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| David Grossman |
David Grossman ieri su Repubblica
ha illuminato le pagine di semplicità e garbo.
Un elogio della scrittura in
grado di sensibilizzare le pietre. Omaggio delicato a chi vive di parole, e a
chi, più naturalmente, vi si aggrappa - come ad una zattera - nel mare dell’incomprensione e dell’indifferenza.
Scrivere è come respirare, vitale
comunque per chi vuole far fronte alla morte spirituale e all’oblio sensitivo.
Scrivendo “saremo testimoni attivi,
curiosi, acuti” sottolinea Grossman. Sorpresi, aggiungo io, delle nostre
osservazioni e del nostro riuscire a stupirci.
Conclude l’articolo con l’episodio
narrato dal poeta yddish Sutzekever, che trovo al contempo incredibile e
illuminante:
“Mi convinsi del potere racchiuso nella poesia, nel marzo del 1944, quando dovetti attraversare un campo minato. Nessuno sapeva dove fossero le mine. Vidi persone fatte a pezzi. Vidi uno stupido uccello che si era avvicinato troppo. Qualunque direzione prendessi, qualunque passo facessi, avrebbe potuto significare la morte. Ma fra me e me ripetevo una melodia” (e per “melodia” lui intendeva una poesia) “E al ritmo di quella melodia camminai per un chilometro nel campo minato e ne uscii”.
Poi disse la seguente, sorprendente, frase: “Potresti ricordarmi che melodia era? Io non ricordo..”
E io posso immaginarlo, continua Grossman, con un sorrisetto, quasi a dirci che la melodia la si dimentica sempre. Sta noi reinventarla, con parole nostre, per non sentirci impotenti, sconfitti, persino nel mezzo di un campo minato. Per avere ancora speranza.
Ecco perché dico che una volta scritta, la poesia non ci appartiene più, come il respiro vitale, è un lampo nel buio del nostro esistere, ci ricama l’anima e continua per la sua strada, ma ci dilata ogni brutta essenza, ogni cattiva piega, la custodisce anzi, la rende complice, compagna di sorriso.
Queste sono le parole, questa è la scrittura.
Grazie David.









