lunedì 14 ottobre 2013

GLORIA (2013)


Le locandine del film nel foyer del cinema annunciano trionfanti: “Uscirete felici dal cinema!”.
Il che, devo dargliene atto, è assolutamente vero; trattasi forse di pubblicità vagamente ingannevole ma è innegabile che la mia, personale, uscita dal cinema al termine dell'indisponente proiezione, sia stata una delle fasi più soddisfacenti del film.
Gloria è una quasi sessantenne, incredibile fotocopia (come fa notare Alan Smithee di FilmTv.it) della mirabolante Tootsie di dustinhoffmaniana memoria, separata con due figli grandi ed una tendenza innata al viversi la vita serenamente facendosi scivolare addosso di quasi tutto.

Buon per lei.

Un po' meno per noi che ci dobbiamo cuccare 'ste due ore di filmetto da telenovela sudamericana, dove la storia si sviluppa principalmente attorno ad un embrione di flebilissima storia d'amore con un settantenne deficiente che gestisce un parco giochi (dove un altro genere di deficienti si spara la vernice addosso), e gliene combina insensatamente di tutti i colori causa legame a triplo filo con la sua famiglia precedente dalla quale (sembra, forse) tenta il distacco (nel nostro piccolo l'avremmo epurato senza appello dopo la prima sòla...), mentre le pistole a vernice transiteranno spesso in sceneggiatura, anche a sproposito, ma tutto per preparare il pubblico, evidentemente considerato ebete, a futuri exploit. 



Gloria lavora, si commuove, canticchia orribili nenie cilene in auto (di fronte al cui reiterarsi la Gloria tozziana di fine film ci apparirà nettare per le orecchie...anzi no, salvo anche una discreta versione de La pioggia di Marzo di Jobim..), balla, si specchia, beve (sempre), fuma (di tutto..), si commuove, (bellissime e tutte da ridere a pensarci bene, le sue lacrime alla lettura della mail del futuro padre di sua nipote che più o meno recita: “ho scalato le vette più fantastiche del mondo ma tu sei la cosa più bella che ho”, costringendola però a fare armi e bagagli, lasciare il suo paese, anche se in cinta, e raggiungerlo in Svezia..), passeggia tra sfumate ed opache proteste di un Cile in ebollizione, si spoglia integralmente 
e la da a chi capita, anche perché non frequenta esattamente la Caritas.


Di introspezione e critica interiore manco l'ombra dell'ombra, non pretendiamo Bergman ma neanche buttare nel cesso decenni di filmografia meditativa ed intimista; salvo pochi fotogrammi di vita quotidiana che impressioneranno chi ha avuto la forza (saggezza? incoscienza?) di non soccombere alla valanga di insulsaggine che dilaga dallo schermo, e non ce l'ho neanche coi nudi espliciti, certo pleonastici, ma destinati probabilmente a scrollarsi la patina di disarmante convenzionalità.

Ora, ci chiediamo ancora increduli, ma chi volete che l'ammazzi una cosi?


L'antitesi dello scoramento fatta essere vivente.
La contrapposizione coriacea a tutte le demoralizzazioni del mondo. 
Una col vicino nevrastenico che tutte le notti non la fa dormire ed invece di chiamare un reparto d'assalto di polizia, chiama la mamma del forsennato chiedendo “scusi tanto sa, ma io lavoro, vorrei riposare..”, una che la puoi abbandonare ripetutamente, e magari pure con il conto di un cinque stelle da pagare.

Qual'è il messaggio per chi soffre realmente i disagi familiari e sentimentali, per chi non è disposto a saltare da un letto all'altro, per chi le proprie difficoltà e tristezze se le vive con uno spessore leggermente più elevato, per chi non riesce a prendere tramvate dalla vita  sciacquandosele sotto la doccia o strapparsele via con una ceretta ?



Comprarsi un fuciletto a vernice da war games, forse?!?


Decisamente si. E sparate pure a Sebastián Lelio (il regista), 
se vi capita a tiro...  


domenica 13 ottobre 2013

ALEXANDR PIOTR KOKNISHEV (1928 - 2013)


Periodo funesto per il cinema mondiale, 
dopo Garbanzo,

scompare anche Alexandr Piotr Koknishev, 

uno degli ultimi teorici del montaggio moderno, 
seguace di Kulesciov, 
portò agli estremi le sue teorie ipotizzando 
pellicole di due ore 
con anche 2400 scene affastellate perché:

“tutto sta nell’unire 
ed intersecare una scena ad un’altra 
in maniera ineccepibile, di modo che tutti pensino ad un piano sequenza...”

mago e precursore della moviola, 
rifiutò negli anni novanta l’invito alla nostra Domenica Sportiva 
per dedicarsi completamente alle sue teorie estreme. 

L’ultima sua opera è il montaggio integrale della sua scomparsa 
che prevede la sua medesima riapparizione a breve, 
in vaga dissolvenza 
con decoupage a tendina.


Tra le sue opere più indiscussamente famose:


L’assemblaggio del Bounty



Moviola di mare



Flashback mountain



21 fotogrammi




sabato 12 ottobre 2013

SETTE CHIESE ...PER UN ARMADIO

Il classico pellegrinaggio romano delle sette Chiese, in teoria, sarebbe previsto solo in funzione di una nobile causa, ma stavolta, l'esasperazione ha scacciato ogni perplessità.

Simo e Mario sono una coppia affiatata, una storia d'amore giunta all'azimut della felicità dopo esperienze, per entrambi, diversamente travagliate.

Alle storie di Mario s'accompagna, comunque, un ricorrente incubo dai contorni inquietanti: ogni volta che si è trovato sul punto di cambiare armadio, o acquistarne uno nuovo, la storia d'amore del momento è naufragata inesorabilmente.





Ma fatte 'na serie de settimini!”, è l'obiezione più naturale, ma Mario no, è tenace e vuole spezzare il predominio del fato.


Ed ora, al culmine della sua nuova e definitiva felicità di coppia, con panni, lenzuola, camicie e cappotti ammonticchiati alla belle meglio,
e proprio nel preciso momento in cui Simo tira fuori la fatidica ed agghiacciante domanda:

Amore, compriamo un armadio nuovo?!”

Mario ha guardato dritto negli occhi il destino baro ed ha deciso.
Stavolta la sconfiggo questa leggenda dell'armadio “portajella”
ma voglio dalla mia tutte le forze del Bene.
E cosa meglio del classico giro delle sette Chiese?

Detto fatto.

Fissiamo una data e via all'impresa: scaricato da internet il percorso doc, ci s'imbarca con due amici fidati (Luisa e Franco, manco a dirlo...), mentori, fra l'altro, ed “artefici” dell'incontro della coppia e relativa scintilla d'amore.

Li presentarono, l’un l’altra, anni or sono creando i presupposti per l'esatta unione, 
volete che abbiano paura di un semplice armadio, proprio ora? 
Giammai!

Ore 13,00 Pronti, partenza, via!



La prima basilica è San Paolo, bianca abbacinante e densa di fede ed entusiasmo. L'esordio è in punta di piedi, foto di rito, candela di rito, scaramanzia di rito: a Simo si è rotto anche un tacco, e proprio in partenza! 
Il caso sembra giocare scherzetti malefici, 
una ragione di più per perseverare nell'impresa.
Oltretutto siamo in macchina e di sabato pomeriggio, c'è da sfidare anche il traffico romano e la manifestazione del popolo viola, viola come il porporato che agghinda le sette basiliche.

Ma Roma si dipana al tepore d'ottobre, e noi mettiamo in fila la nostra scommessa, fioretto sincero come l'aria che ci accompagna.



Svirgolando frenetici sull'Appia Antica, ricreiamo misteri ed attese, San Sebastiano sommersa tra le mura sembra, curiosa analogia, un austero armadio a muro.




Santa Croce odora di legno, palissandro inchiodato, ma sprigiona anche, più profanamente, e forse solo nell'immaginario,
aroma di guardaroba a sei ante. Ed intanto Mario con la fedele Canon sembra voler immortalare stati d'animo 
più che architetture.





San Giovanni si presenta blindata, le manifestazioni del sabato, praticamente perenni qui a Roma, consigliano prudenza, ma noi entriamo dal retro, forza ragazzi! Il destino propizia gli audaci. Ennesima preghiera, cero votivo, foto artistica tra giochi di luce e penombre scolpite.




San Lorenzo civettuola dispensa eco di antichi bombardamenti a chi cerca sollievo e conforto come noi, quieti ma determinati, sempre più fiduciosi, preghiera dopo preghiera, candela dopo candela, santa dopo santo.





E Santa Maria Maggiore, frenetica di turisti e, nel contempo, incupita di rosari sottovoce, ci accoglie grave e sontuosa, c'avviamo esausti 
ma silenziosamente estasiati.




Iniziato quasi per gioco il percorso ci si sta disegnando addosso e negli occhi.
Il fitto reticolo di vie e piazze ci appare magico trait d'union tra i palazzi seriosi, un Tevere pacioso, attraversato e riattraversato ancora, riflette le prime avvisaglie dell'imbrunire.



Ci attende ormai solo San Pietro in questo fine pomeriggio 
di caleidoscopico rosa accecante, 
come solo un tramonto capitolino riesce ad elargire.




E siamo praticamente gli ultimi ad entrare, 
vivido segno del destino benevolo.

L'orario è ormai quello invernale, 
e noi arriviamo sul filo di lana.




L'ultima basilica ci accoglie col respiro cortissimo ed una grande pace nel cuore, sereni ammiriamo quanta Chiesa in quest'ultima chiesa, storditi dal cammino, ammoniti dalle opere d'arte, fiduciosi nel voto dedicato, 
e già col pensiero 
alla prossima, decisiva, tappa:



Un mobilificio tutto per Simo e Mario a sfatare una volta per tutte la sorte nefasta ;))



giovedì 10 ottobre 2013

PALCOSCENICO



A volte sali sul palcoscenico
tentando di portarci un po’ della tua vita.

Calpesti quelle tavole in spasmodica ricerca
di un altro punto di vista.



Diventi protagonista e ribalta,
padrone del tuo muoverti e recitarti,
ti osservi da dentro e da fuori,
- dilatando l'evidente sdoppiamento -


Il punto di vista diviene tridimensionale.
Ti scruti dal pubblico, da dietro le quinte,
da dentro ed intorno il personaggio.



Inevitabile che,
scendendo,
brandelli di palcoscenico ingombrino la strada,
tuo malgrado.







VAJONT




Dopo cinquant'anni il governo chiede "scusa".




Quindi mancano 
solo 
una ventina d'anni 
alle "scuse" per Ustica.






martedì 8 ottobre 2013

INFALLIBILE

Credevo di vivere
Universalmente.

Aldilà della gente che non arriva oltre il proprio naso.
E quindi mi esaltavo. Nel Gesto e nel Pensiero.
Amavo il mio Rasoio, la mia Caffettiera, le mie Passeggiate,


i miei Scritti, le mie Pause, le mie Meditazioni.
Vivere era una vocazione Assoluta
ed io ne coglievo l’essenza
mentre tutti gli altri rimanevano impantanati
nel loro minuscolo giardino terrestre,
incapaci di osservare il mondo oltre la staccionata
che li divideva dal palpito, dall'afflato.


Nessuno si percepiva come infinitesimale tassello di un disegno considerevolmente più grande;
un’esatta, impercettibile, particella
che il mio Amico manipolava a Suo piacimento.

Io, eletto Tramite, misuravo le distanze,
protocollavo l'ordinario, tenevo l'umanità al guinzaglio.

Leggendo il mio Giornale, una mattina, pensai.
E poteva finire lì, perché in quell’attimo mi compivo.



Ma questa volta andai oltre.

Giunsi a dedurre che il mio Amico
era un impostore egoista.

Probabilmente l’Egoista in Persona.
Era una scoperta terribile, per quanto ovvia.



Stavo svelando il Dubbio, dissipavo cortine secolari.
Mi stavo eccitando e mi sorpresi irretito.
Il Cervello sfavillava di ipotesi rocambolesche.
Venivano finalmente al pettine tanti nodi sepolti nel Tempo, 
vecchi soprusi ingurgitati a fatica 
e recenti battibecchi da mercato 
che mi stupivo di aver potuto generare.



Il mio Amico regolava il Tutto
ed io ero il Cardine delle Sue Evoluzioni,
l'Ambasciatore delle Sue Leggi.
Senza di me era impotente,
inutile come una barca alla deriva senza remi.


Minuscola voce impersonale.

Potevo bloccare la sua catena di montaggio.

Lo avevo sempre ammirato da Lontano
- distanze siderali - 
riflesso in specchi di luce galattica


od increspato su banchi di nebbia
dai quali era solito farsi precedere e circondare.

Non si trattava di invidia.

In fondo ero Protagonista. 
L'editor dei suoi esperimenti.
Lui creava, seppur grezzamente,
ed io modellavo sulla sua rudezza di spirito
(ri)mediando (al)l'incomprensione umana,
correggendo bozze, instillando fiducia.



Fungevo da alibi all’Egoista
incamerando colpi al basso ventre.
Rendevo il suo Genio quotidianamente potabile,
con la mia ragionevole fiscalità.

Ma ora stavo guardando più su,
alla Sorgente,
stufo di purificare nettare d’altri, di levigare la pietra d'angolo.



Ho deciso di Spaventare il Mondo e non spegnete le luci,
guardate cosa succede.

Sto cercando di uscire da Me Stesso
ma il mio Amico mi sta ricacciando in gola il Mondo Intero,
mi ha revocato deleghe e credenziali,
ha incenerito il mio mandato,
sta cancellando secoli di complessa Tradizione
incisa nel sangue.



Sto cercando di vivere e soffrire Universalmente.
Nell’Infallibilità che mi compete.

E siate maledetti voi, ora!
Che non vi accorgete della Catastrofe
che dilaga appena oltre il vostro naso.


sabato 5 ottobre 2013

GRAVITY (2013


Cosa manca a questo film? Non potevamo certo pretendere che la sceneggiatura se ne restasse coi piedi per terra, senza fare capriole e piroette come i suoi protagonisti, o che la gravità della situazione non sbrogliasse, comunque ed infine, la matassa, ma a parte le facili battute, probabilmente l'Assoluto (come accenna EightAndHalf, utente di FilmTv)) non m'ha risucchiato.


Alla cieca”, oltre che Houston, Bullock e Clooney; ci pare s'aggiri pure il regista Cuaròn, che la sua protagonista, la pur brava e volenterosa Ryan Stone (“com'è questo nome? Papà voleva un maschio...”) comunque, la vuole riportare a casa, alla faccia dei detriti spaziali, dell'ossigeno che non finisce mai e delle istruzioni in caucasico.
Sono rimasto colpevolmente aggredito dal 3D posticcio e pleonastico, dai cambi di navicella spaziale da prendere al volo (come quando ti casca una forchetta per terra, e quella, nove volte su dieci ti casca, maledetta "gravity"..).


M'è sfuggita così anche la poesia di un Clooney che non può rientrare in cabina spaziale senza far schiattare chi sta dentro a prendere il tè, e sono rimasto schiacciato, anziché dalla gravità, dalla faciloneria con la quale la nostra bella Sandra mette in moto tutto quello che trova (americano, russo, cinese; italiano no.. lì hai voglia a leggere istruzioni..) pigiando tasti a caso per tornare dritta dritta sulla terra (scuola di vita per noi che ancora ci perdiamo sulle tangenziali...o che quando ci prestano un motorino diverso, manco il bloccasterzo riusciamo a togliere), e cosi, probabilmente, mi sono perso la leggerezza dei sogni, il vacuo sballottìo dell'abbandono nello spazio silenzioso, non ho percepito né l'empatia né i concetti di vuoto profondo.



Tutte sensazioni, invece, che più di qualche immigrato, abbandonato alla deriva senza nessuna Houston alle spalle a finanziarlo, sta provando in ben altra tragedia.