sabato 23 novembre 2024

SIVIGLIA Y TAPAS

 

Alcazar

Siviglia ragnatela di azulejos a imbarazzare quell'istinto, che credevi unico, nel saperti districare in ogni dedalo urbano.

Invece ti sviano le cupole improvvise, i chiostri che attirano ad ogni portone anche solo accostato, i vicoli moreschi, l'eco dello scalpìccio che rimbalza tra palazzi e balconi sospesi e fioriti.

Un avventurarsi e un perdersi che rinunciano volentieri all'ausilio di ogni Google Maps.

Piazzette, crocevia e chiesine arabeggianti dove l'intrico di stucchi tra archi e pareti ubriaca l'occhio e solletica nuovi incanti. 

Le vetrine esibiscono ventagli e boccadillos saturi di spettacoloso jamon serrano, prosciutto neanche lontanamente paragonabile ai nostri tradizionali tagli di maiale, anche quelli più pregiati.

Il Palazzo Reale, l'Alcazar, è un tracimare di ceramiche e struttture in pietra ricamata, in stile arabo islamico; ci si lascia il fiato e la meraviglia si moltiplica ad ogni nuovo cortile, ad ogni volta sospesa..

La Cattedrale, in origine immensa moschea, finisce per risentire degli eccessivi influssi che tra rinascimento, barocco e neoclassico hanno preso possesso dell'originaria struttura gotico/islamica, con la navata centrale invasa da coro e altare maggiore, così come ogni cappella laterale, tripudio di ori e stucchi a snaturare l'impianto primario. Rimane comunque opera imponente e magnetica, con il suo minareto, oggi torre campanaria, dal fascino spettacolare.


E poi ceramiche ovunque, ceramica come marmo dei poveri, ma anche con una funzione di tutela e difesa: l'umidità sale dal terreno e si mangia le costruzioni, la ceramica, fragile ed eterna al contempo, unico baluardo.  







lunedì 18 novembre 2024

‘NCÒPPA A PARTHENOPE

La carrozza iniziale ideale continuum della mozzarella di E’ stata la mano di Dio. Una combinazione gastronomica part(h)enopea  appetitosa, vagamente indigesta però, se tradotta a forza in cinema.

E stavolta ci ficchiamo di tutto nella rutilante napoletanità rappresentata, mancano il mercato del pesce e le sfogliatelle ma in un ipotetico terzo atto a chiudere la trilogia, perché no?
Nei primi dieci minuti lungo videoclip di spot per profumi, ma senza il profumo; poi nasce Parthenope, splendida sirena pupazzetta con due espressioni alla Clint Eastwood, con sigaretta e senza.

Sorrentino la userà come fil rouge per legare quadretti di partenopeismo convenzionale visto e stravisto: famiglia decaduta, camorra gomorriana (con accoppiamento/iniziazione  di clan avversi), religiosità fanatica e blasfema, università bigotta con Silvio Orlando perennemente scocciato e tristanzuolo, disabili alieni, l’ambito scudetto, il temuto colera, incesti e aborti, attriciacce fuori tempo massimo, e poi perenni richiami felliniani tra il grottesco e il bizzarro, con le immancabili ciccione e gli spilungoni,  e c’è spazio pure per l’alcolista John Cheever interpretato da Gary Oldman, alla fine il meno fuori luogo nonostante la sovraesposizione di bottiglie e bicchieri vuoti.
Incessante l’interrogativo facebookiano rivolto da tutti alla nostra donna di paglia: a cosa stai pensando? Ma chissà se, pensa; la nostra bellezza di turno, desiderata da tutti.. “furbacchiona”..

La Ranieri “sofialorenizzata” intavola una catilinaria che si pennella perfettamente addosso al cinema sorrentiniano. Chissà, magari un’auto fustigazione.
C’è in atto, nel filmarsi addosso del regista, una frammentazione della trama compiaciuta del nulla narrato: l’estetica innanzitutto, e a corollario le elementari e tediose citazioncine aforistiche alla Gambardella, richiamando anche una grande bellezza perduta, come quella della Sandrelli imbruttita ancor più, come non bastasse al naturale (m’è sovvenuto pure il Cage di Longlegs).
Parthenope cresce, senza scorgere l’amore ma sfilando di continuo, sforna decolté ed esami esposti a pappagallo, ma trova anche il tempo di “ripassarsi” mezza Napoli (non osiamo immaginare poi nei quarant’anni a Trento.. magari materiale per successive pellicole,  Song ‘e Napule  suonerebbe bene..).
Circo appagato dall’esagerazione fino all’iperbolico “A dio non piace il mare”, citato enfaticamente nei titoli di coda a stupire di nuovo; un mare che non piacerebbe partecipando anche lui ai dolori esistenziali, donando vita e togliendola anche, un po’ come a Sorrentino,  cui probabilmente sta stretto il cinema e forse anche Napoli, ma si sforza di servircene una visione tutta sua..

Eppure resto fan estasiato di Young e New Pope.. e spero ancora nel rientro in carreggiata del nostro, con abbandono definitivo degli stucchevoli  ralenty e dei Cocciante di sottofondo..

martedì 12 novembre 2024

SIMULAZIONE

 


Secondo alcune teorie l’evoluzione della tecnologia permetterebbe, già oggi, la possibilità che noi tutti si esista in versione simulata.

Parlo di quotidianità corrente, esperienze sensoriali, pratiche emozionali, probabilità ed imprevisti (chi non ha mai giocato a Monopoli?) programmati da un’entità super partes.

Ma anche una simulazione della simulazione, estrema sintesi di una realtà originaria magari peggiore di qualsiasi scenario, quindi non clonata e replicata, ma autonoma e sintetica.

Come individuarla? Forse ci è concesso concepirne appena l’ipotesi.
Come queste semplici e innocue righe tentano di illustrare.
Sarebbe un’idea contro intuitiva, che tenta di superare la ragionevolezza convenzionale, che aiuterebbe a rilevare dei bug di sistema, ammesso esistano errori di programmazione, o magari anche questa è una concessione ammessa dal Sistema, del resto tutto l’Universo sembra una macchina perfetta architettata senza margini di errore.
Forse noi l’unica variabile capace di generare bellezza e caos al contempo.

Una sbavatura dei programmi, un pixel fuori posto, un virus impertinente.

Insomma siamo noi oppure no? Pirandellianamente, siamo - potenzialmente - realtà o finzione?

Forse basterebbe anche solo accettare tutti i cookies per adeguarci allo standard che qualcun altro ingegnò, magari un giorno lontano. Senza troppe altre domande.

Ma se un giorno venisse alla luce la prova provata del nostro essere una realtà simulata? Come reagiremmo? Potremo sacrificare la sospensione dell’incredulità e prendere atto che la finzione ci governi da chissà quanto?
E se uscire da questa condizione ci portasse solo danno? Se fosse stata artatamente deliberata per migliorare la nostra vita e permettere la persistenza della specie?
Ve la sentite di scovare la sbavatura, il difetto di sistema?

Potreste giocare a “dio”
senza il terrore di giungere a saperne troppo?


venerdì 8 novembre 2024

SPOLETO E RASIGLIA TOCCATA E FUGA

 

Rocca di Spoleto

Sarà un post fotografico.. due giorni a Spoleto ti volano via che è una bellezza, specie se sole e temperatura si alleano col weekend prescelto.

Duomo di Spoleto

Ancora Umbria allora, con angoli particolari, atmosfere medievali e rassicuranti, traffico zero grazie al tapis roulant sotterraneo che ti trasporta da un parcheggio fino alla Rocca, e poi giochino perfino piacevole discendere a piedi: Duomo, vicoli, straduzze fino ad immaginare Don Matteo che svicola in bicicletta.

Sulla strada del ritorno, in realtà allungando di qualche chilometro, il borghetto fiabesco di Rasiglia, tutto cascatelle e rivoli d'acqua a intersecarsi con le casette e i mulini..

 




Rasiglia










lunedì 4 novembre 2024

SOLO SORRISI

 


Voglio solo sorrisi

per ogni pensiero

che ti tiene in ostaggio.

Voglio un sorriso

ogni volta che mi guardi

ogni volta che ti senti stanca.

Un sorriso appena

hai smesso di sorridere.

Un sorriso se ti volti

e ci sono io.

E quando non ti volti,

perché ci sono lo stesso.


giovedì 31 ottobre 2024

TRAMA DEBOLE


Mi chiedevo come sviluppi un post dalla trama debole, e se un post simile si auto penalizzi in partenza.

Del resto scrivo quasi tutto, ormai, in funzione del blog, quindi dovrei disinnescare questa presunta  debolezza di trama che comunque attiva il mio pensiero, la mia gestione di vita.

Direte voi: se hai il sospetto già ti riguarda, di riflesso la proietti sulla tua scrittura, magari come alibi.

Per questo mi sforzo di perseguire una sorta di eclettismo, pizzicando svariati argomenti come un frenetico guardarmi attorno a sfuggire il déjà vu, aggrapparmi alla superficie del vivere, prendere aria irregolare, assaporare assaggiando, percependo il tutto da diverse angolazioni, solidificarle, quelle trame.  

Ma la prediligo - la trama debole - per un senso di sostegno. Voglio diffidare delle narrazioni spavalde, quelle che si impadroniscono di carta e penna e ti sopravanzano nello sviluppo divergendo le sorti e riscrivendo l’epilogo.
Offrono soddisfazione,  ti fanno sentire autore di una scintilla ma poi ti esautorano, rendendoti marginale.
Non intendo una trama che non badi a se stessa, ma ho bisogno di curarne il ricamo, gestire e sentirmi partecipe, carezzare l’intreccio, custodire la storia, avvertire che si tenga accanto, come a cercare consiglio.

E scriverne la mia arma, ma soprattutto la mia protezione.
Debolezza a esibirsi  rifugio.
E magari al prossimo post sovverto ogni intenzione.

 

venerdì 25 ottobre 2024

VINCENZO

 


Si chiamava Eleonora, sua moglie. Aveva vissuto per lei. E dopo la sua scomparsa era scomparso un po’ anche quel Vincenzo che tutti avevano imparato a conoscere, per far posto a qualcosa di nuovo.  Agli occhi degli altri, almeno.
C’era stato come uno stop, un rivalutare il mondo; mondo che lo aveva sempre affascinato e continuava, nonostante tutto, anche ora, alla soglia degli 85 anni.
Non esisteva più il senso del donare, ma il vivere una sorta di assorbimento totale, saturarsi di quel far fronte, come a riequilibrare l’assenza più importante,
a gremire i colmi della sua solitudine che gli parlavano di storie non più sue,
ma sapeva di non essere solo.

Ed allora ecco i viaggi, le letture, il cibo, i teatri; il circondarsi di bellezza a stemperare supposta malinconia, nuovi ricordi a confondere memorie inamovibili e crearne di nuove, inattese.
La sua casa museo traboccava di emozione, e lui manteneva tenacemente acceso quel tepore domestico, come le boccette di profumo, mai più spostate.
Cenava e amava raccontarsi spesso con pochi, eletti, amici fidati, ormai depositari delle sue confidenze, di intimità e affinità elettiva.

Viaggiare, adesso, era ricostituente e allo stesso tempo calmante per l’anima, una sorta di salvavita, uno smussare turbamenti ma, soprattutto, incentivo ad accumulare, riscoprire, rendere partecipe il se stesso di una volta, riverniciare dove le crepe prendono vigore e dalle quali temeva, un giorno, smettesse di trapelare la luce del ricordo, e il solo dubbio era che l’aria ne ossidasse il sapore, una stasi che non voleva né poteva permettersi.
Alimentava un moto continuo a generare solo in apparenza quel frenetico porsi
al (r)esistere, come con le rose, puntuali  ad ogni compleanno.
In realtà era un ripercorrere il suo: indossava il suo passato e se lo teneva addosso, non aveva problemi di risorse economiche o liquidità: prenotava sempre doppio coperto nelle cene dove cercava intimità, e due posti in aereo: sua moglie occupava idealmente quello vuoto, tenendogli la mano per tutto il volo.

Le visite guidate erano di coppia, ogni nuovo arredo per la casa aveva l’assenso di Eleonora, leggeva a voce alta in salotto con la luce fioca, sceglieva assieme a lei nuove uscite in libreria, e curiosi saggi in biblioteca.
Ad ogni prima teatrale lei gli sistemava la cravatta, quella regalata all’ultimo compleanno, alla fine testimoniavano gioia autentica, ed Eleonora era sempre nell’ultimo eco di applauso.