Si chiamava Grand Hotel
e basta, non c’era il nome della città a precederlo o un comunissimo Ambassador in rapida successione, e questo, a dispetto
dell’apparente anonimato, aveva decretato le sue fortune.
Ci si incontrava per caso, per sbaglio o fortuita combinazione, oppure si
rimaneva soli, coltivando indisturbati l’oblio dei propri dispiaceri; mai
nessuno scandalo al Grand Hotel, denunce o controlli della contabilità, nessuna
prenotazione online, offerte speciali e neanche recensioni.
Nel mega albergo dell’anonima città di riviera confluiva una miriade di
personaggi in incognito; gente che voleva dimenticare, leccarsi le ferite, magari
ricominciare; incontrare propri simili alla ricerca di identità stracciate,
fare amicizia tra i fumi della favolosa sauna, scambiare pareri e sconcerti
sulle guerre future al piano bar, confrontare la propria suite con quella del
dirimpettaio, o anche solo permettere soggiorni di ricostituita armonia con la
propria famiglia o col partner, finalmente non assediati dalla frenesia del mondo
esterno, quello disordinato.
Il Grand Hotel, con l’insegna confusa di vegetazione ordinata ed efficace,
ambiva all’azzeramento delle differenze sociali, accomunava l’accoglienza
creando un livello superiore, o quanto meno differente. Un terreno neutrale
dove la colazione, i discretissimi camerieri, la piscina, l’ineccepibile
reception, i rapidi ascensori, l’aperitivo in terrazza, rendevano con gli
interessi quel relax “aspettativa principale” degli ospiti. E anche negli
arredi e nello stile, i gestori avevano cercato di allinearsi ad un gusto convenzionalmente
universale, che potesse sorprendere ma
anche rassicurare allo stesso tempo,
minimalismo e classico retrò potevano sconcertare o mettere a proprio agio
negli spazi di collegamento e nelle camere, ma era d’obbligo un denominatore
comune che rendeva gli ospiti dell’albergo cittadini di un paese neutrale:
l’empatia che ognuno sembrava percepire in ogni particolare, ogni ansa di
salone, menù di apericena o rettilineo di corridoio, il conforto del
(ri)trovarsi in luoghi complici.
E così anche il ribadito anonimato di questa
narrazione alberghiera, che non intende prediligere affatto la classica e
stereotipata avventura vacanziera, elevandola a singolo racconto, ma ne vuole
evidenziare la sua Intera potenzialità (o l’accidentale inefficacia) rendendolo
versatile, adattabile, conforme ai propositi e ai desiderata di ogni singolo
ospite della struttura.
Non si tollerano aspre storie d’amore nel Grand Hotel, né liti furiose,
svelamento di conti o estreme ratio, e non se ne conserva davvero memoria; ammessi i cellulari ma con viva
raccomandazione di limitarne l’utilizzo, favorito anche dalla apposita, procurata,
assenza di copertura di rete; unico intento un riallaccio dei rapporti, il
riscoprirsi senza ipocrisie, un donarsi gli arretrati, non esclusi addii
definitivi, rese incondizionate, inquinamento dei propositi.
Per questo sono qui a rendere omaggio massimo al Contenitore a dispetto del
contenuto. Esiste solo un pacato
defluire di Tempo, quello con la T maiuscola, che scorre come sangue nelle
vene, come un battito di cuore inarrestabile e che non obbedisce ad alcuna
coordinata conosciuta.
Benvenuti al Grand Hotel, speriamo che il soggiorno sia di Vostro gradimento.
Nessun documento grazie, solo carte di credito e una minima cauzione a garanzia
della vostra felicità, sempre pensiate di esserne all’altezza: l’autentica avventura, inenarrabile e quindi
vero racconto grezzo, la mettiamo a disposizione tra i benefit, a voi coglierla.