venerdì 9 aprile 2021

GLI ALTRI - UN RACCONTO DI NEIL GAIMAN

A me non piace l'horror, lo splatter, la violenza gratuita. Un genere - specie cinematografico - che sembra aver preso piede e autorità. Eppure sono un fan di Stephen King, e leggo cose particolari - come questo incredibile raccontino di Gaimon - che travalicano il  convenzionale senso dell'horror  rendendolo  Arte pura. 

E vorrei, in qualche modo, invitarvi alla meraviglia.

 


GLI ALTRI

"Il tempo è fluido, qui", disse il demone. Sapeva che era un demone nel momento in cui lo vide. Lo sapeva, proprio come sapeva che il posto era l'Inferno. Né l'uno né l'altro lasciavano dubbi sulla loro identità.

La stanza era lunga e il demone aspettava accanto a un braciere fumante in fondo. Una moltitudine di oggetti erano appesi alle pareti color pietra, del tipo che non sarebbe stato saggio o rassicurante ispezionare troppo da vicino. Il soffitto era basso, il pavimento stranamente inconsistente.

"Avvicinati", disse il demone, e lui si avvicinò. Il demone era  nudo e scarno. Era profondamente segnato e sembrava che in un lontano passato qualcuno lo avesse scuoiato. Non aveva orecchie, né genitali. Le sue labbra erano sottili e austere, e i suoi occhi erano occhi di demone: avevano visto troppo e si erano spinti troppo in là, e sotto il loro sguardo lui si sentì più insignificante di una mosca.

"Che succede adesso?" chiese.

"Adesso", rispose il demone, con una voce che non esprimeva dolore, né sollievo, soltanto una monotona e spaventosa rassegnazione, "verrai torturato".

"Per quanto tempo?"

Ma il demone scosse la testa e non rispose. Camminò lentamente rasente il muro, osservando prima uno degli attrezzi appesi, poi un altro. In fondo al muro, vicino alla porta chiusa, c'era un gatto a nove code di fil di ferro. Il demone sollevò una mano con tre dita e lo prese, poi tornò indietro, portandolo con reverenza. Posò i rebbi metallici sul braciere e li osservò mentre cominciavano a riscaldarsi.

"E' una cosa disumana."

"Sì."

Le punte delle code di gatto brillavano di un'arancione opaco.

Alzando il braccio per sferrare il primo colpo, il demone disse: "In futuro ricorderai  questo momento perfino con piacere".

"Stai mentendo!."

"No", rispose il demone. "La parte successiva", spiegò un momento prima di abbattere il gatto, "sarà peggio". Poi i rebbi del gatto colpirono la schiena dell'uomo con uno schiocco e un sibilo, lacerando i costosi vestiti, bruciarono e squarciarono e dilaniarono, e lui, non certo per  per l'ultima volta in quel luogo, lanciò un urlo.

Alle pareti erano appesi duecentoundici congegni, e col tempo li avrebbe sperimentati tutti. Quando, finalmente, anche la Figlia della Zitella, che l'uomo aveva imparato a conoscere intimamente, fu ripulita e riappesa al muro alla posizione duecento e undici, l'uomo devastato bisbigliò con le labbra distrutte: "E adesso?"

"Adesso", rispose il demone, "inizia il vero dolore".

E così fu

Ogni azione che aveva compiuto, e avrebbe fatto meglio a non compiere. Ogni bugia  raccontata - a se stesso o ad altri -. Ogni piccolo ed ogni grande dolore che aveva inflitto. Dovette tirar fuori tutto, dettaglio dopo dettaglio, centimetro dopo centimetro. Il demone gli strappò di dosso il velo dell'oblio, mise a nudo la verità, e questo fu più doloroso di ogni tortura.

"Dimmi cosa hai pensato mentre lei se ne andava", disse il demone.

"Che mi stava spezzando il cuore."

"No", rispose il demone, senza odio, "non è vero". Lo fissò con gli occhi inespressivi e l'uomo dovette distogliere lo sguardo.

"Ho pensato che non avrebbe mai scoperto che andavo a letto con la sorella."

Il demone sviscerò la sua esistenza, momento per momento, istante dopo terribile istante. Andò avanti per cento anni, forse, o mille - avevano tutto il tempo che c'era mai stato, in quella stanza grigia - e verso la fine si rese conto che il demone aveva ragione. La tortura fisica era stata più clemente.

E poi finì.

E una volta finito, ricominciò. Ed ogni volta con una consapevolezza nuova, che in qualche modo rese tutto, ogni volta, ancora peggiore.

Adesso, mentre parlava, si odiava. Non c'erano bugie, né scuse, non c'era spazio per nulla che non fosse dolore e rabbia.

Parlava. Aveva smesso di piangereE quando finì, mille anni dopo, pregò che il demone si avvicinasse al muro e tirasse giù il coltello per scuoiare, o la pera orale, o lo schiacciadita.

"Ancora", disse il demone.

Lui urlò. Urlò molto e molto a lungo.

"Ancora", disse il demone, quando ebbe finito, come se cominciasse in quel momento.

Era come sbucciare una cipolla. Ripercorrendo ancora una volta la sua vita, ne comprese le conseguenze. Scoprì il risultato delle sue azioni; azioni compiute ciecamente; scoprì quanta sofferenza aveva inflitto al mondo; danni arrecati anche a persone che non aveva mai conosciuto, né incontrato, né mai visto. 

Fu la lezione più dura, fino a quel momento..

"Ancora", disse il demone, mille anni dopo.

Lui si accovacciò per terra, accanto al braciere, e dondolandosi piano, con gli occhi chiusi,  raccontò la storia della sua vita, rivivendola così come la raccontava, dalla nascita alla morte, senza cambiare nulla, senza tralasciare nulla, affrontando ogni cosa. Aprì il suo cuore.

Alla fine si sedette schiena eretta, con gli occhi chiusi, aspettando che la voce ripetesse: "Ancora". Ma tutto taceva.

Aprì gli occhi. Lentamente si alzò in piedi. Era solo.

In fondo alla stanza c'era una porta e, mentre la guardava, la porta si aprì.

Un uomo varcò la porta. C'era terrore sul volto dell'uomo, arroganza e orgoglio. L'uomo, che indossava abiti costosi, avanzò esitando e poi si fermò.

Quando lo vide comprese.

"Il tempo è fluido, qui", disse al nuovo arrivato.

lunedì 5 aprile 2021

E.I.T.R.D. DA UN'INIZIATIVA DI DANIELE VERZETTI

 Every Is The Right Day


Andrebbe festeggiata ogni giorno la donna.

Oggi si ricomincia, ma varrebbe la pena continuare a celebrarle, e lo dico per i mariti, i fidanzati, gli ex..tutti quelli che credono di aver preso una donna come un pacchetto di Amazon, tutti quelli chi non capiscono che non sono i padroni di niente, neanche del loro piccolo cervello, del loro minuscolo cuore.

Tutti quelli che fischiano per strada, che ti sbirciano in metro, che in ufficio pensano potresti fare al massimo le fotocopie, che se non indossi una minigonna e non ti trucchi non andresti da nessuna parte.

Quelli che dimenticano che a partorirli è stata una donna.

Avrei dovuto raccontare una storia, ma di storie aberranti continua a vomitarne il telegiornale, e anche così tante il cinema, che a volte inizio a chiedermi dove finisca la denuncia e inizi il voyerismo più subdolo.

Oggi c'è una storia che parte dalla Rinascita di ieri, dal guardare il mondo con occhi nuovi, di tenerezza, comprensione, remissione anche. Ma non remissione passiva di fronte alle ingiustizie, alle cattiverie, all'ignoranza. Ecco: l'ignoranza madre di tutte le sventure.

Aiutiamo chi non riesce. Chi ha un'idea sballata del mondo e di chi lo abita. Chi ragiona per parametri medievali. Chi ha ancora la clava nel portaombrelli.

Spesso dipende da noi. Dalla nostra debolezza. Non dalla loro.


venerdì 2 aprile 2021

CONTRAT..TEMPO

 


Credo accadde per caso, come può accadere solo in questi casi.

Stavo giocando col cellulare, distratto dai soliti post su facebook e qualche app con quei giochini maligni che ti drogano peggio di certi allucinogeni sintetici: sei del pomeriggio, semi bloccato da eterne zone più o meno colorate, e distratto da mille serie su Netflix,  (proprio oggi avevo iniziato a vedere l’ultima di Dark…) 

 …e mi ritrovo di botto in fila al supermercato, mascherina e disinfettante come se piovesse, esattamente dove ero alle 15 di oggi…

Dopo un attimo di spaesamento l’occhio va sull’orologio del cell: tre ore indietro.

Sto rivivendo la spesa.. stesse persone, stesso cielo cupo, stesso presunto distanziamento…

che incubo è?! Mi faccio prendere dall’ansia… situazioni stressanti, è risaputo, creano scompensi,.. sto sognando? Sto replicando tutto come se nulla fosse?

Tocca a me, (ri)prendo il carrello, ricomincio da capo...e mi viene in mente il mitico film con Bill Murray… ecco il tipo col cappellino da baseball che mi (ri)frega l’ultima pasta sfoglia, e il vecchietto calvo che cerca il latte con la scadenza più lontana… tre ore fa avevo dimenticato il lievito.. ora lo prendo.. mi aveva pure strillato Lulù, per averlo dimenticato ..

sarà il battito d’ali di farfalla che mi rende il futuro tempesta?



Staremo a vedere..

rifaccio il bravo fino alle 18, torno a casa, metto tutto in frigo, mi ridoccio,  sbrago sul divano, cerco di non deviare di una virgola. E mi stupisco del mio sangue freddo… tutto riaccade in precisa sequenza.. poco in verità...ero seduto, e da solo..

E dalle 18, riparte tutto...resto imbambolato nel di nuovo consueto, anche se stavolta  ignoto, scorrere del tempo...ho sognato? Mi sono risognato un flash di tre ore?! A forza di vedere film sui viaggi nel tempo mi sto rimbambendo del tutto? Facile..

Mi alzo… vado in bagno, mi sciacquo la faccia.. si...decisamente dovrei dormire di più… poi però mi viene in mente un dettaglio...apro il frigo… il lievito è là..

“Amore?! Lo avevo preso il lievito… non lo avevo scordato..”

...mi fermo un attimo e faccio finta di non capirmi ...in realtà non capisco davvero.. ho rivissuto tre ore cambiando anche un qualcosina.. e ora eccomi qua… com’è partita la cosa? Cosa la scatena?!

La mattina seguente è giorno lavorativo.

Alle 7 riprendo il cell...cerco di riaccedere alle app del giorno prima, tento di ricreare le stesse condizioni… nulla.

E la giornata passa così, cercando di convincermi di essermi immaginato tutto.. lievito compreso…

ma ripensandoci, c’è un app che non avevo considerato, smanettando sul cell… quella della sveglia… ok , l’indomani tento un’altra volta:

ore sette del mattino, sul divano; Lulù dorme, televisione a volume bassissimo… apro l’app del timer, reimposto la sveglia per il giorno dopo e..

apro gli occhi improvvisamente, buio pesto, sono a letto, guardo la sveglia… il display indica 4:02 … che vuol dire? Di che giorno? Stavo di nuovo sognando?! Inizio a preoccuparmi… mi alzo, accendo il cellulare… inequivocabile...sono tornato indietro di tre ore, come l’altro giorno.

Tre ore esatte, regolando  il display della sveglia.. stesso piano temporale, ma tre ore “illegali” indietro… potrei manipolarlo questo tempo da ripercorrere?!

Il lievito dell’altro giorno sembra dire di si.. ma in fondo ho rivoluzionato poco.. dovrei osare di più…

domani riprovo nel pomeriggio, su internet adocchio qualche risultato da sala giochi, poi “torno” indietro e mi gioco qualcosa di “sicuro”...nulla di trascendentale, per carità, giusto così.. per vedere... e di nuovo sul divano dopo aver messo le giocate nel cassetto… se funziona le ritroverò.

E allora non mi resterà che incassare…

Detto, fatto. Ok. Ci siamo. Sembra aver funzionato. Ho giocato tre corse prima della loro partenza, ma conoscendone già il risultato.

Scavallo le tre ore, arrivo alla sala slot e scommesse nervosissimo, dritto in cassa, mi guardano già strano, fingo sorpresa e incasso una cifra rilevante.. (non credevo di aver puntato così alto!), vado via, sembra un sogno, tutto perfetto… squilla il cell.. che nelle tre ore  lisce e canoniche non aveva squillato mai…

E' mia moglie, voce concitata.. “amore dove sei? Mi hanno tamponato a Circonvallazione Ostiense ..”

Comincio a sudare.. se corro da lei passo il limite delle tre ore e creo un altro livello spazio temporale che viaggerebbe di vita propria, ma forse l’ho già creato…

Perché nessuno mi ha chiamato la prima volta?

E’ bastata una giocata vincente a scatenare un incidente?

“..Franco mi ascolti!?… questo dice che si è distratto, gestisce una sala scommesse e gli stavano comunicando che qualcuno stava vincendo troppo.. ma che ne so io… insomma si è distratto e mi ha preso...ma io denuncio tutti, lui, la sala e tutti quelli che giocano… puoi correre, ti prego!”

...altro che battito d’ali...qui si stava muovendo il famoso elefante nella cristalleria… andare da mia moglie significava superare le 3 ore, non fare in tempo a tornare a casa, e aprire un piano temporale alternativo.. anzi no, il piano era già bello che aperto.. e non si torna indietro, si può solo ricominciare da capo.

Forse.


Arrivo da mia moglie. Trafelato. La vedo da lontano, sta parlando con un tizio tarchiato.

...ma anche con me.

Si.. ci sono anche io, proprio io... Dio che impressione non vedermi in uno specchio, ma  tridimensionale, reale.. come quando ti ascolti registrato e non riconosci affatto la tua voce… ecco, così non riconosci i tuoi movimenti, perché non fanno parte di un filmino, di un déjà vu, ma sei un tu che non hai mai visto all’opera, un tu di un multiverso...e come dovresti fare, proprio tu, ora, a essere lì, a poter intervenire con un dito, a creare scompiglio in tutti meno che in te, o nell’altro te, probabilmente…

Devi sparire Franco, sparire da qui, da loro, da tutto, da tutti. Mi sembra di impazzire..

Avevo sforato il tempo a mia disposizione, ed ero entrato in un altro spazio, accavallando la storia. Una storia che viveva di altri personaggi, o meglio, altri scenari.

E’ possibile? Si, stava accadendo, e sarebbe potuto accadere altre infinite volte allora, come un loop infinito ma che smette di riavvolgersi su se stesso e scavalla la corsia, non  ricalcando più quella fascia oraria di tempo.

Me ne sarei dovuto andare, attendendo di ritornare sul mio divano? Come facevo ora a riappropriarmi della mia vita, unica, originale, insostituibile?

E' la storia autonoma che ha mollato gli ormeggi, rotto gli argini, oltrepassato la collina?

Come regredire nella mia dimensione?

Cosa fare? Anzi, NON fare?!

Stavo ascoltando mia moglie ma, con la coda dell’occhio,  lo avevo visto, cioè, mi ero visto, e all’istante ho capito che la situazione stava decisamente sfuggendo di mano. Più deviazioni si prendevano - da qualsiasi percorso ipotizzato - più si moltiplicavano i piani temporali a rischio intersecazione.

E ora ne avevo un altro pericolosamente ad un passo. Dovevo farlo fuori prima che andasse fuori di testa..

In quel momento noi eravamo due e nessun dubbio: l’altro “me” sapeva di potersi “incontrare”. Cosciente dello sdoppiamento.

Ovvero sapeva che, fuori dai margini, saremmo esistiti in quelle che, comunemente, vengono chiamate  “altre dimensioni” senza tuttavia avere la minima idea di cosa trattino realmente

Insomma, sapeva e prima o poi avrebbe compreso che ero quello che gli aveva fregato la pasta sfoglia nel supermercato, all’inizio della sua  storia, e sostituito il cellulare con quel marchingegno maledetto. La dovevo finire di giocare..

Sarei andato là, di nuovo col cappellino da baseball calcato in testa, dicendogli a brutto muso: “ Non svenire imbecille, uno di noi è di troppo qui, ma non posso neanche lasciarti andare troppo in giro.. come quando anche l’altro me, mi si é parato dinanzi, un mese fa, lasciandomi col respiro a metà.. ”

Questo racconto ha bisogno di una fine ora - tre Franco sono abbastanza anche per me che scrivo, senza più neanche sapere chi scrive dei tre, oltretutto; ma mi accorgo che non corrisponde a quella pensata (di fine), forse non è scritta neanche da chi l’ha pensata inizialmente. Questo il problema: lo scrittore disarcionato dalla storia assiste impotente al suo irrequieto evolversi.

Potrei tornare una vita al supermercato di questo passo.. 

Sicuramente un contrat..tempo non considerato, un work in progress divenuto futuro, o magari tornato indietro appositamente a rimescolare carte che non dovevano essere scoperte.

Vorrei ritrovarmi sul divano, e mia moglie a scuotermi.

Ma invece sono ostaggio di un  loop infernale.


Neanche Dark si era incasinato tanto.



 

 

 

 

 

mercoledì 31 marzo 2021

L'ERBA CATTIVA



L'erba cattiva capita una di quelle sere in cui vuoi guardare una cosa leggera, senza pensare, forse senza neanche emozionarti; magari vuoi tenere il cuore al minimo dei giri, forse neanche ridere, vuoi giusto abbozzare un sorriso automatico che procuri il sonno, quello detto dei giusti. 

Hai intravisto tra le didascalie della presentazione "comico", e tanto è bastato.

Ma il film inizia con una strage in un villaggio iraniano. Militari che uccidono popolazione inerme, donne e bambini. E ne sopravvive uno. Un bimbo dolcissimo che inizia a camminare tra macerie e mezzi blindati. Solo, col suo sguardo perso.

Ti inizi a chiedere se Netflix comincia a perdere colpi e mischi le pellicole tanto per far dispetto. 

Invece no. 

Si passa ad un altro riquadro, altra scena, c'è Wael (Kheiron, attore e regista franco iraniano), un ragazzo che si arrabatta tra piccole truffe, e vive con Monique (una incredibile Catherine Deneuve) nella periferia di Parigi, e inizia quasi per caso ad occuparsi di ragazzi con problemi di integrazione scolastica, ragazzi difficili, "erba cattiva". 

E da lì si dipana una storia di caratteri complicati, di accettazione, di complicità che finiscono per emergere. Di punti di vista condivisi.

Un film all'apparenza semplice, leggero, tenero, ma anche profondo, che lancia segnali distensivi alle complicazioni del mondo, che vuole prenderci per mano e portarci dove spesso tendiamo a voltarci dall'altra parte e aprirci gli occhi quando, forse, semplicemente, preferiremmo di no. 

Alterna la storia di Wael e dei suoi studenti difficili, il film, con quella iniziale del bimbo sopravvissuto, in un crescendo che diverte ed emoziona, e ci fa pensare quando non volevamo pensare, e il cuore ce lo fa salire di giri, spontaneamente, senza accorgercene. Come un sorriso automatico, ma autentico.

Volevamo rilassarci, e lo abbiamo fatto riflettendo. Non capita spesso.



martedì 30 marzo 2021

TUTTO QUELLO CHE HO CAPITO DELLA VITA

 
























"La pagina era bianca. Non aveva avuto tempo? Non aveva capito niente? Non c'era niente da capire? La risposta esatta era quasi certamente la prima. Ma a Giuliano piacque pensare che fosse la terza"

da IL TESTAMENTO CANGIANTE  di Nicola Pezzoli  

domenica 28 marzo 2021

TESTOLINE OTTUSE

 Testoline ottuse


Il Sioux guardava in basso, verso la vallata, brandendo l'ascia in un gesto eterno. Davanti ai suoi occhi socchiusi apparve il ranch più spoglio che avesse mai visto, di dimensioni modeste e molto scalcinato.
Fosse stato il dirigente di un nostro qualsiasi ministero, avrebbe potuto dire che il suo lavoro non gli dava più le giuste motivazioni. Ma la realizzazione professionale dei guerrieri Dakota, purtroppo, non ha mai interessato nessuno.
Dentro la piccola costruzione si intravedevano due visi pallidi, un uomo ed una donna, che ammiravano un neonato.
Avrebbe potuto attaccarli anche da solo, non ci sarebbe voluto molto ad avere la meglio su quella famigliola indifesa e portare via il bestiame, mezza dozzina di pecore, un bue accovacciato ed un piccolo cavallo. Non riusciva però a decidersi, forse per la scarsezza del bottino, forse per l'espressione serena e benevola dei due genitori.
Il Sioux si chiese per quale motivo gli altri non arrivassero, tra i guerrieri della sua tribù ce n'era almeno un paio che non avrebbero avuto problemi a fare il lavoro al posto suo. Desiderava moltissimo acquattarsi, ma naturalmente non poteva. Dietro di lui, il suo mustang lo fissava, immobile e dignitoso, nonostante gli mancasse una zampa anteriore.
Si accorse allora di altre presenze che non aveva notato fino a quel momento.
A poca distanza dal ranch c'era una donna che lavava i panni nelle acque di un piccolo stagno e al suo fianco, anche se sembravano ignorarsi del tutto, un ragazzo pescava. Stava tirando su un bel pesce dorato, ma non si decideva a staccarlo dall'amo.
Girando ancora lo sguardo per quel che gli riusciva vide, sotto un albero che non conosceva, dal lungo fusto e dalle ampie foglie paripennate, una sparuta mandria di strani cavalli dal dorso orribilmente deforme.
Il pellerossa si sentiva nervoso, era entrato in un territorio sconosciuto, misterioso ed ostile. Cominciava ad avere paura, sentimento che non ti puoi permettere se ti chiami Orso Indomito. Le terre del suo popolo, lo sapeva bene, si estendevano dal piccolo tavolo sacro al tappeto dei mille orsetti bruni. In quei luoghi i Sioux cacciavano, combattevano i soldati e vivevano in libertà i loro giorni. Adesso però si era spinto troppo oltre. Tese l'orecchio sperando di sentire le grida dei suoi fratelli che si avvicinavano.
Fu allora che scorse una creatura spaventosa, in cima alla collina adiacente a quella su cui si trovava. Era un tacchino gigantesco, molto più alto di lui, che lo guardava in silenzio. Il sangue gli si ghiacciò nelle vene.
Mentre si preparava a difendersi dal mostro, arrivò il marine. Stava parlando ad un telefono da campo e non sembrò avere nessuna paura dell'enorme gallinaceo che incombeva su di loro.
Anzi, si trovò subito a suo agio lì nel presepe, dove Simone, sette anni, lo aveva messo, con un innesto spazio-temporale ardito ed affascinante. Del resto, il Medio Oriente era pane suo, un posto infido e pericoloso dove però i marines sanno come muoversi.
Il militare iniziò subito a tenere d'occhio tre vecchi che si avvicinavano alla capanna sui loro cammelli, portando ciascuno un cofanetto sospetto. Avrebbe potuto essere esplosivo, degli arabi non ci si deve mai fidare, questo al marine lo avevano ripetuto migliaia di volte.
A quel punto, Simone tornò dalla sua camera con le mani piene di soldatini e li sistemò dappertutto: un giapponese a dare una mano al caldarrostaio, un barbaro con arco e frecce vicino alla mangiatoia, un pirata malese che cercò subito di attaccare discorso con l'angelo che stava sopra la stalla.
Tutti i soldatini, qualunque fosse l'etnia che rappresentavano e in qualunque materiale fossero stati fabbricati, convissero serenamente: davvero non c'erano più romani e barbari, cristiani ed ebrei, bersaglieri e giubbe rosse, che si trattasse di ometti in plastica o in piombo, se ne stettero là, tranquilli, con nelle loro testoline ottuse la sensazione sempre più chiara che dovesse accadere qualcosa, arrivare qualcuno.
Ma arrivò solo l'Epifania e la piccola città venne smontata, le casupole in cartone e la capanna riposte in una cassetta di legno dello Stock 84.
Anche i soldatini tornarono nella stanza di Simone, riposti in piccole scatole a seconda dei gruppi di appartenenza: indiani con indiani, pirati con pirati e cosi via. Il piccolo pellerossa con il tomahawk sempre alzato riprese la solita vita, fatta di riunioni intorno al totem, battaglie lampo e cacce al bisonte (in realtà erano mucche, ma Simone aveva solo quelle).
Tutto sembrava tornato come prima, con la sola eccezione che, qualche volta, il guerriero Sioux sognava l'enorme tacchino e si svegliava terrorizzato.
Un giorno però, durante un attacco al forte, una giubba blu, che nei giorni del presepe si era ritrovato accanto, lo salutò con inaspettata cordialità e da quel momento, nel cesto dei giochi, di tanto in tanto, un soldatino mandava un saluto a quelli delle altre scatole, che rispondevano calorosamente, con grida di esultanza e brevi cori affettuosi.
E quando Simone decideva di scatenare la guerra mondiale, che per lui significava tutti contro tutti, indipendentemente dalle nazionalità e dalle epoche storiche cui i piccoli militari appartenevano, era una specie di festa tra vecchi amici, nonostante, per serietà professionale, spade, fucili, frecce e cannoni dovessero entrare scrupolosamente in azione. Alcuni addirittura, tra scariche di artiglieria ed assedi interminabili, si davano appuntamento vicino alla capanna per l'anno successivo.
Tuttora, a dispetto di sociologi e decreti governativi, nonostante siano passati molti anni e lui non giochi più con i soldatini, il presepe di Simone rappresenta il più ambizioso e ottimistico tentativo d'integrazione razziale mai realizzato nella buia, grandiosa, sconfortante storia dell'Umanità”


(Marco Presta - Il paradosso terrestre -)


Realtà ed inganno si prestano agli ingegnosi strumenti umani per camuffare senso e percezione.
C'è chi traveste la realtà e chi vorrebbe, testoline ottuse, ingannare l'archetipo.

Continuo a preferire i primi.

(... e meraviglioso Marco Presta)

sabato 27 marzo 2021

ZERO SCATTI ALLA RISPOSTA



Ho appena attaccato il telefono e c’è un’eco di tue risate serene

a misurarsi con la luce fioca e paonazza,

che sguscia ancora dalla cornetta incredula.

Svirgolano l’atmosfera attorcigliate al filo
frantumando tensioni e malumori.

Sarebbe facile sconfiggere il mondo
con te a fianco. Penso.

Ma devo vincere mentre non ci sei.
Nell’attimo oscuro nel quale non ti sogno.
Nel batticuore d’una chiamata che 
chissà quando giungerà di nuovo.

In bilico al precipizio che incontro
dopo che mi hai salutato.

Da solo, dentro una chiesa vuota
con impigliata una tua preghiera.

O mentre immagino soltanto
un odore che svanisce.

Il telefono respira qui accanto.

Ma è silenzioso.
Asciugato di parole.
Quieto.

Vorrei scuotermi ma ora la mano
è come afferrata dall’apparecchio
che blocca virtualmente la comunicazione.

 
..io lo sapevo che, da Tim a Vodafone, succedeva un casino..