Le locandine
del film nel foyer del cinema annunciano trionfanti: “Uscirete
felici dal cinema!”.
Il che, devo
dargliene atto, è assolutamente vero; trattasi forse di pubblicità
vagamente ingannevole ma è innegabile che la mia, personale, uscita
dal cinema al termine dell'indisponente proiezione, sia stata una
delle fasi più soddisfacenti del film.
Gloria è
una quasi sessantenne, incredibile fotocopia (come fa notare Alan
Smithee di FilmTv.it) della mirabolante Tootsie di dustinhoffmaniana memoria,
separata con due figli grandi ed una tendenza innata al viversi la
vita serenamente facendosi scivolare addosso di quasi tutto.
Buon per
lei.
Un po' meno
per noi che ci dobbiamo cuccare 'ste due ore di filmetto da
telenovela sudamericana, dove la storia si sviluppa principalmente
attorno ad un embrione di flebilissima storia d'amore con un
settantenne deficiente che gestisce un parco giochi (dove un altro genere di
deficienti si spara la vernice addosso), e gliene combina
insensatamente di tutti i colori causa legame a triplo filo con la
sua famiglia precedente dalla quale (sembra, forse) tenta il distacco
(nel nostro piccolo l'avremmo epurato senza appello dopo la prima
sòla...), mentre le pistole a vernice transiteranno spesso in
sceneggiatura, anche a sproposito, ma tutto per preparare il pubblico, evidentemente considerato ebete, a futuri exploit.
Gloria
lavora, si commuove, canticchia orribili nenie cilene in auto (di fronte al cui reiterarsi la Gloria tozziana di fine film ci apparirà nettare per le orecchie...anzi no, salvo anche una discreta versione de La pioggia di Marzo di Jobim..), balla,
si specchia, beve (sempre), fuma (di tutto..), si commuove,
(bellissime e tutte da ridere a pensarci bene, le sue lacrime alla
lettura della mail del futuro padre di sua nipote che più o meno
recita: “ho scalato le vette più fantastiche del mondo ma tu sei
la cosa più bella che ho”, costringendola però a fare armi e
bagagli, lasciare il suo paese, anche se in cinta, e raggiungerlo in
Svezia..), passeggia tra sfumate ed opache proteste di un Cile in
ebollizione, si spoglia integralmente
e la da a chi capita, anche
perché non frequenta esattamente la Caritas.
Di
introspezione e critica interiore manco l'ombra dell'ombra, non
pretendiamo Bergman ma neanche buttare nel cesso decenni di
filmografia meditativa ed intimista; salvo pochi fotogrammi di vita
quotidiana che impressioneranno chi ha avuto la forza (saggezza?
incoscienza?) di non soccombere alla valanga di insulsaggine che
dilaga dallo schermo, e non ce l'ho neanche coi nudi espliciti, certo
pleonastici, ma destinati probabilmente a scrollarsi la patina di
disarmante convenzionalità.
Ora, ci
chiediamo ancora increduli, ma chi volete che l'ammazzi una cosi?
L'antitesi
dello scoramento fatta essere vivente.
La
contrapposizione coriacea a tutte le demoralizzazioni del mondo.
Una
col vicino nevrastenico che tutte le notti non la fa dormire ed
invece di chiamare un reparto d'assalto di polizia, chiama la mamma
del forsennato chiedendo “scusi tanto sa, ma io lavoro, vorrei
riposare..”, una che la puoi abbandonare ripetutamente, e magari
pure con il conto di un cinque stelle da pagare.
Qual'è il
messaggio per chi soffre realmente i disagi familiari e sentimentali,
per chi non è disposto a saltare da un letto all'altro, per chi le
proprie difficoltà e tristezze se le vive con uno spessore
leggermente più elevato, per chi non riesce a prendere tramvate
dalla vita sciacquandosele sotto la doccia o strapparsele via con una
ceretta ?
Comprarsi un
fuciletto a vernice da war games, forse?!?
Decisamente si. E sparate pure a Sebastián
Lelio (il regista),
se vi capita a tiro...
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