Le tanto vituperate due ruote, almeno a Roma, permettono che il reticolato urbano, fitto di automobili impilate in pachidermica andatura, non si paralizzi del tutto.
Gli scooteristi sono quelli che si congelano nonostante le imbacuccature più improbabili, o si beccano tsunami di pioggia anche se inguainati come guru del diving estremo.
Sono anche quelli che vi fanno rodere il chiccherone quando li beccate contromano a fil di mezzeria che sorpassano centocinquantamila auto incastrate in fila indiana.
E sono sempre gli stessi che slalomeggiano sfiorandovi lo specchietto retrovisore, e che parcheggiano su ogni marciapiede, sulle strisce pedonali, sotto il semaforo, davanti ai portoni.
Quegli scooteristi che la corsia d'emergenza l'hanno inventata per loro e che i "varchi attivi a traffico limitato" li vanno cercando appositamente, che all'incrocio scattano un attimo prima del verde, che tagliano la strada, che i pedoni li investirebbero tutti, che portano vago rispetto giusto alle bici alle quali tributano l'innegabile discendenza.
Gentaglia insomma, alla quale sono fiero di appartenere.
Ma che dovreste ringraziare, se invece che tre ore - con le vostre (in)utilitarie - per tornate a casa ne impiegate appena due.
Personcine rognose ma anche serenamente malinconiche, coi loro pensieri arruffati di controvento e i colpi di sonno sui rettilinei, e gli olimpici tempi da cronometrare tra un semaforo e l'altro, tra un quartiere e l'altro, tra una folata irrequieta e una buca a scardinarti piano le vertebre.
"Tento di arrivare con lo scooter al semaforo lentamente, cosi scatta il verde ed io non devo fermarmi ma soprattutto non devo mettere il piede a terra.
Rallento, rallento, arrivo davanti a tutti, sono quasi fermo, cerco di mantenere ancora un po' l'equilibrio.
Sono fermo. Non ce l'ho fatta. Metto il piede a terra.
E, appena metto il piede a terra, scatta il verde."
(Momenti di trascurabile infelicità Francesco Piccolo Einaudi 2015)