una notte
Ma una notte sola per le nostre sensibilità affrante
di polverose torri gemelle.
E di smisurata attesa di ripristino del quotidiano.

Poi, casualmente (casualmente?), ti capita sotto mano Manganelli
E si apre un mondo sconosciuto, un mondo incredibile (ora),
un mondo che è stato sogno
ma sogno veramente,
perché anche oggi ci si sposa, si esce per la spesa,
gli alberghi del centro restaurano una normalità dipinta.
Di tenace facciata. Dilaniata da ogni telegiornale.

Ma sogno non lo è più, non lo è certo nell'immaginario collettivo di chi si sfama di televisione, di lampi remoti, di fuoco astratto.

Ma leggi Manganelli ed odi il suk, “(ri)ascolti” i profumi,
passeggi nella fiaba, ti smarrisci nel perduto.

Sarà questo il bello di leggere? Respirare un’aria rarefatta?
Appropriarsi di sensazioni altrui?
O allevarne di proprie?

E c’è anche cinema: passo fondamentale in tal senso,
che illustra dolore o sogno.



The Hurt Locker

Baghdad Twist

Green Zone

Live from Baghdad




Jarhead

I fiori di Kirkuk









Bagdad Café






mercoledì 5 febbraio 2014

TE LO DO IO IL TWEET!!!... (centoquaranta caratteri belli pregni...)



Sono fermo immobile sul raccordo, siamo paralizzati, motore acceso e la vita che scivola via, tutto tempo perso. Sembro una Ferrari ai box.



Molte persone traggono estrema forza dalle emergenze, fortificando le ali contro il vento risplendono come oasi nel deserto. Non è per me.



Certi tramonti tracimano dall'orizzonte affogandoti l'iride di sogno.
Proprio mentre credi che nessuno busserà più alla tua porta.



Gli fu addosso in un attimo. Finirono a letto senza neanche presentarsi. Dopo tre giorni, finalmente, riuscì ad alzarsi. Maledetta influenza.


Leggeva solo sport, cinema e cronaca nera. Lo trovarono morto dentro un cinema vestito da jogging. Il giorno dopo riempì tutto il giornale.



Era sempre spensierato credendo che la vita fosse tutto un film. Fino al tragico epilogo. In effetti, di cinema, non aveva mai capito molto.



Meditava delitti all'ombra della navata, non s’accorse della sagoma furtiva, armata di coltello, che penetrava la sua, personalissima, chiesa.



Centoquaranta caratteri si barricarono dentro reclamando la giusta fama. Neanche il negoziatore riuscì a dissuaderli. Toccava pubblicarli.


Si era iscritto ma non superò Sociologia, tanto meno Pedagogia, un disastro Psichiatria. Anche peggio Psicologia. Andò in Psicanalisi. 1 e 2




Nonostante le chiacchiere si era ancora in alto mare, ed il fuori onda sommerse tutte le dichiarazioni. Soprattutto quella d’Indipendenza.


domenica 2 febbraio 2014

IL CAPITALE UMANO (2014)




L'unico vero capitale umano, in fondo, è quello che sparisce ad inizio film.
Per il resto assistiamo ad una girandola di eccessi e caricature più adatte ad un capitale animale (nel senso grezzo dell'accezione).

Ho apprezzato le tinte thriller che muovono le fila dell'intera pellicola, la struttura ad incastri e flashbackes, i capitoli dedicati e la tecnica dei molteplici punti di vista.
Non certo una novità ma per la quale necessitano mano e mestiere, e sensibilità, come nella scena volutamente e disperatamente muta di Serena che irrompe a casa di Luca nel finale.


Non ho affatto apprezzato, invece, il massiccio calco di mano su personaggi tutti già fastidiosamente fastidiosi, a cominciare da quella parodia d'omino di Bentivoglio e la sua perenne gomma americana da ciancicare a bocca aperta e la dolente Bruni Tedeschi, che vedo calzante nella parte di moglie accessoria del cinico maghetto della finanza creativa brianzolo (un Gifuni funzionale), ma stolidamente straripante nei suoi eccessi convulsi (mentre urla alla rotatoria o piange al parcheggio), nei suoi filini di voce (alla riunione con quel circo barnum di personaggini ridicoli - davvero pensate sia in mano a questi alieni il nostro teatro? -) o nelle sue snervate velleità di donna ancora desiderabile (con un Lo Cascio al minimo sindacale).


È come se Virzì, per la prima volta alle prese con una torta (dolce per antonomasia), pensasse bene: ”ma si, mo' ce lo metto 'stò mezzo chilo di zucchero...”, lasciando vagare anche tutti gli altri sull'onda dello stereotipo sottolineato a pennarello (scarsa fiducia nella capacità di discernere dello spettatore? Paura di non delineare a sufficienza?)
Stranamente immune da questo allegro evidenziare rimane la Golino (alla quale sono notoriamente refrattario), moglie di Bentivoglio, che per l'occasione veste i panni del basso profilo rimanendosene serenamente ai margini, da buona psicologa che non comprende una mazza di tutto il bailamme che gli si agita attorno.


I ragazzi sono di una pochezza devastante, e anche di una volubilità che destabilizza. Serena (bella prova questa di Matilde Gioli) rimane incastrata, e non si sa bene per quali dinamiche se non quelle utili al plot, prima dal ragazzotto “bene” tutto macchine e capelli, col quale ci sfugge il genere di afflato condiviso, poi da un presunto disturbato che la conquista con un disegnino.

Potrebbe non sembrare, ma il thriller sullo sfondo, teoricamente propedeutico all'analisi di rapporti umani, condiziona parecchie scelte rendendo, di fatto, meno plausibile (e plasmabile) il presunto “capitale umano” a disposizione.


La quantificazione in termini assicurativi attribuiti ad una vita persa, sui titoli di coda, fa riferimento alle aspettative ed anche alle prospettive di vita economica, di un singolo individuo. E da questo ulteriore “punto di vista” (in omaggio alla scelta registica) vincere la scommessa sulla fine di questo mondo è solo la coerente linea di comportamento di chi lo faceva anche prima e continuerà a farlo dopo.

Troppa carne al fuoco? O forse solo troppo zucchero nella torta?


Intanto prendiamo atto della scelta coraggiosa di Virzì in un panorama cinematografico dove tutti restano aggrappati al proprio orticello.


E lo aspettiamo per una conferma meno didascalica.

giovedì 30 gennaio 2014

LISTOGRAPHY# lista della spesa



In omaggio al nuovo andazzo web, 
ecco la mia lista della spesa di sabato prossimo:



Carta igienica (è sempre igienico che ci sia.. Repubblica è ruvida ed Il Fatto quotidiano lascia antipatiche macchie colorate)


Tonno (squalo compresso): confezioni a prezzi proibitivi posizionate esattamente davanti gli occhi, quelle coi prezzi bassi, invece, raso terra oppure tre metri sopra il cielo.

Shampoo (per capelli tignosamente residui... di solito lo trovo al reparto pozioni magiche)

Bagnoschiuma alla liquirizia (me dura pochissimo perché praticamente me ne bevo mezza boccia... devo prova' con quello al gasolio...)

Succo di frutta (ma di quelli buoni, percentuale frutta minimo 3%)

Olio d’oliva doc dop fop job mop cov (Cacchio d’Olio Voi?), quello che devi fa un leasing in cassa e lo tengono no sullo scaffale ma nella banca di fronte. Sullo scaffale c’è solo la foto

Pesce surgelato (che se trovi traffico per tornare a casa lo devi cucinare sul radiatore altrimenti lo butti)

Petti di pollo da banco frigo (quelli poggiati sui reggi-petti)





Insalata in busta che sono pigro, le buste a vista sono praticamente scadute, per trovare quelle con due/tre giorni d’autonomia devi butta' giù tutto l’espositore.

Detersivo per piatti alle peggio fragranze (anche “essenza piatti sporchi”, per chi lava a scappà via...)

Verdure tutta roba fresca tipo puntarelle che quando le hai pulite te ne restano un mucchiettino, gli spinaci che quando li hai puliti li servi in una  tazza da the, i broccoli che quando li hai puliti li servi nelle pentoline di Barbie. (Ma comprale già pulite le verdure scusa! E che so’ Rothschild?!?)

Acqua in bottiglia, che a casa c’abbiamo il pozzo (ovviamente solo etichette con residuo fisso zero virgola, PH inesistente, cloruri e solfati neanche in fotografia, ma confezioni che magari sono rimaste tre mesi a cuocere al sole fuori dal supermercato...)

Latte rigorosamente di soia, al massimo scrematissimo coi grassi versione fantasma...

Cioccolata ma solo fondente col cacao allo stesso livello dell’azoto nell’aria

Carta forno, quella carta che si utilizza per non far appiccicare alla teglia prodotti da forno e che permette, invece, che si appiccino saldamente a lei

Bresaola, parmigiano e prosciutto al banco con l’elimina code, prendo il 181 e stanno servendo il 56...manco fossimo alla posta... vabbé, in questi casi ti vai a fare un giro e quando torni, nove volte su dieci, stanno al 190 (...ﺶﺹ!!ﻖﻎﺞ grrr!!!)

Pomodorini pachino (pachino un ciufolo.. secondo me arrivano pure dall’Arzebaijan...)


Pesto (fresco, industriale, liofilizzato.. immancabile in casa, lo cappuccinerei pure... )

Caffè (non ne facciamo uso smodato ma evitiamo quell’unica marca che costa il doppio di tutte le altre... e non voglio fare pubblicità... )

Biscotti rigorosamente con tracce di zucchero, anti colesterolo, possibilmente con farine biologiche e antiossidanti integrali. Praticamente truciolato.

Deodoranti (roll e/o stick, quelli che non macchiano durano due ore, quelli che macchiano pure, ma in compenso lasciano un alone praticamente indelebile... )

Pasta trafilata in bronzo (sarò insensibile ma certe marche da discount a 0,24 centesimi al mezzo kg a me sembrano quasi uguali.. basta non farle smolecolare in acqua... )


Ovviamente è una spesa , visto che ho richiamato il genere, non da discount, ma da supermercato accreditato in qualche modo, tipo quelli di certe pubblicità dove i gestori si alzano di notte e vanno a controllare che i calamari surgelati siano morti davvero...










martedì 28 gennaio 2014

EVOLUZIONE

Ghermita da corvi e gabbiani la colomba 
liberata da Papa Francesco.



In un tweet ancora da confermare il Pontefice avrebbe affermato:

"Domenica prossima slego un condor, cosi poi vediamo..."


domenica 26 gennaio 2014

LE NORMALI PERCEZIONI



Accolgo un cespuglio di grami pensieri di ritorno
a capo chino da un appuntamento coi miei fantasmi.

Resto bruciato, solo tra pensieri tarlati, muffa di attese,
colatura di odi disumani,
grida soffocate che mi svegliano la notte.

Non ce la faccio. Sulle spalle un ottuso pensiero.

Voglio essere odiato.

Ho dissodato un terreno minato ma non è esploso nulla.
Le mani sporche di terra sudata, la fronte imperlata,
lo stomaco rivoltato, il rancore disperso.

Sto cercando anche assoluzione, ma il peccato è velato, invisibile.
E l’assoluzione ha bisogno di un male fragoroso,
netto, inequivocabile.

Ed allora flagello lo spirito, li creo i presupposti,
visto che sfuggono le normali percezioni.
Mi faccio del male.

Mi sporco di fango per giustificare quelli
che già me ne vedevano addosso.


Sarà più facile difendersi,
giustifichiamo il nemico e quando ci sarà da colpirlo
avvertiremo meno rimorsi.
Anzi, i tormenti scompariranno.
Rimarrà la soddisfazione di aver combattuto a viso aperto.

Quando c’era solo da perdonare.