Alla fine, quello che
rimprovero al buon Nolan, è di aver infarcito di qualche scena missionimpossibleiana
di troppo (e assolutamente non nelle sue corde, tipo la rapina al camion o i
buckinjumpiggeggi sui palazzi o ancora il tanto celebrato schianto del Boeing), un
film che probabilmente non ne aveva bisogno, vivendo già di suo più di un piano
temporale; anche i tornelli che servono per andare avanti e indietro, al posto della DeLorean di Ritorno al futuro,
lasciano - paradossalmente - il tempo che trovano per invertircelo sempre con
comodo come e quando serve (ma chi - e quando - li ha lasciati tutti ‘sti tornelli in giro?).
Il film stavolta non ti
lascia con quel “Ohhh!” di meraviglia in gola allo svelare dello svelabile,
perché per quanto tutto si contorca all’inverosimile la storia si incanala fin
dall’inizio in uno schema chiaro e prevedibile, alla faccia dell’inversione (che
comunque fa risparmiare un sacco di pellicola).
Avrei preferito un vero
ribaltamento, ulteriori scoperchiamenti di carte, oltre al sapere che il solo
Neil manovra nell’ombra (cosa che si capisce già dalla scena nel deposito a
Oslo quando riconsegna il casco all’uomo in tuta dietro l’angolo).
Di questo film
finiscono per affascinare le teorie possibiliste del dopo, i richiami
sottolineati alla famosa iscrizione palindroma latina Sator Opera Tenet Arepo
Rotas, leggibile sia orizzontalmente che verticalmente, i magheggi attorno ai
paradossi del nonno che nessuno potrà far fuori tornando dal futuro, il titolo
che potrebbe essere anche un richiamo ai “dieci” minuti di battaglia invertita
finale: TEN - NET, il figlio di Kat che vediamo bene come il Neil da crescere
nel culto di un futuro salvataggio a ritroso nel tempo.
Da contorno a tutto ciò
Il protagonista, attore senza nome anche nella vita, perché rimarrà giusto “il
figlio di Denzel”, quel Denzel Washington che in un fenomenale Déjà vu ci
ricorda molti dei meccanismi ad incastro sui paradossi temporali con ben altro
fascino e pathos.
Qui il figlio lo
scimmiotta appena, nella camminata e in quel tipico aggiustarsi il pantalone
quando si alza dalla sedia, ma per il resto non comunica emozione ne’ brivido.
Degli altri, Robert Pattinson
mi convince poco, dà costantemente l’idea di averci capito poco col copione che
gli spunta dallo zaino (a ben guardare protagonista - lo zaino - più di lui, alla fine), Kenneth
Branagh, orfano di Shakespeare, fa il cattivo con appena sufficiente nerbo,
Elizabeth Debicky, la bella spilungona da salvare appare fin troppo algida, e le
piazzano pure i tacchi per giraffare
meglio.
“Non sono lo bombe
esplose a fare la Storia, ma quelle disinnescate” questo il messaggio di fine
pellicola alle “posterità”.
Credo che invece Nolan
si sia disinnescato da solo con l’occasione, speravo davvero in un altro gioco
di Prestige, invece ho passato solo più volte il tornello (e non m’hanno
neanche misurato la temperatura).