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You don't know me - serie Netflix |
A noi piacciono le serie legal drama. I
thriller d’aula di tribunale, dove una sana requisitoria può far cambiare idea
ad un’intera giuria oltre a te, sbragato sul divano.
Non ci piacciono però quelle serie tipo dieci
puntate dove ti affliggono all’infinito e arrivi alla fine che quasi quasi vuoi andarci tu, nel braccio della morte.
Il paradosso di questo You don’t know me, è che lo abbiamo
scelto anche per le “sole” quattro puntate previste.
Una cinquantina di minuti
l’una, con trailer che prometteva scintille e cotillons, storia accattivante:
un giovane nero
imputato di omicidio, con una caterva di prove schiaccianti contro, e lui che licenzia l’avvocato e decide di autodifendersi
dichiarandosi innocente.
Ci solleticava un bel po’ ma..
Primo errore. Il thriller ci sarebbe pure, i
colpi di scena anche (e fin troppi), ma la struttura è ingannevole, il finale
non risolutorio, si rimane con il più classico dei “ma che davero?!”
Secondo errore: la lentezza pazzesca della narrazione riduce di brutto
tutta la pazienza e l’entusiasmo accumulati nel corso dell’auto requisitoria
che il protagonista/imputato rifila a pubblico e giuria per la praticamente
totalità della serie: quattro puntate che in alcuni momenti pensi si sia
bloccato il modem e vai lì a smuoverlo.
Terzo errore: personaggi ammantati di pressapochismo e palpabile irrealtà:
i buoni troppo buoni, i cattivi quasi cartoni animati, le situazioni tutte al
limite, le soluzioni esagerate, gli escamotages che fanno acqua da tutte le
parti, e il finale “aperto” che non fa solo storcere il naso, ma anche tutto il
resto.