Intrigato da Monia Papa e dal suo Calamorso, ho partecipato alla raccolta anonima di racconti su "i treni persi" , deragliando da par mio..
è uno scorcio di adolescenza a farla da padrone, con la mia cittadina di vacanza e crescita emotiva, Scauri, rinominata Rivareno (omaggio a una mitica gelateria romana..) per garantire minor appigli possibili al lettore.. ovviamente non vinsi, e per punizione ve lo propongo...
Fu
probabilmente il mio sguardo ottusamente imbambolato a rimanergli
impresso. Ancor più delle parole:
“Ho
perso il treno.
Ce
l'avevo qui sul monitor ...e ad un tratto, più nulla!”.
Il
Coordinatore Capo mi osservava sgomento. Ero stato il suo pupillo
dai tempi della scuola allievi macchinisti.
Mi
riteneva persona assennata, saggia, lucida.
Quel
mio sereno, consapevole annunciare, una cosa assurda.
Lo
annichilì.
Ricordavo
quello sferragliare lungo costa, quando il mare iniziava ad apparire
ad intermittenza al finestrino, a rapidi flashes. Era l'autentico
inizio vacanza. L'abbandono della città, della scuola, delle strade
popolate di auto pericolose. Un vago e sempre più consistente
materializzarsi di spiagge, mare, ciambelle calde, scorribande in
bici, uva rubata dai vigneti che tracimavano a bordo strada.
Ancora
una galleria e la vecchia stazione dalle pensiline in ferro mi
avrebbe riaccolto coi miei sogni di bimbo entusiasta.
Mi sta dicendo che
un'elettromotrice da ottanta tonnellate con un vagone autorità e una
trentina di persone a bordo si sono smaterializzati in galleria?
Proprio l'E656, nel suo ultimo viaggio celebrativo prima della
dismissione? Non diciamo cazzate Alessi..
E
quella medesima stazione, quello stesso treno, a fine vacanza mi
strappava ogni volta ai miei ricordi, agli amici, all'emozione di un
bacio, ai primitivi subbugli di cuore, alle spensieratezze, per
ricatapultarmi nella mia città, e farmi affogare di nuovo tra
doveri, studio, noiosa routine, un nebuloso oblio a frantumare
ricordi.
Era tutto tranquillo. Lo
seguivamo sui tabulati elettronici e non c'era stato nessun
preallarme o segnalazione di malfunzionamento. Nella stazioncina di
Rivareno erano presenti già tutte le autorità locali, quelle che
avevano fortemente voluto 'sta pagliacciata.
Non capita tutti i giorni
riuscire a mettere su un evento del genere.
Volevano rinverdire i fasti
della “cittadina di mare” di un élite scomparsa. E mi stavano
costringendo a rivoluzionare orari e percorrenze di almeno una ventina
di treni. Per fortuna sarebbe durata poco. Il binario messo a
disposizione per la scenografica entrata in stazione moriva proprio
lì. Dove sarebbe morto quell'ultimo sferragliare rugginoso.
Avevo
finito per detestarlo quel treno che mi portava ai sogni, ma che con
la stessa regolarità me ne allontanava senza alcun indugio, senza un
tentennamento, una pausa per un saluto più lungo, per un ricordo da
lasciare a custodire un intero anno lontano. Era un accavallarsi di
sensazioni ogni volta demolite dallo scampanellìo che annunciava
l'arrivo di un convoglio, di quel convoglio. Poi un sibilo lontano,a
sfregiare il silenzio, un puntino che appare mesto ingrandendo fino a
occupare tutto, spazio e memoria.
Il coordinatore mi guardava
quasi furente ora. Specialmente dopo che gli avevo raccontato che
quel locomotore era proprio lui, il treno che odiavo da piccolo,
quello che mi riportava a casa a fine Settembre, che decretava ad
ogni stagione la fine di un sogno, del mare, del caldo, di tutto...
“Tira subito fuori quel treno,
non finisco in pasto alla stampa per le tue pippe mentali.. fai
“riapparire” subito quel ferrovecchio, e basta con queste
stronzate.. è l'ultima volta che presto un tratto di ferrovia per
queste manifestazioni nostalgiche. Andava rottamato subito quella
carcassa, senza pensarci due volte... ed ora ti ci metti pure tu e i tuoi magheggi pazzoidi!! ”
Quante
volte avevo pregato perché sparisse tutto.. treni, stazione, binari
e capostazione.
Ero entrato in ansia. Mi ero
subito agitato, in veste di Dirigente Centrale del Traffico
Regionale, quando era uscita questa storia del'elettromotrice da
rottamare in pompa magna, con quell'ultima corsa proprio nella
stazioncina di Rivareno.
Erano anni luce che non tornavo
più là, i moderni ETR frequentavano tratte apposite, le linee
regionali lungo costa erano soprattutto appannaggio di pendolari
cronici. Bastava un monitor, un carteggio grafico e una matita.
Ma avermi appioppato
l'organizzazione di quell'ultimo viaggio d'addio era come un voler
farmi rituffare in memorie sepolte. E quasi un dispetto a me che da
anni non mettevo più piede a Rivareno, e che dei ricordi avevo fatto
carne macinata, a volte per scelta, più spesso per necessità.
Avevo
covato mille attese in quella stazione, abbracciato genitori in
attesa, salutato parenti, amici, fotografato tramonti e odorato la
notte.
E
ci avevo atteso mille volte l'amore, più volte diverso, sotto quelle
pensiline di ferro arrugginito, mi ero attaccato alle vecchie
panchine inchiodate a terra mentre merci furiosi transitavano
frullando polveri e aria turbinante; lanciato sms accorati,
avvertimenti convulsi, disillusioni e promesse mancate, coi “dove
sei?” e i “ma quando arrivi?” che si accavallavano.
Ero
cresciuto alla loro ombra, binari consunti testimoni di mille vite a
fuggire o a giungere.
Ho
maledetto innumerevoli volte il bigliettaio che mi staccava la
ricevuta di partenza e odiato quel lavoro di impietoso assassino di
sogni fanciulli.
Ed ora eccomi qua, nella
capitale, ad occuparmi di reti ferroviarie e treni pendolari,
stazioncine in disuso. E anche treni in disuso. Come
quell'elettromotrice da riportare nella sua vecchia stazione di
transito. Una manifestazione voluta dal Comune per rinverdire i fasti
di un periodo di florida vacanza balneare ormai perduta. Un posto di
mare bello solo per chi ci era cresciuto, in realtà un paesino
terremotato dal tempo e dall'incuria, devastato dalla camorra e
dall'edilizia selvaggia, col mare rimasto da sogno giusto in una
fotografia sbiadita degli anni ottanta.
Da lì in poi delirio di
inquinamento e di perdita di sogni e adolescenza.
Non volevo tornarci e provavo un
senso di intima repulsione verso quel treno che se ne andava in
pensione.
All'epoca l'avrei fatto
esplodere, emigrare sulla luna ridotto in polvere fosforescente.
Vederlo entrare in stazione,
nella mia stazione, seppur su un monitor a led mi avrebbe squassato
il cuore.
Ma poteva davvero solo il
desiderarlo, per far sparire un treno?
Ricordo
quando piccolo e triste, con la valigina accanto, rimanevo a fissare
la galleria dove sarebbe apparso il mostro che mi riportava nella
Grande Città, a scuola, lontano dai miei sogni salmastri. Desideravo
allora con gli occhi chiusi e i pugni stretti che sparisse ingoiato
dal buio. Ma non accadeva mai. Sbucava alla fine sbuffante e
raccoglieva la mia tristezza in una manciata di attimi, il
capostazione fischiava, papà mi portava sopra dopo aver caricato le
valige, oppure mi salutava perché partivo con gli zii, mentre i miei
genitori avevano più spazio in auto, quando se ne poterono permettere una, per caricare valige, borse e svariati pacchetti.
E ora, da adulto responsabile,
refrattario alle emozioni, e forgiato dalla vita, solo a ricordarlo
quello stupido desiderio che mi agitava i sogni fanciulli... puff!
Quel maledetto treno era sparito
davvero! Mi si era volatilizzato. Un desiderio che cullavo da secoli
si era impadronito della scena quando ormai mi avrebbe creato (e me
li stava creando) solo casini immensi.. asincronismi maledetti!
Vaglielo a spiegare ora che una
mia voglia bambina aveva realmente generato il miracolo, giusto con
quarantanni di ritardo.. avevo volontariamente e scientemente perso
il treno che mi strappava ogni anno dal mondo favoloso delle mie
vacanze..
...quei
vagoni a scompartimenti, che creavano un microcosmo che viaggiava per
cavoli suoi, porta e tendine chiuse, come un modulo lunare distaccato
dal resto del convoglio, dove si mangiava, si leggeva, si dormiva;
dove odori e sguardi si confondevano e, soprattutto, si faceva
conversazione.. non c'erano computer, cuffiette e cellulari, foto di
memoria viva per riaccarezzare la vacanza con gli occhi, quegli
apparati che ti mettono in comunicazione col mondo ma ti fanno
ignorare il tizio con cui viaggi gomito a gomito.. che strane queste
dimensioni macro che s'ingoiano il micro.. solo il naso appiccicato
sul finestrino a rubarmi con gli occhietti tristi un mondo che
sfilava via..
Chi ha dirottato l'E656 sul
binario “illegale” (un binario di riserva che serve per i
“contromano” d'emergenza)?!
Un binario che non si usa mai..?
Ovvio ero stato io, certi comandi vanno via per default, sempre
ammesso di trattare tutte le stazioni per quello che sono, e non ci
si metta il cuore di mezzo.
Fermate anonime per scambio
passeggeri e merci. Numeri sul tracciato.
Il sussidio di grafica della
circolazione parlava chiaro, io mi ero fatto prendere da panico
primordiale e avevo creduto di poter manipolare oggetti e desideri a
mio piacimento.. che idiota!
E che figura di merda col Capo
..
intanto tiriamo subito fuori quel treno dalla galleria, dentro c'è
gente che se ne fotte delle mie malinconie...
Ma
c'era quella splendida differenza tra un treno che ti portava a
destinazione e quello che ti ci strappava, la stessa che nutri per un
treno da perdere con tutte le forze, perché altrimenti si stacca
dalla banchina come un cerotto divenuto seconda pelle, muove le ruote
stridendo nervi e tendini, come una radice che urla, una fondamenta
terremotata.
E
allora vuoi rimanere sulla terraferma delle tue certezze, dei tuoi
sorrisi.
Che scorra via senza di me quel rapinatore di sogni. Di sogni
realizzati.
C'era un regia di traffico
ferroviario che mi era completamente sfuggita di mano, o che, piuttosto, avevo fatto sfuggire via.
La gestione
di questa “manifestazione” era apparentemente semplice, avevamo
sospeso intercity e merci creando un limbo dove appoggiare quella
mezz'ora di traffico anomalo, fare arrivare l'E656 in stazione e
parcheggiarlo sul binario secondario che avrebbe assistito all'ultimo
giro di ruota, alla frenata Finale.
Non
lo sopportavo quel treno, quello che mi portava via ovviamente. Un
treno che viaggia nei due sensi ma senza sapere che chi soffre e chi
gioisce è solo a causa di una destinazione, o per l'altra.
Ma avevo dato quasi
inconsciamente una segnalazione di priorità e liberato il traffico
per un intercity inesistente.
La mia locomotiva delle vacanze
era così “scomparsa” dai radar, seppur questione di minuti, ma nel mio immaginario l'avevo fatta sparire davvero, frantumata, l'avevo in pugno; e mi
stava piacendo quella sensazione, un me onnipotente finalmente in
grado di cancellare una fonte di dispiacere avvolta nel malanimo, e
covata negli anni. Una vendetta servita fredda.
Che idiota. Ma che meraviglia
anche!
Ti avevo perso finalmente,
treno della malora.. sarebbero rimasti i grilli a frinire su quel
binario di ferro ancora tiepido specchiato di tramonto rosso.