C'è un cinema che vive di minimo sindacale. E visto che i numeri danno ragione a questa visione approssimativa della settima arte, si insiste su questa strada.. annullando a passi da gigante la distanza che fino a qualche anno fa separava una sana commedia all'italiana, dai famigerati cinepanettoni, cloache massime messe su da gente senza scrupoli...
Attendiamo con terrore l'anno del "contatto".. e la fine di ogni speranza...
Ecco, intanto, due esempi "celebrati" di pochezza truccata da cinema autoriale...
COME
UN GATTO IN TANGENZIALE
Ammettiamolo,
di buono c’è il tormentone del titolo, ed il tentativo stantìo di
affrancare per innovativo un cinema di “contaminazione” che, dopo
Il lupo e l’agnello con Thomas Milian, arriverà sempre,
irrimediabilmente, dopo.
Di
ricchi e poveri che incrociano le loro strade è ormai pieno il
mondo, figuratevi quello cinematografico.
Albanese
e la Cortellesi, indiscussi protagonisti, la svangano con mestiere,
più lei che lui a dir la verità, ché Albanese ormai non schioda da
un suo cliché di omino integerrimo, tirato sempre per i capelli (ad
averceli) in situazioni limite.
In
questo film fa il filogovernativo che dovrebbe/vorrebbe occuparsi, in
sede europea, del coinvolgimento sociale di periferie e aree
degradate, ma poi non sa neanche (da romano residente) cosa è
Bastogi: una delle peggiori realtà periferiche capitoline.
Va
in giro coi suoi colleghini, tutti con lo zainetto stile
cinquestelle, a blaterare teorie sul coinvolgimento delle zone
disagiate nel tessuto metropolitano, cercando di spillare soldi per
ulteriori “think tank” (bidoni della ponderatezza)
Lei
è la tipica coatta suburbica, ma dal cuore onesto.
Infatti
l’esordio con la mazza da baseball sarà l’unica nota stonata, ma
serviva cinematograficamente a sottolineare le differenze.. (ci
prendono sempre per amebe ‘sti sceneggiatori).
L'infatuazione
dei rispettivi figli, banali quanto innocui, incrocerà le loro
strade (e pure i quartieri).
Un
film che si esalta sugli eccessi del resto: le sorelline che rubano
compulsivamente de tutto, l’ex moglie francesizzata che coltiva
lavanda, due chilometri e mezzo a piedi per arrivare alla spiaggia
libera di Capalbio, le sparolacciate superflue al pranzo di
“famiglia” con Amendola che thomasmilianeggia invano,
l’intellighenzia stile La grande bellezza… tutta roba che
occhieggia e orecchieggia un inevitabile dejà vu virando
sull’altrettanto inevitabile piega mielosa, che vedrà coinvolti i
due strambi protagonisti.
Un
film compatibilissimo con le tempistiche metaforeggiate dal titolo.
IO
SONO TEMPESTA
Soffietto
d'aria, refolo al massimo.
Giallini
e Germano inseriti a forza in un meccanismo macchiettistico che
infila tanta carne al fuoco. E la lascia bruciare.
Si
salva il ragazzino espressivo quanto diligente, figlio di un Germano
divenuto povero per troppi debiti, e di certo infilato anche lui in
scene che lasciano quanto meno perplessi, come il suo allegro
girovagare in macchinina elettrica per i corridoi dell'hotel
“residenza” del nostro Numa Tempesta, fino a giungere in un
corridoio buio e senza uscita - reminescenze shininghiane.. - a detta
di molti..(!?!?).
Oppure
scene da un Lucchetti che non vuol farsi fagocitare dal cinema facile
e tenta la chiave di richiami classici e nobili? Lasci a Spielberg
ed al mirabolante Ready Player One queste operazioni
citazionistiche/nostalgiche ...che è decisamente meglio.
E
poi questo Giallini borioso e tracotante, nella veste
dell'imprenditore (s)pregiudicato, che vorrebbe ricordare risapute
storie nostrane, tra servizi sociali e ragazze da dopocena...
per
non parlar troppo di Germano, che smessi gli abiti (strettini) di
Leopardi, rispolvera tutto il campionario di mossette e
ammiccamenti..
Alcuni
personaggi, infine, infastidiscono davvero per la sciattezza,
l'inconsistenza, l'impalpabilità e l'imperizia recitativa.
Su
tutti la Danco che gestisce l'ostello come un'integralista vittima di
una qualche setta pseudoreligiosa, salvo poi lasciarsi istericamente
andare alla zitellaggine che la pervade.
Le
tre zoccole laureande psicologhe, indecenti per forma, sostanza e
approssimatezza; e i poveri, infine. Pronti comunque a vendersi,
sospinti a scimmiottare improbabili truffe e stangate, e a godere di
effimere parentesi di bengodi.
C’è
anche la parentesi psicanalitica, con l’analisi del
passato di Giallini,
tutto
sommato costretto a sacrificare la via della rettitudine a
causa dell’educazione bastarda e integralista di un padre
poveraccio.
Chissà
a Lucchetti chi lo trattava male da bambino?!...