mercoledì 22 gennaio 2014

ALCHIMIE




Un odore ha preceduto il caos ed un altro sopravvivrà al mondo.
A volte li percepiamo, il primo negli eccessi della fornicazione, l’altro nel fragore della defecazione, quando ci dissolviamo e non dipendiamo che dall’effervescenza di una chimica sottomessa alle pieghe ed alle innumerevoli secrezioni dei nostri molteplici alambicchi.
Per quanto sia abbandonata a se stessa, se ci esercitiamo, niente di ciò che accade nella nostra carne sfugge del tutto alla coscienza.”
(Marcel Jouhandeau)



Immagino che, metaforicamente o meno, l’articolo lasci perplessi, come anche me del resto...

ma il concetto è pervaso comunque da una qualche perversa logica, ed è indubbio che esista un livello di effetti e comportamenti propri dell’essere animale, ai quali ci abbandoniamo e che, in qualche modo, ci nutrono.



Di fondo, continuo a considerare l’Autore troppo “avanti”, ed io, inesorabilmente indietro.

E tutta questa serie di premesse serve a ribadire che non riesco comunque ad essere cosi crudo e materiale.

Magari sbaglio.

Magari difetta una sana dose d’intraprendenza mentale, 
latita la famosa “rottura degli schemi”.

Schemi oscuri, ovviamente, perché il “pane al pane ed il vino al vino” dovrebbe essere assunta come regola inderogabile per gran parte della comunicazione, ufficiale e non, della nostra intelaiatura sociale.

Ed infatti, questa incapacità, va riflettendosi, 
disastrosamente, 
nel quotidiano della vita vissuta e nei rapporti con gli altri.
Intimi o meno.
Ma tant’è.

Sicuramente però, immagino che tanti, più o meno, illustri personaggi, 
adusi al giocherellìo alchemico - sia verbale che gestuale - 
potranno magari apprezzare tanta lungimiranza 
su tutta la serie di fenomeni (meta)fisio/biologici di cui sopra… 

e chi non lo ammette, è sicuramente affetto da incurabile... 
puzza sotto il naso.








sabato 18 gennaio 2014

SCAMBIATEVI UN SEGNO DI PACE



Tutta quella gente accalcata nell’autobus,
che viaggia scocciata, improperando a mezza bocca contro tutto e tutti,

è la medesima che,

con sorrisi stereotipati e sguardo lisergico, si scambia un segno di pace nella parrocchia di quartiere alla domenica mattina.







Proviamo a trarre qualche conclusione: senza parrocchie non scambieremmo alcun segno di pace ma potremmo, in alternativa, scambiarlo in autobus tutte le mattine.

Posso ammettere alcune riserve e/o perplessità a riguardo.

In teoria dovremmo anche scambiare gli autobus con le parrocchie, ed allora il quesito acquisirebbe brio, sensatezza ed una seppur teorica fattibilità.













Rimarrebbe il grosso enigma del come recarsi al lavoro a bordo di una parrocchia.

D’altronde, anche il misurarsi con la propria spiritualità sopra un mezzo pubblico
può creare non lievi disagi.

Specialmente in curva.



Nondimeno, probabilmente, si sale in autobus con un altro spirito e rimangono alcuni dati di fatto, tipo che quando entri in chiesa sai che ne uscirai esattamente dopo un’ora (a meno che non ti blocchi il parroco per incastrarti nella recita di fine d’anno…),




non potresti giurare altrettanto sui tempi di percorrenza della tua linea di corriera urbana/extraurbana preferita (specialmente se sei una comparsa di Speed..).

E tutti gli automobilisti allora? Privati all’improvviso di confortevoli e climatizzate parrocchiette accessoriate nella stragrande maggioranza di pidocchietissimo cinemello, e costretti a salire in autobus per incontrare il Signore?

Come potrebbero coniugare il loro calore umano senza un contatto col prossimo, solitari nelle loro quattro posti e tre di resto quasi sempre inesorabilmente vuoti?


A parte qualche struscio inavvertito di lamiera (exit strategy da incrocio intasato),

unica occasione per disinvolti
segni di pace.
Il problema esiste e la panoramica di ipotesi scatenate, s’arricchisce di molteplici sfaccettature.

Provate ad identificarvi in un essere di Verità e Spirito durante un eventuale sciopero delle parrocchie, 


evento mai verificatosi ma rigorosamente da considerare nell’ambito dell’assioma 

"autobus uguale parrocchia: similitudini, potenzialità ed affinità d’utilizzo”.

Non rimarreste male se alcuni sacerdoti-cobas vi mollassero a metà funzione senza indicarvi linee, pardon!, salmi alternativi?

E se vi beccassero in flagranza di reato mentre fate la comunione senza aver obliterato prima?

Gli esempi sarebbero diversi, ma nessuno può dirci chiaramente di quanti feticci possiamo fare a meno nel nostro quotidiano.

Computers, auto veloci, cinque stelle (sia hotel che movimenti che punteggi a film stratosferici…), gioielli, iphone o preghiere a memoria.


Dovremmo idolatrare solo la cultura, certo permeata di buon senso, cuore e carità (hai detto niente!...).

Ci vorrebbe un epocale capovolgimento di logica.

A quel punto, ma solo a quel punto, potremmo diventare capacissimi di scambiare un segno di pace dentro l’autobus al lunedì mattina.



Anche se fuori piove come Dio comanda…




giovedì 16 gennaio 2014

IL GRANDE CINEMA: LA PECORA NERA (2010)


Un grandissimo film matto come un marziano, girato dal marziano matto Celestini. 


Perché i matti ragionano su altre coordinate che a noi sfuggono. 
Come Prot di K-Pax. E tante sono le similitudini. 
Tra i due film e tra matti e marziani, e tra il film e la poesia che ne trasuda. 


Certo c’è il marchio di fabbrica celestiniano, quel faceziare, quel filastroccare fiabeggiando di storie lontane eppure vicine. 
Lo fa fin da piccolo, nel film, Nicola, un bambino dei “favolosi anni sessanta”, dove se non t’integravi di disintegravano per la vita.
Ed il ragazzo cresce in un Istituto di cura 
(ma cura de che?). 
Resta innamorato della sua compagnetta di classe che ritroverà poi da grande, lei nel supermercato a lavorare, e lui a farci la spesa per i matti, lui che matto non sembrerebbe e la suora lo gratifica allora, anche con compiti di quotidiana normalità.


A questo film che in tanti percepiscono come un non-film può sfuggire, ad esempio, la costruzione, deliziosamente cinematografica invece, con la quale il Nicola ragazzo denuncerà i fratelli assassini ai carabinieri in sopralluogo pur senza accusarli manifestamente: e sono queste accortezze, come una miriade di altri appigli offerti allo spettatore - l’amicizia col suo compagno di stanza ad esempio - per farlo muovere in una tela immaginifica tessuta ad arte, e delicatamente, da un Celestini che sembra proprio non voglia sentirsi, poi, accusare di sotterfugio.


Ed a me sono serviti tutti i suoi accorgimenti, perché plasmato nella pellicola, nella storia, nel sogno e nell’ambizione, nella speranza e nell’illusione.
E forse perché anch’io vorrei essere giunto da un pianeta lontano, come Nicola o come Prot, e gioco ai marziani, specie al supermercato, quando ordino alla porta di aprirsi da sola. 
Me li tengo stretti questi matti che vedono lontano e senza filtri e che fanno cosi paura.


E invece li richiudiamo dentro cento cancelli (che non sono come le porte del supermercato, con la fotocellula, che si aprono quando ti avvicini).

Li chiudiamo per bene cosi non scappano (e non scappiamo neanche noi, dai nostri di cancelli, molto più di cento…).

Sai che c'è?

Chiudeteci pure me.



martedì 14 gennaio 2014

PHILOMENA (MARTHURANO)



Gli affascinati da Philomena sono stati quasi tutti abbindolati dal dramma che la storia dispensa a grosse linee: suore cattive sottraggono bimbo piccolo a mamma impossibilitata a crescerlo e lo danno in adozione chissà dove. La mamma dopo cinquant'anni (perché dopo cinquantanni?) decide di cercarlo sul serio. 
Lacrime a gogò.
Ci sono tutti gli elementi per farne un melodramma in piena regola. Oddio.. in piena regola.. diciamo per farne un melodramma.
La scena con la mamma dietro al cancello che vede il bimbo allontanarsi nella macchina dei nuovi genitori 


è fatta apposta per macinare indignazione e commozione a livelli da discount industriale..
E intanto c'è un altro film in contemporanea, American Hustle, il cui sottotitolo (l'apparenza inganna), sarebbe stato molto più adatto a questo Philomena.
Che sfoggia in allegato una sbandieratissima propaganda di “storia vera” ed invece propina un sacco di balle posticce a scopo lacrimevole, tipo Philomena che perdona la suora cattivissima nell'epico incontro finale.
Nel libro di origine la suora muore prima di poter, eventualmente, incontrare sia il giornalista che Philomena.
Restano questi dubbiosi dubbi di una madre che per cinquant’anni si “vergogna” di recuperare il figlio (e che te sei pianta dietro quel cancello?...)
Poi tutta una serie di stranezze che neanche ci va di stare ad esaminare (ma lo faremo lo stesso); purtroppo la gente comune ha bisogno dell'emozione stantuffata ad aria compressa, di sentirsi coinvolta in storie di vita gnegnosa... se uscisse oggi Via col vento, farebbe comunque i miliardi sospingendo la Kleenex ad inauditi record di Borsa...
La nostra Philomena tenta l'approccio
semiserio ma sbraga subito, una Judy Dench (qualcuno l'aveva addirittura messa in competizione per i Golden Globe con la fantascientifica Cate Blanchett – orrore!-), fiacchina e monolitica sia nella sua fede automatica che nella sua recitazione (automatica pure questa); il giornalista che l'accompagna, da copione, è la sua presunta antitesi, ed alcuni battibecchi tra i due, in semi surplace filosofica, fanno aggrottare ciglia e sopracciglia (“non trattare male gli altri, un giorno potresti essere tu al loro posto”), la ricerca del ragazzo adottato è ancor più strana e facilona, specie quando si viene a sapere che 'sto benedetto figlio sapeva della sua provenienza, ma pure lui fa le ricerche della madre come quando noi apriamo un armadio cercando un maglione e, dopo un rapidissimo sguardo indagatore, urliamo all'amorevole consorte: “non c'è!”, lei accorre ed in tre-secondi-tre trova l'introvabile.. e cosi, sulla scorta di Un c'è posta per te dei poveri, arriviamo alla fine scoprendo tutte le carte e cartuccelle che mi guarderò bene dal rivelarvi.
Sempre che non troviate nulla di meglio di questa Philomena Marthurano denoantri, coi figli da (far) scoprire o' bello de' 'figlie l'avimmo perduto...” .
E stavolta abbiamo perduto anche il bello di un cinema che non debba per forza accalappiarci emotivamente...

Ammazza come v'ho fregato!!.. ;)





lunedì 13 gennaio 2014

Il Folletto del Sonno Altrui

C'era una volta il Folletto del Sonno Altrui. 


Gustava sapientemente l'alba salutando una notte sfilacciata che a malapena ricambiava, stanca e ritrosa, mentre se ne tornava esausta a casa. 

Lui avrebbe voluto giocare anche con lei, narrarle di sogni e strani destini, ma l'ora era impervia anche per il più tenace nottambulare. 

Tanto fece quindi, che ottenne di poter scambiare 
almeno una volta 
il giorno con la notte. 

E quel dì, all'alba, rimase notte. 

Il folletto sperava cosi di poter conversare con la notte, magari davanti ad un cappuccino bollente, raccontandole di tutte le sue fantasie. 

Ma si innervosirono tutti. 
La notte era comunque stanca morta, stravolta dopo ore di baldoria, ed anche l'alba, che dovette tornare indietro, si offese perché quel giorno lo avrebbe dovuto attendere il doppio.

Il folletto rimase deluso, non richiese più strane deroghe e continuò a catalogare il Sonno Altrui.

Disturbandolo  giusto di qualche feroce incubo di tanto in tanto. 

Uno dei suoi preferiti era Allegri al Milan tutta la vita. 

  

sabato 11 gennaio 2014

AMERICAN HUSTLE - IL RIPORTO.. OPS! L'APPARENZA INGANNA (2013)





Per essere lungo è lungo, dai. Venti minuti di voice over in meno e servivamo un semiottimo film.
Un Happy days dai toni polizieschi cogli straordinari al trucco e parrucco
Pettinature stravaganti, scollature maschio/femmina a rotta di collo, anni ‘70 serviti e riveriti sotto forma di grandi addobbi e cotillons, ultrarecitazione supportata da almeno quattro fenomeni in stato di grazia; Bradley Cooper su tutti, un uomo che può recitare, e credibilmente, di tutto basta osservarlo come come imbecca serio la mamma coi bigodini in testa 


o come scimmiotta il suo capo incupito sul divano a fine pellicola, una fucina inesauribile di espressività, altro che certi monoliti tanto celebrati..., 

Christian Bale - che io solitamente adoro - ma che ho battezzato eccessivamente recluso nei suoi quindici chili di panza da ostentare, nel riporto da addomesticare e negli occhiali da sistemare sul naso in continuazione...),
ci si sovraccarica di chiacchiera ed ultrachiacchiera, come se l'intreccio thriller già di per se di buona fattura, non bastasse a se stesso, come se l'intreccio di sentimenti ed aspirazioni non fosse sufficiente ad avviluppare la storia in una spirale dal fascino perverso, come se questi ragazzetti non stessero già dando il meglio di loro, incrociando facce e voltafacce, sentimenti e tradimenti, istericismi e voglia di emergere dalle loro vite inadeguate.


Jennifer Lawrence poteva anche incarnarla quell'apparenza ingannevole, ed invece rimane vittima della sua evanescenza senza abbindolare nessuno, nascondendo quasi tutti i “lati positivi” che l'avevano proiettata nel firmamento dei fenomeni, Amy Adams se la diverte con le sue scollature vertiginose, invece



ma l'aiutano parecchio quelle due tette a clementina che si ritrova, perlomeno cambia pettinatura, lei, potendo sfoggiare poco altro.

Illuminante De Niro invece, con un cameo da sballo a personalizzare da solo tutta una scena.

Insomma, venti minutini di sforbiciata alla pellicola, visto che le parrucche erano inamovibili, non ci stavano niente male. 
Tra dieci anni ci ricorderemo sempre La stangata, a sproposito accostata più volte, e assolutamente per nulla di questo American Hustle. Il riporto inganna.

lunedì 6 gennaio 2014

"LA FIDANZATA DELLA MIA MAMMA NON MI VUOLE BENE"





Siamo sempre dalle parti di quelli ai quali viene indicata la luna e, immancabilmente,
si fermano a rimirare il dito.

Secondo voi il problema della bambina è che la mamma abbia la "fidanzata"?

Oppure che questa fidanzata non le voglia bene?

Il problema della bimba è ovviamente il secondo.

Ma quasi tutto il resto del mondo si ferma al primo quesito.

Scavalleremo mai dalle nostre deviate complicanze per giungere ad una visione saggia?