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domenica 11 maggio 2025

CARAVAGGIO: L'OMBRA CHE DIPINGE LA LUCE

 


“Caravaggesco” un termine ormai entrato nella consuetudine per definire qualsiasi rappresentazione, pittorica o fotografica. che presenti una netta identità scenografica procurata da incrocio di luci e ombre, e la Mostra, ora a Roma, ci lascia decisamente stupiti anche se, per quanto pubblicizzata e presa letteralmente d’assalto, sia mancante di alcuni tra i capolavori tra i più pregiati dell’artista.

La cattura di Cristo

San Giovanni Battista

Ci godiamo comunque un’atmosfera magica, un discreto allestimento che forse avrebbe dovuto concedere più respiro tra un’opera e l’altra, oltre qualche criticabile posizionamento di luci che non consente appieno l’entrare in simbiosi coi dipinti.


Narciso

Oloferne
Santa Caterina

Ma si rimane basiti davanti una tale sensibilità d’artista, scomparso a soli 39 anni e protagonista di una vita tempestosa e inquieta ma capace di creare bellezza incredibile pur tra mille difficoltà.
Caravaggio inonda le tele di buio e poi crea lame di luce unidirezionale che diventano padrone della scena, assolute protagoniste, senza sfondi a distrarre, i non luoghi  ad esaltare ancor più il soggetto; a volte anche solo lampi incastonati sulla tela, abbagli eterni che ci lasciano senza fiato.

Conversione di San Paolo

I bari

Giuditta

Ecce Homo


sabato 12 aprile 2025

ADOLESCENCE (OR NOT ADOLESCENCE)

Potevo non dedicare qualche riga alla serie TV del momento? Sia mai.. anche  se l’evoluzione  mi ha lasciato perplesso, nonostante  riprenda un episodio avvenuto realmente, concentrando dinamiche, reazioni e punti di vista differenti; oltretutto interamente in piano sequenza, tecnica virtuosa e coinvolgente ma non sempre efficace quando eletta a risorsa di ripresa esclusiva.

Abbiamo un dato di fatto: Jamie, studente tredicenne, che accoltella a morte una coetanea, quindi un colpevole già individuato e quattro episodi a cercare di sviscerarne il perché.
Siamo di fronte a dinamiche di bullismo, insofferenza, frustrazione, inadeguatezza, tutta una serie di crescite, evoluzioni, degenerazioni e comportamenti adolescenziali portate agli estremi, ed intorno una famiglia che fatica ad interpretare e comprendere.
 
Un lato debole: puntare decisi all’apice della degradazione e tralasciare le sfumature del substrato, quella sorta di palude dove si vive comunque male ma non si arriva per forza al gesto insensato, al titolo di giornale.

Prima puntata: irruzione a casa del tredicenne, arresto, trasporto in centrale e accusa di omicidio sostenuto da videocamera di sorveglianza; di supporto al ragazzino avvocato d’ufficio e tutore legale (lui sceglie il padre), ma si rifiuta di comunicare il codice d’accesso del cellulare (a quel punto, fossi stato il padre, due pizze gliele avrei date, in piano sequenza naturalmente).

Seconda puntata: sopralluogo nella scuola del ragazzo, dove serpeggia irrequietudine,  menefreghismo, boria e sprezzo per le autorità (insegnanti e polizia), come un misto tra solidarietà e derisione, neanche troppo sotterranee, verso l’autore del crimine, reo, più che altro, di essersi fatto beccare.
Nell’episodio anche un inutile inseguimento (pretesto per un mirabolante piano sequenza palesemente arricchito di post produzione ) oltre all’accenno alle teorie Incel (movimento misogino alla base di azioni e reazioni di Jamie)
Poi diverse note stonate: si cerca l’arma del delitto chiedendo agli studenti; il poliziotto che segue da tempo crimini legati ad abusi minorili, sembra inconsapevole che il figlio venga bullizzato; la descrizione della scuola come luogo inadeguato ad educare; la scena dell’allarme con evacuazione della scuola, tutti riuniti all’aperto e fatti rientrare dopo un nulla, giusto il tempo di una colluttazione tra studenti dove altri riprendono col cellulare mentre i due poliziotti, poco distanti, non sembrano neanche accorgersene. 

Terza puntata: sette mesi dopo, colloquio con psicologa che evidenzia l’instabilità del ragazzo messo di fronte a prove del suo rapporto malato con l’universo femminile. Non mancando di sottolineare ancor più la rissosità e l'aggressività del ragazzino (certo acuita da mesi di struttura psichiatrica minorile) che sembra voler indirizzare l'opinione verso un verdetto che non tenga troppo conto di cause e concause.
Mi chiedo: sette mesi dopo? Solo alla fine del percorso la psicologa tira fuori le prove instagram dei suoi eccessi? E le reazioni isteriche e arroganti davanti all’analista non lo disegnano certo meglio. Emblematico poi il “buh” improvviso a spaventarla, poteva riservarlo alla ragazzina uccisa.. ma certo tutti bravi a ipotizzarlo dopo..

Quarta puntata: tredici mesi dopo, esili equilibri tengono unito il resto della famiglia che sta attraversando un pessimo periodo, oltretutto affrontando episodi di irrisione e cattiveria, col figlio adolescente ormai alla vigilia di un processo che quasi sicuramente lo vedrà condannato. Indicativo poi non dire a Jamie, all’ascolto in auto mentre telefona al papà per gli auguri di compleanno, che in vivavoce ci sono anche mamma e sorella.
Cosa abbiamo fatto di male, lecito interrogativo dei genitori,  ma anche inutile, dopo che la situazione ti è sfuggita di mano.

Certo si poteva fare di più, come si chiede alla fine il padre nella cameretta di Jamie, e sono sicuro se lo sia chiesto anche il regista alla fine dell’ennesimo, ultimo, piano sequenza.




domenica 19 gennaio 2025

HERE

 


Premessa: un film che sto glorificando e che sta ricevendo pareri molto contrastanti. Tanti lo giudicano noioso, lento, poco fruibile e comprendo che la bellezza del cinema è nel film differente che ognuno riesce a scorgere.
Ma lo propaganderò comunque come qualcosa di visionario, lontano dai Lynch o dai Lanthimos - mai stati nelle mie corde -, in grado di catturarmi totalmente. 


Raffinato e geniale.
M
i lascia a bocca aperta già la prima auto che sfoglia il tempo attraverso la grande e luminosa finestra della sala con camino, accennando subito un montaggio strepitoso ad intersecare finestre di dialogo tra innumerevoli epoche di narrazione, rendendole fluide, compatibili, essenziali.

Una sfida alla relatività subito chiara.
Ennesima prova magistrale di Zemeckis, che provoca le convenzioni e il déjà vu, elargendo suggestioni e commozione con una tecnica di regia colma di finissime chicche, come il controcampo che sfrutta il temporaneo passaggio di una specchiera davanti la camera fissa.

Ricercato e creativo.
Una storia millenaria di futuro che si accavalla con la tecnica più elementare che esista. La camera fissa e la storia a srotolarsi, affamata di eventi, e io affacciato allo schermo, cinema frenetico nel cinema immobile, come una finestra di fronte alla finestra, e mille riquadri ad intersecarsi voraci, impietosi, veloci, curiosi e i protagonisti ad inquadrare, metterci sogno, avvertire ordine e disordine, emozione, rabbia, attesa, disagio e lo spettatore a riconoscersi. Avrei forse dedicato più spazio alle storie parallele, quelle che spazio temporalmente precedono e seguono Tom Hanks e Robin Wright, ma comprendo la scelta di non pungolare oltre un livello di attenzione già ampiamente sollecitato.


Sottile ed estroso.
Dal magma originario fino allo schermo piatto HD, quel riquadro di mondo concepirà passioni, desideri e rimpianto; si chiederà, come ci chiediamo tutti noi, cosa sarà del futuro, e lo disegnerà sapientemente, calpestando sempre la medesima porzione di mondo, identico palcoscenico ad ospitare nuove messe in scena.
E penso anche io, mentre digito al pc, a chi è stato seduto prima di me, in quella che ora è la mia casa, e chi vi sognasse in precedenza, quali prati ancor prima, quali scenari pieni di vento e tramonti, ma sempre con un colibrì curioso, a vivere l’istante, renderlo eterno.

Il finale è pazzesco. Solleva dalla poltrona dove Zemeckis mi aveva avvitato e sconquassa l’occhio, ormai disabituato, in un piano sequenza che d’improvviso riempie la vista, il cuore, e l’intero schermo, velato di lacrime.

lunedì 18 novembre 2024

‘NCÒPPA A PARTHENOPE

La carrozza iniziale ideale continuum della mozzarella di E’ stata la mano di Dio. Una combinazione gastronomica part(h)enopea  appetitosa, vagamente indigesta però, se tradotta a forza in cinema.

E stavolta ci ficchiamo di tutto nella rutilante napoletanità rappresentata, mancano il mercato del pesce e le sfogliatelle ma in un ipotetico terzo atto a chiudere la trilogia, perché no?
Nei primi dieci minuti lungo videoclip di spot per profumi, ma senza il profumo; poi nasce Parthenope, splendida sirena pupazzetta con due espressioni alla Clint Eastwood, con sigaretta e senza.

Sorrentino la userà come fil rouge per legare quadretti di partenopeismo convenzionale visto e stravisto: famiglia decaduta, camorra gomorriana (con accoppiamento/iniziazione  di clan avversi), religiosità fanatica e blasfema, università bigotta con Silvio Orlando perennemente scocciato e tristanzuolo, disabili alieni, l’ambito scudetto, il temuto colera, incesti e aborti, attriciacce fuori tempo massimo, e poi perenni richiami felliniani tra il grottesco e il bizzarro, con le immancabili ciccione e gli spilungoni,  e c’è spazio pure per l’alcolista John Cheever interpretato da Gary Oldman, alla fine il meno fuori luogo nonostante la sovraesposizione di bottiglie e bicchieri vuoti.
Incessante l’interrogativo facebookiano rivolto da tutti alla nostra donna di paglia: a cosa stai pensando? Ma chissà se, pensa; la nostra bellezza di turno, desiderata da tutti.. “furbacchiona”..

La Ranieri “sofialorenizzata” intavola una catilinaria che si pennella perfettamente addosso al cinema sorrentiniano. Chissà, magari un’auto fustigazione.
C’è in atto, nel filmarsi addosso del regista, una frammentazione della trama compiaciuta del nulla narrato: l’estetica innanzitutto, e a corollario le elementari e tediose citazioncine aforistiche alla Gambardella, richiamando anche una grande bellezza perduta, come quella della Sandrelli imbruttita ancor più, come non bastasse al naturale (m’è sovvenuto pure il Cage di Longlegs).
Parthenope cresce, senza scorgere l’amore ma sfilando di continuo, sforna decolté ed esami esposti a pappagallo, ma trova anche il tempo di “ripassarsi” mezza Napoli (non osiamo immaginare poi nei quarant’anni a Trento.. magari materiale per successive pellicole,  Song ‘e Napule  suonerebbe bene..).
Circo appagato dall’esagerazione fino all’iperbolico “A dio non piace il mare”, citato enfaticamente nei titoli di coda a stupire di nuovo; un mare che non piacerebbe partecipando anche lui ai dolori esistenziali, donando vita e togliendola anche, un po’ come a Sorrentino,  cui probabilmente sta stretto il cinema e forse anche Napoli, ma si sforza di servircene una visione tutta sua..

Eppure resto fan estasiato di Young e New Pope.. e spero ancora nel rientro in carreggiata del nostro, con abbandono definitivo degli stucchevoli  ralenty e dei Cocciante di sottofondo..

lunedì 30 settembre 2024

IL GIORNO DEI DISCHI VOLANTI

 


Di Neil Gaiman avevo già postato il racconto, Gli altri, sempre dalla raccolta Cose fragili. 
Adoro il narrare breve di Gaiman, ecletticissimo autore di horror gotici e dallo stile tagliente, anche disegnatore di graphic novel e sceneggiatore. 
E poeta in questo caso, di particolare sensibilità.

 

IL GORNO DEI DISCHI VOLANTI 

Quel giorno, atterrarono i dischi volanti. Centinaia, dorati,

Silenziosi, scendevano dal cielo come grandi fiocchi di neve,

E i Terrestri immobili

li guardavano arrivare,

Aspettavano, le bocche riarse, di scoprire cosa contenessero

E nessuno di noi sapeva se ci sarebbe stato un domani

Ma tu non l’hai notato perché

 

Quel giorno, il giorno dei dischi volanti, pura coincidenza,

Fu il giorno in cui dalle tombe si riversarono i morti

E gli zombie emersero piano dalla terra morbida

o invece eruppero di brutto, barcollanti, opachi, inarrestabili,

Vennero verso di noi, i vivi, e noi fuggimmo urlando,

Ma tu non l’hai notato perché

 

Il giorno dei dischi volanti, il giorno degli zombie, fu anche

Il giorno del Ragnarok, e la televisione ci mostrò

Una nave fatta con le unghie dei morti, un serpente, un lupo,

Tutti più grandi di ogni immaginazione,

e il cameraman non riuscì

Ad allontanarsi abbastanza, e poi ne scesero gli Dèi

Ma tu non li hai visti arrivare perché

 

Nel giorno dei dischi-zombie-fine del mondo

saltarono tutte le barriere

E ciascuno di noi fu invaso da geni e spiritelli

Che ci offrivano desideri e sorprese ed eternità

E incantesimi e brillantezza e cuori

sinceri e coraggiosi e pentole d’oro

Mentre i giganti ucciucciavano per il

paese, e le api assassine,

Ma tu non ne avevi idea perché

 

Quel giorno, il giorno dei dischi il giorno degli zombie

Il giorno del Ragnarok e delle fate, il giorno

dei venti potenti

E della neve, quando le città divennero cristallo, il giorno

In cui tutte le piante morirono, la plastica si dissolse, il giorno

In cui i computer si accesero per dirci

a chi dovevamo obbedire, il giorno

In cui gli angeli, ubriachi e impastati, barcollavano nei bar,

E tutte le campane di Londra risuonavano, il giorno

In cui gli animali ci parlarono in assiro, il giorno dello Yeti,

il giorno dei supereroi e dell’arrivo

della Macchina del Tempo,

Tu non ti sei accorta di nulla di tutto questo perché
 

eri seduta in camera tua, non facevi niente,

non leggevi neanche, in realtà, stavi

lì a guardare il telefono,

chiedendoti se avrei chiamato.

 

domenica 15 settembre 2024

MARCHE

Le Marche giocano spesso a toscanizzarsi, anche dove l’Appennino s’incunea arditamente fino al mare, e i borghi si rannicchiano  attorno ai loro castelli, lasciando intravedere docili panorami dai loro merli invitando alla visita curiosa, ai crocevia fuori mano, alla ricerca del dettaglio tra dedali di viuzze e architravi di altre epoche, silenzi e riflessi, magie ancora intatte.
Inconfondibile  marchio di fabbrica, invece, i lungomare ordinati, le cabine pastello, quel brulicare di biciclette frenetico e pacato al contempo e un senso di quiete trasmesso a chi passeggia sbirciando  gli ultimi impavidi ombrelloni, una fine estate che non sa di smobilitazione, ma diligente ritirarsi, risacca mansueta.

E poi le colazioni in campagna, con pane e marmellata da intingere nel paesaggio appena sveglio anche lui, accarezzato di sole fresco e silenzio fragrante.
Impagabile buongiorno.

 

Ascoli

Cremini

Tronto


Ascoli

Marotta

Conero


Corinaldo






Senigallia






Mondavio

S. Andrea di Suasa

Portonovo

mercoledì 6 marzo 2024

POVERE CREATURE!

 

L'oca è quella a destra

Come ne La Favorita - decisamente di altro livello -, gli uomini di Lanthimos sono  sempre creature eccentriche e bislacche, e anche stavolta, non vanifica la regola il team centrale formato da: scienziato e chirurgo svalvolato, studente ingenuo,  mentore abietto e, dulcis in fundo, marito vannuccizzato.

In mezzo Emma Stone che decisamente giganteggia, sparando eccessi all’impazzata,  da pupa capricciosa e robotica fino alla sua definitiva, seppur davvero elementare, emancipazione, chiave del film, dove opera a cervello aperto e sorseggia drink conscia della sua autonomia e del suo raggiunto potere.

Nel mezzo scenografie mozzafiato, ricami surrealisti e colonna sonora di grande impatto, ma l’evoluzione di Bella resta legata a stereotipi di libera e confusa sessualità meccanica (“non dovremmo scegliere noi i clienti?”)  mentre non avvertiamo nessun afflato sentimentale se non un sussulto alla notizia della malattia del padre/creatore.
Bella si dimena (letteralmente) tra le sue (s)coperte, si commuove addirittura per le ingiustizie sociali, sciorina aulicamente  a pappagallo nuovi vocaboli, balla gli ormai immancabili balletti marca Yorghos, si affeziona forse, ma non si innamora mai, rimane “libera” e si arricchisce di soldi e concetti “socialisti” istillati dalla “collega” nera “politically correct”, come nero anche il tipo in nave vestito da bignamino filosofico.

Bella può abbandonare anche un altare per continuare a scoprire, ma guai a volerla rinchiudere. Una complessità sbandierata che tenderebbe a far fuori preconcetti e falsi moralismi sguazzando nel voler sorprendere a tutti i costi, e mentre tecnicamente riesce, rimane impaludata nel messaggio rudimentale del corpo come passepartout.

Alla fine un po’ tutte povere creature ‘sti personaggi, lo scienziato manomesso da piccolo che giustamente si rifà col resto del mondo, il sordido avvocatucolo che si scandalizza, il fidanzatino che abbozza sempre, il marito già capra prima del trapianto, Emma stessa, che magari nei panni della maitresse ipertatuata (e non di strafiga), avrebbe dovuto computare da capo le sue stime di sopravvivenza.

E poi c’è Felicity!! La nuova ragazzetta automa sperimentale (“avete creato un mostro!”).. quando la portiamo a Parigi?  ;)

 


venerdì 23 febbraio 2024

PRIMA DANZA POI PENSA

L'assurdo, Beckett, lo ha provato sulla propria pelle. Quando a processo, il tizio che lo accoltellò, interrogato sulle motivazioni di quel gesto inconsulto, disse che non sapeva spiegarsi perché lo avesse fatto.

Un assurdo reale che fornì al drammaturgo il concetto strategico per le sue opere, oltre a stabilire un legame profondo con la donna che diverrà sua moglie.
Un episodio cruciale. L'agire al di là del fine.
La chiave di lettura di Aspettando Godot non è il Godot che non arriva, ma l'attenderlo: scenario e tempo che scorrono solleticando appena il palcoscenico.
La precarietà come ragione di vita. Una vita frammentata, avventurosa, indecisa, insofferente.. gli studi, i viaggi, le nuove patrie, l'insegnamento, le traduzioni, le conoscenze illustri, la passione, i tradimenti, l'impegno da rivoluzionario.
Abbandonare l'insegnamento propedeutico proprio a quel "non indicare", a lasciare tutto sospeso, un nulla palpabile e protagonista.

Un tormento continuo che chiederà conto proprio il giorno del ritiro del Nobel (mai ritirato in realtà), e Beckett spaventato dal traguardo ambito e temuto allo stesso tempo, si farà rapire dal suo alter ego e, come in Finale di partita, proverà a riordinare i pezzi della sua vita, come su una scacchiera maltrattata; la fuga dalla madre l'amore convulso e la ricerca di un successo che lo spaventava; non il finale però, un focus teso solo a distrarre. 

La vera partita, paradossale e sarcastica, la gioca l'autore.
A noi non rimane che assistere. 



sabato 3 febbraio 2024

FAVOLOSO CALVINO


 In occasione del centenario di Italo Calvino, le Scuderie del Quirinale, a Roma, organizzano un viaggio nella vita di questo poliedrico ed eclettico scrittore, genio del Novecento e autore di romanzi, saggi ed articoli che hanno segnato la letteratura mondiale.


Seppur meraviglioso l'immergersi delicato in un mondo di scrittura, invenzione, sensibilità, questa mostra non ha fatto strike.
Certo Calvino non ha l'apparente appeal di un Van Gogh e non incuriosisce come Escher, e non gode di agevole interpretazione anche se tutta una letteratura ha attinto da lui, da Manganelli fino a Baricco.


Bisogna entrare nella sua bolla creativa, accomodarsi tra i suoi disegni, rileggere le sue brutte copie fitte di cancellature, rimandi, note a margine. Soprattutto rileggere nuovamente. 

Comprendere il suo essere universale, il viaggiare per scoprire, per immergersi nel suo mondo di ricerca e fantasia. Calvino ha sconvolto decenni di piani di lettura: prolifico, autorevole, enigmatico, incurante dei giudizi. 




Forse anche Calvino risulta intraducibile a tanti, perché non ci accostiamo alla sua curiosità, ci appare eccessiva, mentre è solo un voltare pagine polverose, lette già infinite volte.