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martedì 29 luglio 2025

L'AUTORE

 


L’avevo preconizzata l’idea dell’autore non più necessario. https://francobattaglia.blogspot.com/2019/05/finalmente-esce-il-mio-libro.html.
E di conseguenza l’essenza dell’opera che sgorga e prende corpo per delinearsi autonomamente, definendosi per linee proprie.
Se l’opera diviene interpretabile, scavalcando i parametri che prescindono dell’autore, e se ogni lettore la rende fluida, malleabile, sostanzialmente differente, arricchendola di sfumature alternative, non ci troviamo quindi davanti qualcosa di indipendente, svincolato, avulso, dove l’autore è solo scintilla trascurabile, abbrivio incosciente?

A simpatico corredo un raccontino breve di Alessandro Sesti, tratto dalla raccolta Moby Dick e altri racconti brevi (Gorilla Sapiens Edizioni),  dove molto argutamente, Sesti, spilucca e delinea con ben altra sagacia l’argomento (anche se, coerentemente e perfettamente in linea con lo spirito del post, superfluo prendersi la briga di segnalarne il nome..ihih):

 L'AUTORE

“Ieri sera al bar,  fresco di wikipedia parlavo di Tolstoj credendo di fare la mia porca figura, quando la cameriera mi ha informato che nessuno più ritiene che un testo possa avere un autore definibile come individuo. Poi ha aggiunto che l’autore, se proprio se ne vuole parlare ma sarebbe meglio di no, è una sorta di composto magmatico formato dall’insieme delle rappresentazioni che il pubblico ha del narratore; rappresentazioni determinate dal testo stesso, dalla posizione della critica letteraria, dall’interpretazione di ogni lettore, effettivo, potenziale e immaginario, dall’ambiente sociale in cui viene prodotto e letto, dal vissuto infantile dell’impaginatore, dagli archetipi sognati dal correttore di bozze, e da altre cose che, complice un eccessivo consumo di vino della casa, ricordo solo confusamente.
A ogni modo è irritante: gli autori non esistono più e io a parlare di Maupassant, Austin e tutti gli altri come un fesso. Nessuno mi dice niente, sono sempre l’ultimo a sapere.
Protestando comunque che tutto ciò mi era notissimo, ho intanto indagato sulle fonti relative a questa sparizione dell’autore, così cambio bar e mi rifaccio un nome. E lei, la cameriera  menziona un libro di un certo Hix, lo ricordo perché era come il rumore del singhiozzo ma con la ics, e io avevo appunto il singhiozzo per colpa di quel vinaccio. Comunque il libro s’intitola “Morte d’autore, un’autopsia”, o” Autopsia della morte d’autore”, insomma, l’essenziale è che l’autore è morto.
 Ho sorriso come a dire, ah certo, Hix lo conosco bene, ma la cosa non è così semplice, e bevuto l’ultimo me ne sono tornato a casa con  la mia ignoranza.
Oggi quindi sono andato alla biblioteca comunale. Chiedo il libro, e la bibliotecaria a sua volta mi chiede l’autore, con tono assolutamente meccanico e privo di intenzione, come se fosse la domanda più ovvia possibile.
Devono proprio pensare tutti che sono un deficiente.
Ribatto che, come è noto, l’autore non è certo una persona fisica, ma piuttosto, e a essere riduttivi, una descrizione approssimativa delle rappresentazioni mentali della figura narrante da parte dei lettori potenziali del testo. Mi risponde che se non le dico l’autore non può trovare il libro. Da non credersi. L’autorino con nome e cognome che scrive con la penna d’oca.. intendo, siamo tutti adulti, abbiamo fatto le nostre, e non c’è proprio motivo che ci raccontiamo storie. Niente, l’impiegata è inamovibile. E tutti intorno che le danno ragione, come negli incubi.
A questo punto credo mi stiano mettendo alla prova.”

 


venerdì 25 ottobre 2024

VINCENZO

 


Si chiamava Eleonora, sua moglie. Aveva vissuto per lei. E dopo la sua scomparsa era scomparso un po’ anche quel Vincenzo che tutti avevano imparato a conoscere, per far posto a qualcosa di nuovo.  Agli occhi degli altri, almeno.
C’era stato come uno stop, un rivalutare il mondo; mondo che lo aveva sempre affascinato e continuava, nonostante tutto, anche ora, alla soglia degli 85 anni.
Non esisteva più il senso del donare, ma il vivere una sorta di assorbimento totale, saturarsi di quel far fronte, come a riequilibrare l’assenza più importante,
a gremire i colmi della sua solitudine che gli parlavano di storie non più sue,
ma sapeva di non essere solo.

Ed allora ecco i viaggi, le letture, il cibo, i teatri; il circondarsi di bellezza a stemperare supposta malinconia, nuovi ricordi a confondere memorie inamovibili e crearne di nuove, inattese.
La sua casa museo traboccava di emozione, e lui manteneva tenacemente acceso quel tepore domestico, come le boccette di profumo, mai più spostate.
Cenava e amava raccontarsi spesso con pochi, eletti, amici fidati, ormai depositari delle sue confidenze, di intimità e affinità elettiva.

Viaggiare, adesso, era ricostituente e allo stesso tempo calmante per l’anima, una sorta di salvavita, uno smussare turbamenti ma, soprattutto, incentivo ad accumulare, riscoprire, rendere partecipe il se stesso di una volta, riverniciare dove le crepe prendono vigore e dalle quali temeva, un giorno, smettesse di trapelare la luce del ricordo, e il solo dubbio era che l’aria ne ossidasse il sapore, una stasi che non voleva né poteva permettersi.
Alimentava un moto continuo a generare solo in apparenza quel frenetico porsi
al (r)esistere, come con le rose, puntuali  ad ogni compleanno.
In realtà era un ripercorrere il suo: indossava il suo passato e se lo teneva addosso, non aveva problemi di risorse economiche o liquidità: prenotava sempre doppio coperto nelle cene dove cercava intimità, e due posti in aereo: sua moglie occupava idealmente quello vuoto, tenendogli la mano per tutto il volo.

Le visite guidate erano di coppia, ogni nuovo arredo per la casa aveva l’assenso di Eleonora, leggeva a voce alta in salotto con la luce fioca, sceglieva assieme a lei nuove uscite in libreria, e curiosi saggi in biblioteca.
Ad ogni prima teatrale lei gli sistemava la cravatta, quella regalata all’ultimo compleanno, alla fine testimoniavano gioia autentica, ed Eleonora era sempre nell’ultimo eco di applauso.


martedì 15 ottobre 2024

PERCHÉ NON BALLATE?

 


Leggere Carver, e rileggerlo. E ogni volta a scoprire righe non scritte, periodi sottintesi, paragrafi sottaciuti, capitoli accennati, intere storie che fanno appena capolino, protagonisti che neanche si affacciano.
Un minimalismo che ha fatto scuola, che può rendere un racconto breve più intenso di un’intera opera narrativa; perché dobbiamo collaborare, percepire, diventare storia, leggere ad ogni riga le dieci non scritte, ogni allusione e i suoi dieci indizi confusi, ogni dettaglio e la sua narrazione a sostenerne le radici.
Perché non ballate? Indica Carver. Dovete anche leggere però, ad ogni traccia sospesa.
Perché non leggete?

Un racconto di Carver sta a noi, non a lui. 

 

Perché non ballate?

In cucina si riversò da bere e guardò la camera da letto sistemata sul prato davanti a casa. Il materasso era scoperto e le lenzuola a righe bicolore erano piegate sul comò, accanto ai due cuscini.
A parte ciò, aveva lo stesso aspetto di quando stava al chiuso – comodino e lampada da lettura dalla parte di lui, comodino e lampada da lettura dalla parte di lei.
Di lui, di lei.
Ci pensò un po’ su mentre sorseggiava il whiskey. Il comò era a poca distanza dal fondo del letto.
Quella mattina ne aveva svuotato i cassetti e sistemato il contenuto in scatoloni, che adesso erano in soggiorno.
Accanto al comò c’era una stufa portatile. Ai piedi del letto, una poltroncina di vimini con un cuscino.
La cucina di alluminio lucido occupava parte del vialetto d’ingresso.
Una tovaglia di mussola gialla, troppo grande, un regalo, copriva il tavolo e pendeva tutt’intorno.
Sul tavolo c’era un vaso di felci e più in là un cofanetto di argenteria, un altro regalo.
Un grosso televisore a console poggiava su un tavolino basso e, a poca distanza, c’erano un divano, una poltrona e una lampada a piantana.
Aveva tirato una prolunga dalla casa e tutti gli apparecchi erano collegati e funzionanti.
La scrivania era contro la porta del garage. Sul suo piano c’era qualche utensile, un orologio da parete e due stampe incorniciate.
Sempre nel vialetto, c’era uno scatolone pieno di tazze, bicchieri e piatti, ciascuno avvolto in una pagina di giornale.
Quella mattina aveva svuotato gli armadi e ora, a parte i tre scatoloni in soggiorno, ogni cosa era fuori dalla casa. Ogni tanto una macchina di passaggio rallentava e la gente guardava incuriosita.
Ma nessuno si fermava.
Gli venne in mente che non si sarebbe fermato neanche lui.
– Oh Signore, dev’essere una svendita, – disse la ragazza al ragazzo.
I due stavano arredando un piccolo appartamento.
– Vediamo quanto chiedono per il letto, – disse la ragazza.
– Chissà quanto vogliono per quel televisore, – disse il ragazzo.
Entrò nel vialetto e fermò la macchina accanto al tavolo della cucina.
Scesero e cominciarono a esaminare gli oggetti. La ragazza toccò la tovaglia di mussola.
Il ragazzo accese il frullatore e lo regolò su trita.
Lei prese uno scaldavivande. Lui accese il televisore e cominciò a sintonizzarlo con cura.
Sedette sul divano a guardare qualcosa. Si accese una sigaretta, diede un’occhiata in giro e gettò il fiammifero nell’erba. La ragazza si accomodò sul letto. Scalciò via le scarpe e si sdraiò.
Riusciva a vedere la stella della sera.
 – Ehi, Jack, vieni qua. Prova un po’ il letto. Prendi uno di quei cuscini, – disse. – Com’è? – chiese lui. – Provalo, – fece lei. Lui si guardò intorno. La casa era buia. – Mi pare un po’ strano, – disse.
– Meglio vedere se c’è qualcuno in casa. Lei rimbalzò sul letto. – Prima provalo, – disse.
Lui si distese e si mise il cuscino sotto la testa. – Allora, che te ne pare? – chiese la ragazza. – Sembra sodo, – disse lui. Lei si girò su un fianco e gli mise le braccia attorno al collo. – Dammi un bacio, – gli disse. E lui: – Dai, alziamoci– Baciami. Baciami, tesoro, – disse lei.
Chiuse gli occhi. Lo teneva stretto. Lui dovette aprirle a forza le dita.
Disse: – Fammi vedere se c’è qualcuno in casa, – ma si limitò a mettersi a sedere. Il televisore era ancora in funzione. Qualche luce si accese nelle case lungo la strada. Il ragazzo era seduto sul bordo del letto. – Non sarebbe divertente se… – disse la ragazza, e sorrise senza finire la frase.
Lui rise. Accese l’abat-jour. Lei scacciò una zanzara.
Lui si alzò e si sistemò la camicia nei pantaloni.
– Guardo se c’è qualcuno in casa, – disse.
– Secondo me non c’è nessuno, ma se ci sono gli chiedo quanto vengono queste cose. – Qualsiasi cifra ti chiedano, offri dieci dollari di meno, – disse lei.
– Mi sa che sono disperati o giù di lì. Seduta sul letto, si mise a guardare la Tv. – Tanto vale che alzi il volume, – disse, ridacchiando.
– Il televisore non è male, – disse lui. – Chiedigli quanto viene, – disse lei. Max arrivò lungo il marciapiedi con una busta del supermercato.
Aveva panini, birra e whiskey.
Era tutto il pomeriggio che beveva e ormai aveva raggiunto il punto in cui l’alcol che mandava giù sembrava cominciare a schiarirgli le idee.
Ma c’erano anche dei momenti di vuoto.
Si era fermato al bar vicino al supermercato, si era messo ad ascoltare una canzone al jukebox e, non sapeva come, si era fatto buio prima che si ricordasse delle cose fuori sul prato.
Vide la macchina nel viale e la ragazza sul letto. Il televisore era acceso.
Poi vide il ragazzo in veranda.
Cominciò ad attraversare il prato. – Salve, – disse alla ragazza. – Hai trovato il letto.
– Salve, – disse lei. – Lo stavo giusto provando –.
Diede qualche pacca sul materasso. – Non c’è male come letto. – Sì, un letto niente male, – disse Max.
– Cos’altro volevo dire? Sapeva di dover dire altro.
Mise giù la busta e ne tirò fuori la birra e il whiskey.
– Credevamo non ci fosse nessuno, – disse il ragazzo. – Ci interessano il letto e forse il televisore. Magari anche la scrivania.
Quanto vuole per il letto? – Per il letto pensavo cinquanta dollari, – disse Max. – Le vanno bene quaranta? – disse la ragazza. – Quaranta, d’accordo, – disse Max.
Prese un bicchiere dallo scatolone, lo liberò del giornale e aprì la bottiglia di whiskey. – E il televisore? – disse il ragazzo. – Venticinque. – Le vanno bene venti? – disse la ragazza.
– Venti, sì. Mi vanno bene venti, – disse Max. La ragazza lanciò un’occhiata al ragazzo. – Volete bere qualcosa, ragazzi? – chiese Max.
– I bicchieri sono in quella scatola. Io mi siedo un attimo.
Mi siedo qui sul divano.
Si sedette sul divano, si appoggiò allo schienale e li fissava. Il ragazzo tirò fuori due bicchieri e versò il whiskey. – Quanto ne vuoi? – chiese alla ragazza. Avevano solo vent’anni, il ragazzo e la ragazza, tra loro c’erano un mese o due di differenza. – Basta così, – disse la ragazza. – Mi sa che nel mio ci voglio un po’ d’acqua. Tirò fuori una sedia e si sedette al tavolo della cucina. – L’acqua è in quel rubinetto lì, – disse Max. – Apri quel rubinetto. Il ragazzo allungò il whiskey, suo e della ragazza, con dell’acqua.
Prima di sedersi anche lui al tavolo della cucina si schiarì la gola. Poi sorrise.
Sopra di loro gli uccelli sfrecciavano a caccia d’insetti.
Max fissava lo schermo del televisore. Si scolò il bicchiere.
Allungò una mano per accendere la lampada a piantana e la cicca gli cadde tra i cuscini del divano.
 La ragazza si alzò per aiutarlo a trovarla. – Vuoi qualche altra cosa, tesoro? – disse il ragazzo.
Tirò fuori il libretto degli assegni. Versò altro whiskey per se stesso e per la ragazza. – Oh, voglio la scrivania, – disse la ragazza. – Quanto costa la scrivania?
Max agitò la mano per scacciare quella domanda ridicola. – Di’ una cifra, – disse.
Li guardò lì seduti attorno al tavolo.
Alla luce della lampada c’era qualcosa di speciale nell’espressione dei loro volti. Un’aria di cospirazione, per un attimo, che poi però si trasformò in un’espressione tenera – non la si poteva definire altrimenti.
Il ragazzo le sfiorò una mano.
– Adesso spengo il televisore e metto su un disco, – annunciò Max.
– Anche il giradischi è in vendita. A poco. Dite una cifra.
Si versò altro whiskey e aprì una birra.
– Tutto in vendita.
La ragazza gli porse il bicchiere e Max le versò altro whiskey. – Grazie, – disse lei. – Dà subito alla testa, – disse il ragazzo.
– Già comincia a girarmi. Finì di bere, fece una pausa e poi se ne versò un altro. Stava scrivendo l’assegno quando Max trovò i dischi.
– Scegli qualcosa che ti piace, – disse Max alla ragazza, porgendole i dischi.
Il ragazzo continuava a scrivere. – Ecco, – disse la ragazza, indicando un disco.
Non conosceva i nomi sulle copertine, ma non importava.
Era un’avventura.
Si alzò dal tavolo, però poi si rimise a sedere. Non voleva starsene seduta lì ferma. – Lo faccio al portatore, – disse il ragazzo, che continuava a scrivere. – Benissimo, – disse Max. Si scolò il whiskey e subito dopo un po’ di birra.
Si riaccomodò sul divano e accavallò una gamba sull’altra. Bevvero. Ascoltarono il disco fino alla fine.
Poi Max ne mise su un altro.
– Perché voi ragazzi non ballate? – disse Max.
– È una buona idea, no? Perché non ballate?
– No. Non mi pare il caso, – disse il ragazzo. – A te va di ballare, Carla? – Coraggio, – disse Max. – Il vialetto è mio. Ci potete ballare.
Abbracciati, i corpi stretti l’un l’altro, il ragazzo e la ragazza si spostarono su e giù per il vialetto. Ballavano.
Appena finì il disco, la ragazza invitò Max a ballare. Era ancora senza scarpe.
– Sono brillo, – disse lui. – Ma no che non sei brillo, – disse la ragazza. – Be’, io lo sono, – disse il ragazzo.
Max cambiò lato al disco e la ragazza gli si avvicinò.

Cominciarono a ballare. La ragazza lanciò un’occhiata alla gente che si era affacciata al bovindo della casa di fronte. – Quelli là. Ci stanno guardando, – disse. – Va bene? – Va bene, – rispose Max. – Il vialetto è mio. Possiamo ballare.
Credevano di averne viste di tutti i colori quaggiù, ma questa non l’avevano ancora vista, – disse.
Dopo un po’ sentì l’alito caldo di lei sul collo e disse: – Spero che ti piacerà il tuo letto. – Senz’altro, – disse la ragazza. – Spero che piacerà a tutti e due, – disse Max. – Jack! – disse la ragazza.
– Svegliati! Jack si reggeva il mento e li guardava assonnato.
– Jack, – ripeté la ragazza. Aprì e chiuse gli occhi.
Affondò il viso nella spalla di Max.
Si strinse di più a lui. – Jack, – mormorò.
Guardò il letto e non riuscì a capacitarsi di cosa ci facesse in mezzo al prato. Alzò gli occhi al cielo sopra la spalla di Max.
Gli si aggrappò. Si sentiva piena di un’insopportabile felicità.

In seguito la ragazza disse: – Il tizio era di mezz’età. Tutti i suoi averi erano sparsi lì sul prato. Non scherzo mica. Ci siamo ubriacati e abbiamo cominciato a ballare. In mezzo al vialetto. Oh Signore! Non ridete. Ha messo su dei dischi.
Guardate questo giradischi. Ce l’ha regalato lui.
Anche questi vecchi dischi. Jack e io abbiamo dormito nel suo letto. La mattina dopo Jack soffriva dei postumi della sbornia e ha dovuto prendere un carrello a nolo.
Per portare via tutta quella roba del tizio.
A un certo punto mi sono svegliata. Ci stava mettendo una coperta addosso, quel tizio. Questa coperta. Sentite qua. Continuava a parlare. Raccontò la storia a tutti.
C’era dell’altro, lo sapeva, ma non riusciva a metterlo in parole. Dopo un po’, smise di parlarne.

 


lunedì 30 settembre 2024

IL GIORNO DEI DISCHI VOLANTI

 


Di Neil Gaiman avevo già postato il racconto, Gli altri, sempre dalla raccolta Cose fragili. 
Adoro il narrare breve di Gaiman, ecletticissimo autore di horror gotici e dallo stile tagliente, anche disegnatore di graphic novel e sceneggiatore. 
E poeta in questo caso, di particolare sensibilità.

 

IL GORNO DEI DISCHI VOLANTI 

Quel giorno, atterrarono i dischi volanti. Centinaia, dorati,

Silenziosi, scendevano dal cielo come grandi fiocchi di neve,

E i Terrestri immobili

li guardavano arrivare,

Aspettavano, le bocche riarse, di scoprire cosa contenessero

E nessuno di noi sapeva se ci sarebbe stato un domani

Ma tu non l’hai notato perché

 

Quel giorno, il giorno dei dischi volanti, pura coincidenza,

Fu il giorno in cui dalle tombe si riversarono i morti

E gli zombie emersero piano dalla terra morbida

o invece eruppero di brutto, barcollanti, opachi, inarrestabili,

Vennero verso di noi, i vivi, e noi fuggimmo urlando,

Ma tu non l’hai notato perché

 

Il giorno dei dischi volanti, il giorno degli zombie, fu anche

Il giorno del Ragnarok, e la televisione ci mostrò

Una nave fatta con le unghie dei morti, un serpente, un lupo,

Tutti più grandi di ogni immaginazione,

e il cameraman non riuscì

Ad allontanarsi abbastanza, e poi ne scesero gli Dèi

Ma tu non li hai visti arrivare perché

 

Nel giorno dei dischi-zombie-fine del mondo

saltarono tutte le barriere

E ciascuno di noi fu invaso da geni e spiritelli

Che ci offrivano desideri e sorprese ed eternità

E incantesimi e brillantezza e cuori

sinceri e coraggiosi e pentole d’oro

Mentre i giganti ucciucciavano per il

paese, e le api assassine,

Ma tu non ne avevi idea perché

 

Quel giorno, il giorno dei dischi il giorno degli zombie

Il giorno del Ragnarok e delle fate, il giorno

dei venti potenti

E della neve, quando le città divennero cristallo, il giorno

In cui tutte le piante morirono, la plastica si dissolse, il giorno

In cui i computer si accesero per dirci

a chi dovevamo obbedire, il giorno

In cui gli angeli, ubriachi e impastati, barcollavano nei bar,

E tutte le campane di Londra risuonavano, il giorno

In cui gli animali ci parlarono in assiro, il giorno dello Yeti,

il giorno dei supereroi e dell’arrivo

della Macchina del Tempo,

Tu non ti sei accorta di nulla di tutto questo perché
 

eri seduta in camera tua, non facevi niente,

non leggevi neanche, in realtà, stavi

lì a guardare il telefono,

chiedendoti se avrei chiamato.

 

venerdì 26 luglio 2024

CONVERSAZIONE CON UNA PIETRA (WISLAWA SZYMBORSKA)

Che io ami la Szymborska è cosa nota, che mi riconosca nei suoi paradossi, negli assurdi gestiti con geniale nonchalance, e che voglia rendervi partecipi di tutto ciò,
cerco di sottolinearlo come posso.

"Busso alla porta della pietra

– Sono io, fammi entrare.
Voglio venirti dentro,
dare un’occhiata,
respirarti come l’aria.

– Vattene – dice la pietra.
Sono ermeticamente chiusa.
Anche fatte a pezzi
saremo chiuse ermeticamente.
Anche ridotte in polvere
non faremo entrare nessuno.

Busso alla porta della pietra.
– Sono io, fammi entrare.
Vengo per pura curiosità.
La vita è la sua unica occasione.
Vorrei girare per il tuo palazzo,
e visitare poi anche la foglia e la goccia d’acqua.
Ho poco tempo per farlo.
La mia mortalità dovrebbe commuoverti.
– Sono di pietra – dice la pietra
– E devo restare seria per forza.
Vattene via.
Non ho i muscoli per ridere.

Busso alla porta della pietra.
– Sono io, fammi entrare.
Dicono che in te ci sono grandi sale vuote,
mai viste, belle invano,
sorde, senza l’eco di alcun passo.
Ammetti che tu stessa ne sai poco.

– Sale grandi e vuote – dice la pietra
ma in esse non c’è spazio.
Belle, può darsi, ma al di là del gusto
dei tuoi poveri sensi.
Puoi conoscermi, però mai fino in fondo.
Con tutta la superficie mi rivolgo a te,
ma tutto il mio interno è girato altrove.

Busso alla porta della pietra
– Sono io, fammi entrare.
Non cerco in te un rifugio per l’eternità.
Non sono infelice.
Non sono senza casa.
Il mio mondo è degno di ritorno.
Entrerò e uscirò a mani vuote.
E come prova d’esserci davvero stata
porterò solo parole,
a cui nessuno presterà fede.

– Non entrerai – dice la pietra.-
Ti manca il senso del partecipare.
Nessun senso ti sostituirà quello del partecipare.
Anche una vista affilata fino all’onniveggenza
a nulla ti servirà senza il senso del partecipare.
Non entrerai, non hai che un senso di quel senso,
appena un germe, solo una parvenza.

Busso alla porta della pietra.
– Sono io, fammi entrare.
Non posso attendere duemila secoli
per entrare sotto il tuo tetto.

– Se non mi credi – dice la pietra-
rivolgiti alla foglia, dirà la stessa cosa.
Chiedi a una goccia d’acqua, dirà come la foglia.
Chiedi infine a un capello della tua testa.
Scoppio dal ridere, d’una immensa risata
che non so far scoppiare.

Busso alla porta della pietra.
– Sono io, fammi entrare.
– Non ho porta – dice la pietra."

 


lunedì 27 maggio 2024

GIRO D'ITALIA. QUELLO VERO.

 

Tadej Pogacar

In questi giorni occhio famelico al Giro d’Italia. 

Una storia che si rinnova, che si offre sport alternativo, tifo verace anche se in rari casi, incosciente; fatica inconcepibile per infiniti altri sport.
Biciclette che vanno a muscoli; nessun passeggio, nessuna pedalata “assistita”, spesso nessuna strategia, solo foga forsennata, fruscii di catene e ronzio di copertoni a ingoiare gelo e caldo afoso, asfalto, sterrati, e poi sanpietrini, sudore.. chilometri a ingurgitare l’Italia, ridisegnandola e lasciandone fuori fin troppa, e troppo spesso al sud.
Ma noi affezionati ci godiamo le stradine e i vialoni, le rotatorie aggirate, le salite assalite, le discese scivolate, ci agitiamo per una caduta, o una grandinata imprevista, infiniti sprint intermedi per assegnare maglie di tutti i colori possibili (ma quella a pois del Tour mi piace un casino!), le volate per il quindicesimo posto, il vincitore che scende dalla bici e sale sulla cyclette per sciogliere tossine e acido lattico, il ciclista semisconosciuto che il gruppo fa passare da solo nel paese d’origine e un altro po’ gli preparano pranzo e concertino, sei/sette ore di fatica giornaliera inconcepibile per qualunque altro sport se non quelli estremi che si chiamano “estremi” per vantarsi.

Nel ciclismo, invece, di estrema c’è la passione di chi lo pratica (aria, pioggia, nevischio in faccia  ed il mondo che ti rotea attorno ma ad una velocità che rende lui percepibile e chi pedala piacevolmente attento), la passione di chi lo segue e basta (magari praticandolo molto meno di quanto dovrebbe: io), ore e ore in attesa sul ciglio di strada per vedere passare per un attimo un sussurro iperbolico e colorato di uomini e bici.. un attimo di follia pedaliera, di occhi voraci, di muscolo teso, e poi di nuovo silenzio per ripidi tornanti, e inizio a gustarmi quei silenzi, ogni anno una parentesi di gioia per uno sport anomalo.
E anche il consueto commuoversi davanti alla tv.

 

mercoledì 15 maggio 2024

RIPLEY SERIE NETFLIX

 


Vale la pena segnalare una serie tv solo per la fotografia (di Robert Elswit), un magnifico bianco e nero, l’arte dell’inquadratura ricercata, l’amore per i dettagli, la capacità di rappresentare luoghi e angoli fantastici d’Italia con una sensibilità tutta particolare?

Sì.

Perché Ripley poi, è storia nota; più volte Il talento di Mr. Ripley (dal romanzo di Patricia Highsmith) è stato riproposto in diverse versioni, la più famosa quella di Minghella con Matt Damon mattatore.

Questa serie in otto episodi affascina visivamente, in maniera così magnetica e debordante che passiamo serenamente oltre gli innumerevoli magheggi di sceneggiatura, le arrampicate narrative, le sospensioni del dubbio cui facciamo appello sempre più intrigati dal cosa riesce a farci vedere, più che dal come ci venga raccontata la storia.

Viene voglia di continui rewind per non perdere neanche un frangente di luce a tracimare, di spigolo a dettare la via, di scala a precipitare, di minima statua a sorvegliare il viavai.

Arrivi alla fine e sei solo goloso di nuove angolazioni, altri giochi di prospettive, di guardare attorno alla storia. Di guardare ancora. E di nuovo.





lunedì 25 marzo 2024

È GIUNTA L’ORA

 


Questo è un testo del 1989, eppure ci riporta fatalmente ai giorni d’oggi, all’umano odiare che imperversa, all’incoscienza, all’arroganza del potere, troppo spesso così incapace di trattenere bellezza e rilasciare invece solo brutture.

Rosalba Campa è una scrittrice argentina armata solo di grande sensibilità.
Vorrei che un giorno fosse il solo tipo di arma prodotta al mondo.

“È da anni che stanno aspettando di vendicarsi. E cosa fanno? Si esercitano. Si preparano. Leggono. La vendetta è un piatto che si mangia freddo. È il piacere degli dei. L’anello dei Nibelunghi.

L’azione per la quale chi è stato danneggiato nella persona o negli averi si risarcisce infliggendo al responsabile pena proporzionale al danno ricevuto.
Sproporzionata, sproporzionata deve essere affinché si faccia giustizia, l’ansia di vendetta col tempo cresce, trae alimento dal cuore offeso, gli tinge i pensieri di un solo colore.
Papà, quando suonerà l’ora della vendetta? Quando abbiano dimenticato figli miei, quando non si aspettino più che nessuno di noi sia sopravvissuto e ricordi, quando più sereno sia il loro cielo. E se ci dimentichiamo anche noi?E se perdoniamo? E se non siamo capaci? Arti marziali, tiro a segno, scienze politiche, maquillage teatrale, chimica, equitazione e astrologia.
Non dimenticano, non perdonano, aguzzano il loro odio e le loro insidie, si arricchiscono, scalano posizioni, frequentano le alte sfere, volano in aria nell’esplosione causata dalla bomba che gli ha messo nella sala da pranzo il figlio della cuoca che hanno appena licenziato”.

Ripeto: un testo del 1989, non dell’altro giorno.

Ma le stesse cose sembrano accadere e riaccadere, nonostante l’uomo evolva,
o perlomeno creda di farlo.

 

 

 

giovedì 21 marzo 2024

GIORNATA MONDIALE DELLA POESIA



La celebro con dei versi di Erri de Luca.
Nessun ghirigoro stilistico, ma il semplice chiarore della bellezza.

Ed un ultima riga meravigliosa, dove tutti possiamo arrenderci e ritrovarci, sperando di saper crescere un poco per volta.

VALORE

Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.

Considero valore il regno minerale, l’assemblea delle stelle.

Considero valore il vino finché dura il pasto, un sorriso involontario,

la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano.

Considero valore quello che domani non varrà più niente

e quello che oggi vale ancora poco.

Considero valore tutte le ferite.

Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe, tacere in tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi, provare gratitudine senza ricordare di che.

Considero valore sapere in una stanza dov’è il nord, qual è il nome del vento che sta asciugando il bucato.

Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca, la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.

Considero valore l’uso del verbo amare e l’ipotesi che esista un creatore.

Molti di questi valori non ho conosciuto. 

mercoledì 13 marzo 2024

PAST (E POST) LIVES

https://caffediriky.blogspot.com/2024/03/past-lives-il-film-rivelazione-la.html?sc=1710319221982#c18996281191654425

Oggi sono onoratissimo ospite dell'amico Riccardo Giannini e del suo blog Abcd Il Caffè di Riky assieme a Bonigol, in un interessante scambio di vedute sotto forma di recensione parallela del film Past Lives, pellicola coreana al cinema in questi giorni. 


Lo scambio, il confronto, l'apprendere e il relazionarsi, sono una delle caratteristiche arricchenti dei blog e di un modo di fare social in maniera libera, consapevole, disponibile, pacata, costruttiva.

Davvero felice che simili occasioni di collaborazione e interazione possano continuare a moltiplicarsi e rendere i blog opportunità di scambio e cooperazione in un clima di sostegno e serena ricerca reciproca.

Grazie ancora a Riccardo e Bonigol! 


venerdì 23 febbraio 2024

PRIMA DANZA POI PENSA

L'assurdo, Beckett, lo ha provato sulla propria pelle. Quando a processo, il tizio che lo accoltellò, interrogato sulle motivazioni di quel gesto inconsulto, disse che non sapeva spiegarsi perché lo avesse fatto.

Un assurdo reale che fornì al drammaturgo il concetto strategico per le sue opere, oltre a stabilire un legame profondo con la donna che diverrà sua moglie.
Un episodio cruciale. L'agire al di là del fine.
La chiave di lettura di Aspettando Godot non è il Godot che non arriva, ma l'attenderlo: scenario e tempo che scorrono solleticando appena il palcoscenico.
La precarietà come ragione di vita. Una vita frammentata, avventurosa, indecisa, insofferente.. gli studi, i viaggi, le nuove patrie, l'insegnamento, le traduzioni, le conoscenze illustri, la passione, i tradimenti, l'impegno da rivoluzionario.
Abbandonare l'insegnamento propedeutico proprio a quel "non indicare", a lasciare tutto sospeso, un nulla palpabile e protagonista.

Un tormento continuo che chiederà conto proprio il giorno del ritiro del Nobel (mai ritirato in realtà), e Beckett spaventato dal traguardo ambito e temuto allo stesso tempo, si farà rapire dal suo alter ego e, come in Finale di partita, proverà a riordinare i pezzi della sua vita, come su una scacchiera maltrattata; la fuga dalla madre l'amore convulso e la ricerca di un successo che lo spaventava; non il finale però, un focus teso solo a distrarre. 

La vera partita, paradossale e sarcastica, la gioca l'autore.
A noi non rimane che assistere. 



sabato 3 febbraio 2024

FAVOLOSO CALVINO


 In occasione del centenario di Italo Calvino, le Scuderie del Quirinale, a Roma, organizzano un viaggio nella vita di questo poliedrico ed eclettico scrittore, genio del Novecento e autore di romanzi, saggi ed articoli che hanno segnato la letteratura mondiale.


Seppur meraviglioso l'immergersi delicato in un mondo di scrittura, invenzione, sensibilità, questa mostra non ha fatto strike.
Certo Calvino non ha l'apparente appeal di un Van Gogh e non incuriosisce come Escher, e non gode di agevole interpretazione anche se tutta una letteratura ha attinto da lui, da Manganelli fino a Baricco.


Bisogna entrare nella sua bolla creativa, accomodarsi tra i suoi disegni, rileggere le sue brutte copie fitte di cancellature, rimandi, note a margine. Soprattutto rileggere nuovamente. 

Comprendere il suo essere universale, il viaggiare per scoprire, per immergersi nel suo mondo di ricerca e fantasia. Calvino ha sconvolto decenni di piani di lettura: prolifico, autorevole, enigmatico, incurante dei giudizi. 




Forse anche Calvino risulta intraducibile a tanti, perché non ci accostiamo alla sua curiosità, ci appare eccessiva, mentre è solo un voltare pagine polverose, lette già infinite volte. 











mercoledì 24 gennaio 2024

ESCHER

La mostra di Escher è un qualcosa di davvero fantastico, l'artista olandese ci introduce in un mondo arzigigolato dove perdere sensi ed equilibri, stordendoci coi suoi capolavori, gli enigmi e i paradossi resi visivamente con grandissima perizia grafica, ricca di dettagli ed esattezza.

Si rimane ogni volta impigliati in un paesaggio escheriano. Si prova ad entrare e non se ne esce più. Ci si intrappola piacevolmente e vorremmo che in ideale estasi il mondo lasciato diventi lui, l'inganno dove passeggiare normalmente.


La metamorfosi che ti plasma in mille modi, il circolo vizioso che ti offre mille scenari, la riflessione che ti mette al centro del mondo.
Escher ci sfida in continuazione, e vince, ecco perché a tanti non piace, perché non riusciamo ad amare completamente l'abbandono, il semplice cullarci in sensazioni che dobbiamo sempre credere di poter dominare. 

Una mostra da non perdere, uno dei vantaggi di città come Roma che, i dedali di stupore geometrico che affascinavano Escher durante i suoi viaggi in Italia, preferisce raderli al suolo per edificare abominevoli altari della patria.










Alla fine della mostra guardi con sospetto le immense scale del seicentesco  Palazzo Bonaparte, hai paura che ti avviluppino come in un disegno escheriano e ti rendano cittadino permanente del labirinto. 

In perenne ricerca di un'uscita impossibile.

venerdì 1 dicembre 2023

ROMA ARTE IN NUVOLA

Per tre giorni, a Roma, la nuvola di Fuksas ha ospitato una kermesse di arte moderna in rappresentanza di oltre 150 Gallerie nazionali ed internazionali.




Un'abbuffata incredibile delle ultime tendenze artisitiche di un universo in continua ebollizione.

 




Inutile nasconderlo: si rischia la destabilizzazione da overdose, passando da estremi che spesso neanche si toccano, opere che sollecitano oltre l'immaginabile ma a volte lasciano basiti, incapaci di entrare nella più minima sintonia. 



Ma tant'è. Sicuramente anche nostro limite, o forse troppo pretendere da chi, comunque, eroicamente si lancia in percorsi del tutto inesplorati.

A volte titillando con successo la nostra meraviglia.

 

Matteo Massagrande



Questo rimane pur sempre
un Giorgio Griffa da 25 mila euro.