venerdì 15 novembre 2013

PARADOSSO MATEMATICO



Tre amici vanno in pizzeria, a fine serata il cameriere comunica un conto di 30 euro, prende i soldi e li porta al proprietario che decide di far loro uno sconto di 5 euro, li restituisce al cameriere che strada facendo se ne mette 2 in tasca riconsegnandone solo 3 ai clienti. 

3 per 9 euro 27 più i 2 euro del cameriere 29 euro, ne mancherebbe 1, di euro, per arrivare ai 30 euro iniziali.
Dov’è sparito? ...ma non è la sola incognita.

A quel punto uno dei tre dice che, almeno lui, avrebbe bisogno della ricevuta, potendola scaricare.
Il cameriere allora torna dal proprietario che, scocciato, fa una ricevuta da 25 euro, il cameriere la porta al tavolo dicendo che in cassa hanno fatto confusione (per giustificare i 2 euro in meno) ed invece di una ricevuta da 27 euro ne hanno fatta una da 25 scontando ulteriori 2 euro (che deve, per forza di cose, tirare fuori lui).

Uno degli ospiti dice allora che, grazie, ma lui può scaricare, per pranzi di lavoro, massimo 20 euro, per cui prega il cameriere di riformulare la ricevuta a 20 euro ridandogli i 2 euro ricevuti, come mancia.

Fino a quel punto i clienti avrebbero pagato 9 euro a testa, il cameriere ha 2 euro di “automancia”, il proprietario ha incassato 25 euro mentre 3 euro se li sono ripresi al tavolo con lo sconto iniziale, ma solo uno dei tre commensali guadagnerà, a fronte di una spesa effettiva di 9 euro, 


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altri 11 euro fraudolentemente estorti alla sua azienda come rimborso e, dividendolo comunque per tre, ne farà beneficiare per due terzi anche i suoi compagni di tavola: 3,66 a testa; di conseguenza il prezzo finale della pizza cadauno sarà quindi 9 – 3,66 = 5,34 euro. Che moltiplicati per 3 fanno euro 16 che sommati agli 11 fanno tornare tutto a 27 euro.

Il cameriere ne ha 2, anche in questo caso ne manca sempre 1 per arrivare ai famosi 30.
In quanto i 27 meno i 25 rimasti in cassa non reggono il calcolo perché in cassa, contro una ricevuta da 20 euro, il proprietario ha fatto sparire ulteriori 5 euro. Il vero, unico ed autentico ricavo del tavolo.
O almeno teorico, perché ancora non finisce qua.


Il proprietario, sollecitato a nuova ricevuta, si storce alquanto e decide di far pagare prezzo pieno: gli appunto 30 euro iniziali.
Va lui stesso al tavolo ed alle proteste sui presunti soli 3 euro rimborsati inizialmente dal cameriere, scatta la rissa, arriva la polizia, che sequestra la prima ricevuta di 25 euro e la seconda di 20, la terza da 30, i 2 euro presi dal cameriere, i 3 trattenuti dai clienti ed i 25 euro in contanti in cassa al ristorante. 



Le tre fatture assommano a 75 euro che diviso i tre clienti fanno esattamente 25 euro; con due delle quali abbiamo un’evasione fiscale accertata rispettivamente di 5 euro e 10 euro, per un totale di 15 euro a carico proprietario locale, più ulteriori 10 euro
 di multa da pagare da parte dei tre clienti, più 20 euro di multa per il cameriere colluso, oltre a 45 euro di multa per il proprietario evasore. Il totale è un esborso di 110 euro per una pizza che regolarmente pagata, non avrebbe superato gli iniziali 30 euro, superiore quindi di 80 euro al costo originario di 16 euro (volendo coinvolgere tutti gli attori) 


per ciascuno dei nostri protagonisti, con un surplus di 6 euro cadauno, rispetto alla spesa iniziale, che moltiplicati per 5 fa ritornare il totale di 30 euro in capo ai clienti. 

Considerando, invece, equamente restituiti i 5 euro di sconto, i tre commensali avrebbero pagato 8,33 euro cadauno, per il totale dei 25 a mano proprietario, che sommati agli 0,66 euro in teoria ulteriormente spettanti ai tre,


 e risultanti dai 2 euro a mano cameriere diviso i 3 ospiti, riconducono al totale degli originali 27 euro, dai quali dedurre i 2 incamerati dal cameriere per cosi tornare ai 25 euro prezzo netto da sommare definitivamente ai 5 euro di sconto per poter riformulare i fatidici 30 euro di partenza. 

(ma che dopo la restituzione dei 3 euro da parte del cameriere, uno dei tre commensali, li abbia trattenuti tutti e 3 per lui, è un’altra storia, e non ve la racconteremo ora...)


PREGHIERA (DI UN ATEO) A DIO


     "Non più dunque agli uomini mi rivolgo; ma a te, Dio di tutti gli esseri, di tutti i mondi e di tutti i tempi. Se è permesso a deboli creature, perdute nell’immensità ed impercettibili al resto dell’universo, osar domandare qualcosa a te, a te che hai dato tutto, a te i cui decreti sono immutabili quanto eterni, degnati di guardar con misericordia gli errori legati alla nostra natura. Che questi errori non generino le nostre sventure. Tu non ci hai dato un cuore perché noi ci odiassimo, né delle mani per sgozzarci a vicenda. Fa' che ci aiutiamo l’un l’altro a sopportare il fardello d’una esistenza penosa e passeggera; che le piccole diversità tra i vestiti che coprono i nostri deboli corpi, tra tutte le nostre lingue insufficienti, tra tutti i nostri usi ridicoli, tra tutte le nostre leggi imperfette, tra tutte le nostre opinioni insensate, tra tutte le nostre condizioni ai nostri occhi cosi diverse l’una dall'altra, e così eguali davanti a te; che tutte le piccole sfumature che distinguono questi atomi chiamati uomini, non siano segnale di odio e di persecuzione; che coloro i quali accendono ceri in pieno mezzogiorno per celebrarti sopportino coloro che si accontentano della luce del tuo sole; che coloro i quali coprono la veste loro d’una tela bianca per dire che bisogna amarti, non detestino coloro che dicono la stessa cosa portando un mantello di lana nera; che sia eguale adorarti in un gergo proveniente da una lingua morta, o in un gergo più nuovo; che coloro il cui abito è tinto di rosso o di violetto, che dominano su una piccola parte d’un piccolo mucchio del fango di questo mondo e che posseggono alcuni frammenti arrotondati di un certo metallo, godano senza orgoglio di ciò che essi chiamano grandezza e ricchezza, e che gli altri guardino a costoro senza invidia; perché tu sai che nulla vi è in queste cose vane, né che sia da invidiare né che possa inorgoglire.   Possano tutti gli uomini ricordarsi che sono fratelli! Ch’essi abbiano in orrore la tirannide esercitata sugli animi, così come esecrano il brigantaggio che strappa con la forza il frutto del lavoro e dell’industria pacifica! Se i flagelli della guerra sono inevitabili, non odiamoci però, non laceriamoci a vicenda quando regna la pace, e impieghiamo l’istante della nostra esistenza per benedire egualmente, in mille lingue diverse, dal Siam alla California, la tua bontà che questo istante ci ha dato".


(Voltaire    da "Trattato sulla tolleranza"  - 1763 -)



Se questo è un ateo, io sono Jennifer Lopez.

giovedì 14 novembre 2013

FRANCESCO PICCOLO A VIA DELLO STATUTO


Mentre leggevo il Suo racconto
su Via dello Statuto, a Roma, (tratto dal godibilissimo Momenti di trascurabile felicità) ho prima sperato, e poi temuto, di far parte di quelle singolari storie, delle folcloristiche e bizzarre ricorrenze sbirciate dalla finestra.

Perché anch’io mi ritengo uno di quei “movimenti”.
Tutti i sabato mattina transito a Via dello Statuto, parcheggio lo scooter appena dopo MAS, coacervo di varia umanità, e faccio un giro di (r)esistenza lineare e convenzionale per quel magazzino dove la mia dolce consorte non entrerebbe neanche a pagamento.

MAS (Magazzini Allo Statuto) quindi,  come linea di confine, come terra dei nessuno, come limite invalicabile dell'umano errarsi/vendersi/corrompersi, dove le commesse del libro si confondono agli avventori.


E proprio io, ora, leggo che qualcuno, sempre in quella via

- dove io libero le ansie allineandole ai bordi della mia vita, dove tento di riconciliare le brutture settimanali ed i nodi esistenziali con una full immersion di mercatino ai margini -

è padrone delle consuetudini, le enumera, le spia, se ne appropria dall'alto, le sviscera e le fantastica, le disegna di nuovo, ne sbozza i contorni masticandone l'essenza, e sempre io, che in quella via brucio, come carta al fuoco, questi miei momenti di fragile felicità
adornati di velata trascurabilità;  mi avverto, in tangibile tempo reale - leggendo il Suo libro - spiato, osservato, spulciato, denudato, defraudato del mio minimo alone di mistero, 
e se anche Lei non abitasse più in quella corta e pulsante via, non ne ricordasse rumori, polveri di aromi orientali e cotone grezzo, caffè fragranti e ciambelle zuccherose, elettronica low cost e borse clonate;  io, comunque, ogni sabato, ora, mi eleggo a Suo movimento, a mossa ripetuta, a consuetudine origliata.


Alzo il naso in su, cerco d'individuarla una finestra traslucida, un fiato curioso, uno sguardo che studia e cataloga e riscrive una storia, di ogni storia in transito, che architetta un'altra esistenza su esistenze in affanno, che (de)scrive, di nuovo,  speranze, agghinda le fughe, celebra un movimento - o più che siano - quantunque timidamente defilato.

E m'illudo, allora, sereno e disarmato nel Suo pensiero, in una Via dello Statuto sconfinata, algoritmo del mondo che sforna sequenze apparentemente disordinate, 
ma in realtà (croce)Via docilmente addestrata da un Suo sguardo a tenere assieme storie mischiate, epiloghi di esistenze confusionarie che vanno a separarsi proprio lì, o proprio da lì tentano, ancora, di riordinare il proprio disagio, depistando l’inadeguatezza.



E non credo importi granché se Lei ci sia ancora, affacciato.

Ha creato, o meglio individuato, un universo di emozioni parallele.

E questo le è magicamente sopravvissuto.

Un universo dove ognuno sa bene cosa c’è in quella borsa che attira la curiosità,  ma gioca a non saperlo, ed allora le spio anch'io le borse delle commesse,
il contegno dei senegalesi, i cinesi con la sigaretta sul ciglio del negozio, pronti a fumarsi il resto della città, 
le spio dall'alto pur calpestando sanpietrini corrosi.

Grazie per quel Suo “desiderio”, 
per quel punto di vista,
e grazie ancora per le emozioni 
(trascurabili neanche un pò...).

p.s. a proposito, a Natale MAS chiude. Davvero. 
Chissà dove parcheggerò i sogni...


martedì 12 novembre 2013

QUESTIONE DI TEMPO (2013)




Tenerello e parecchio fragile questo About Time. 
Un’ode all’amore molto british ed eccessivamente politically correct.
L’esatto contrario di un Déjà vu, ad esempio, dove anche solo a scalfirlo, lo spazio tempo, si creavano caos a palate e cinema adrenalinico.

Questione di Tempo è la storia di Tim, ventunenne sfigatello come tanti, almeno fino al cruciale momento in cui il padre gli rivela come tutti i maschi di famiglia abbiano il potere di muoversi nel tempo, anche se soltanto a ritroso, per poter riaffrontare parentesi già vissute, ma che riguardino esclusivamente la propria esistenza (quindi impossibile far fuori, ad esempio,  gli Hitler o salvare i Kennedy...).


Basta infilarsi in un luogo buio - meglio se un armadio -, stringere i pugni e pensare ad un momento del personale passato dove, d'incanto, 



trovarsi di nuovo per variare qualcosa a proprio favore, ovvio che (anche se magari non per qualcuno) il nostro Tim sfrutterà la ghiotta occasione per risolvere i suoi sogni d’amore.

Gli sviluppi passano, però, dal potenziale sconvolgimento 

dell’esistenza - attraverso svariate, ed anche parzialmente drammatiche, vicissitudini, che vedranno coinvolti la serie di simpatici comprimari nei panni della curiosa famiglia di Tim (vera nota positiva della pellicola) -,


 fino all'epilogo che inneggia fin troppo alla semplicità ed al buon senso, e che si adagia a misura, ma come un pallone sgonfio, su uno stucchevole finale dalla morale bacioperugggina:


Tutti, in fondo, viaggiamo nel tempo”. In tempo reale. In questo particolare caso, spesso anche a ralenty.

La nostra vita è un continuo defluire di tempo su tempo, e dovremmo godercelo, assaporarlo attimo dopo attimo, con altri occhi ed altro spirito, rilassarci a ritmo di clessidra, dedicarci al tempo che passa, anziché strizzarlo e stressarci.


Ecco il messaggio di Richard Curtis, già regista di Quattro matrimoni ed un funerale oltre che di Notting Hill.

Certo una bella filosofia, applicabile con esatta serenità quando, proprio a sigillo di pellicola, Tim, esaltando la bellezza del giusto scorrere delle lancette d'orologio, annuncia con nonchalanche che non ha più bisogno del suo 
“potere rettificante”, 


 mettendosi in bella mostra,  sorridente, coi suoi tre figli bellissimi, un lavoro d'avvocato tutto soddisfazioni ed una mogliettina gnocca da paura (sposata, comunque, sfrucugliando i superpoteri....)



E grazie al ciufolo!! direbbe più di qualcuno (a cominciare da me...).


Vediamo se alla prima stortura che la vita ti riserva, con in mano il potere di raddrizzare tutto, sei ancora disposto a pensarla cosi... ma il film non fa, o non vuole, fare in tempo, stavolta.
Non si prende affatto la briga di poter/voler tramare contro quest’oasi di felicità... e termina così, nello zuccheroso più melenso, tutto rose e fiori, sole e sorrisi, smancerie e cuori palpitanti...



ed è proprio questo che non posso perdonargli...

del resto lo stesso regista in un’intervista a Primissima, dichiara: “E' un film contro i viaggi nel tempo e su come si può essere felici nel nostro presente”,
che non è poi 'sta grande impresa 
se ti gira tutto per il verso giusto!!...

comunque, a parte il mio personale desiderio, 

a fine pellicola, 


di chiudermi nello sgabuzzino 
delle scope del cinema 


stringendo i pugni e cercando almeno di recuperare giusto un rewindino d'un paio d'ore per potermi vedere un altro film al posto di questo viaggio-nel-tempo-slow-motion, 
il suggerimento resta valido per il nostro diligente regista Curtis:


prova ad entrare nell’armadio più buio di casa, Richard, strizza gli occhietti e stringi forte i pugni, ritrovandoti magari bello vispo a due/tre anni fa, con in mente una bellissima , grandiosa idea su un film sui viaggi nel tempo... ed ecco, proprio in quel momento, prova a pensare intensamente
“Viaggi nel tempo?!? Ma chi me lo fa fare!!.. invece mo’ giro un bel western cogli indiani, i cowboys, i cavalli e tutto il resto... “


e vedrai che il tempo si ri-sroloterà sereno e pacioso, con incredibili effetti benefici per gli ignari spettatori del futuro...  


lunedì 11 novembre 2013

UN APPUNTAMENTO



Un appuntamento con PRESENTE,
verosimilmente,
lo puoi ottenere ad ogni istante,
ma l'istante dopo è già futuro,

dunque è lui, 
PRESENTE,
l'irrequieto, l'impreciso, l'incostante;
mi cerca e si sfoga di continuo.


Bracca FUTURO
e la caccia prosegue da secoli infruttuosa.
La convinzione che non riuscirà mai
stà prendendo lucido sopravvento.
Condanna bizzarra la sua,
resa ancor più crudele
dall'obbligo di ottemperare
un'ulteriore clausola.


Seminare PASSATO,
costantemente in agguato
alle sue calcagna.

Oggi blocco PRESENTE
in mezzo alla folla dei grandi magazzini,
stò per esporgli il mio disagio
quando PASSATO mi assale alle spalle
accoltellandomi furioso.

Ora, solo ora,


FUTURO è svanito,
sciolto come una lacrima di strazio
sul viso presente d'un passato attonito.

Ho dovuto uccidere tutto il tempo
per vederlo finalmente
immobile e rilassato.


Posso morire.

Ma questa storia verrà riscritta mille volte
e si inseguirà sulla carta
fino a che tutti gli avvenimenti
di tutto il tempo
diverranno, divengono, o sono già divenuti,

uno soltanto...


sabato 9 novembre 2013

SOLE A CATINELLE (2013)



E Checco azzecca il film. Il suo film, ovviamente. Leggo in giro disquisizioni semifilosofiche su l'opportunità di certe pellicole, ma in realtà, personalmente, ho trovato quello che cercavo: una storia che filasse senza farci storcere troppo il naso 
(in questo senso, ad esempio, l'aggancio tra un mondo di poveracci e quello del jet set risulta creativo ed efficace - una chicca l'incontro col bambino affetto da mutismo selettivo -) 

ed una scorpacciata di battute delle quali almeno una decina da farti ribaltare in poltrona; poi resta lo Zalone conosciuto, dalla canzoncina facile ma simpatica, dalle smorfie magari reiterate, a metà tra Mr. Bean e Jerry Lewis, dall'attacco vellutato alle storiche storture nostrane, ma con il buonismo di fondo incartato di italica carognaggine, come quando in fase di ricco svago su un lussuoso yacht 

si rivolge al figlio indottrinandolo: “Pensi sia questa la felicità? No!! La felicità è quella!!” Indicandogli un panfilo da paura a poca distanza... “Questi so' poveracci.. è là che dobbiamo puntare!!”.
Non è invece accaduto con l'ultimo Albanese che ha toppato tutti i tempi comici diluendo uno sketch da dieci minuti in due ore, senza strapparmi la minima risata.


Checco non ti fa rifiatare invece, punta alla pancia, accosta vizi e pregiudizi e preme l'acceleratore sulla battuta (“Buongiorno siamo di Equitalia” “Mi dispiace, qui siamo tutti cattolici” è veloce, fulminante, ti stende e devi importi di smettere di ridere per non perderti la successiva).

Zalone conosce le tattiche e gli incastri, smuove la pietas ed il paradosso, dove non parla smorfieggia, altrimenti canticchia, sfrutta a dovere tutte le spalle comprimarie (anche se da Paolini mi aspettavo qualcosa di diverso e di più), fa a pezzi miti idealizzati come guru e psicologi con insistite bordate, si muove con naturalezza lungo l'Italia guasta e quella sana salvando istituzioni come la famiglia ma lasciandosi andare a pistolotti imprenditoriali vagamente retrò (anche se spesso tutto è propedeutico alla battuta finale, ai tanti che rimangono perplessi non voglio ricordare Plauto ma certo è che Zalone non inventa nulla, ma adatta e coglie controsensi con indubbia abilità).


Checco adegua in velocità la sua inadeguatezza alle circostanze, ed è questo il paradosso migliore, il contrasto che istilla la risata naturale, la sua risorsa principe.
Ci fa sganasciare tirando in ballo anche un dramma come l'eutanasia dove altri, troppi altri (magari lucrandoci), riescono a leggere solo tragedia.




venerdì 8 novembre 2013

CANI SCIOLTI (2013)



Pur scimmiottando gli Hot Fuzz! i Lock & Stock e gli Smokin’ Aces, e strizzando più d’un occhio a svariate tendenze quentiniane, Cani sciolti 

(un gigione Denzel, idolo della mia consorte, ed il gonfiato Mark, magari più credibile quando fa la carognetta, come in The Departed.. a dirla tutta fuori dai denti, meglio comunque degli scipiti/glorificati Miami Vice di manniana memoria...),

 fila via con disinvolta destrezza, recitato neanche troppo da cani dai due marpioni che sembrano divertirsela tra un lavoro serio e l’altro... me la godo così rilassato in poltrona tra rapine, esplosioni, forward e ralenty, flashbackes e sermoncini strampalati, che non sto neanche a sindacare su come i nostri eroini riescano a salvarsi sempre dalle situazioni più imbarazzanti o come possano tranquillamente entrare, ad esempio, in zona altamente militare senza ferire il minimo (contrac)colpo.
Il tutto appena sfiorando la goliardia samraimiana o l’iper gore tarantinato, e neanche con la classe e la frenesia di Guy Ritchie... 


ma suppliamo alle mancanze col pistolotto moraloide che fa a pezzetti tutti i presunti buoni ed i caricaturali cattivi in una volenterosa e sequenziale altalena di voltafaccia e di capriole di rivelatrice, per quanto raffazzonata, sceneggiatura 

- salvando alla fine nientepopodimeno che: l’amicizia (“non siamo amici, ormai siamo una famiglia...”) -, 
facendosi beffe di tutto il resto e per una volta anche delle nostre seriose aspettative, ma con buona pace visto che stavolta siamo andati al cinema deponendo a priori le armi dello spulciamento ad ogni costo e della ricerca spasmodica del pelino nell’uovo.   
Diciamo pure a sorrisi sciolti.