Ha
preteso molto Stiller da questa sua creatura, ci sorprende fin dai titoli di presentazione incastonati nell'ambiente metropolitano, se l'è rischiata per
bene e, a mio giudizio, ne esce promosso sfrecciandosela via in
skateboard... lontano dai tipresentoinostriivostriiloro..
Il
film è il remake del glorioso omonimo, animato da Danny Kaye nel
1947 e già sorprende, curiosando su Wikipedia, quanti illustri
fenomeni ne avessero adocchiato il riadattamento da almeno una
quindicina d'anni, senza però quagliare mai, da Jim Carrey a Johnny
Depp, da Ron Howard e Steven Spielberg fino a Gore Verbinski.
Ma
finalmente tocca a lui, e forrestgumpando di buona lena, il nostro
Ben cava ben più di un ragno dal buco, esaltandosi in quella che,
almeno alla regia, è diventata una sua peculiarità, come nel
fantastico Tropic Thunder, vale a dire contaminare sorriso e poesia
in armonica combinazione.
La
storia è lieve, i connotati da giallo sembrano appena una farloccata
camilleristica ma servono solo da spunto per seguir da vicino (ma
anche da dentro quasi) l'evoluzione della bolla emotiva che racchiude
il nostro travet, rotellina semi invisibile, ma determinante, della
rivista Life Magazine, in una sorta di esistenza risicata dove solo
trance di incanti temporanei,
lo esaltano quale protagonista assoluto di atti eroici e rivalse verso
la dura ed impietosa realtà.
Stiller
ci appassiona, dopo una partenza in sordina, dove in episodi come
il salvataggio di un albergo in fiamme ci aspettavamo da un
momento all'altro la cassiera col resto delle Vigorsol, ed assieme alla
parodia benjaminbuttoniana, finisce per forzare in negativo una
struttura che, invece, mira alto.
E
quando la pur iperfantastica realtà, sgomita per farsi spazio nella
vita fino allora solo sognata di Ben, iniziamo a far parte del
miraggio anche noi, grazie a scelte tutte azzeccate, viaggiando per
mondi mooolto Life
Magazine, stupiti da special effects niente affatto malvagi, inseguiti da
vulcani in eruzione o giocando a pallone con gli sherpa e dove anche
pochi minuti di peschereccio in pieno oceano, restituiscono una
sensazione di mare feroce che neanche tutto il velistico In solitario
era riuscito a trasmettere; un peregrinare avventuroso ed immortalato
da splendide istantanee, a caccia di un Sean Penn,
fotografo
poeticamente selvatico, qui in una breve apparizione che riscatta da
sola le sue ultime eccentriche forzature di The Tree of life e This
must be the place.
Il
lato vita d'uffico è quello che convince probabilmente di meno, col
tagliatore di teste di turno (Adam Scott) disegnato forse troppo da
scemo, e l'impiegata segretamente - pure lei - amata (Kristen Wiig), promossa
principalmente per le incredibili affinità somatiche con Jennifer
Aniston, avvertiamo qualche pausa di sonno rem di troppo tra un sogno
visionario e l'altro, qualche dialogo s'incarta di solluccheroso
anonimato, qualche scena di inevitabile déjà vu (come quando
insegna le basi dello skate al figlio del suo oggetto del desiderio
senza che questa, impegnata al telefono, riesca mai a coglierne la
minima evoluzione),
ma oggi perdoniamo tutto, ribadendo che certe
chicche di neanche troppa magia registica, come quando Ben
s'allontana dal pc che rimane in primo piano mentre lui va sfocando
in lontananza, dovrebbero essere l'abc di un qualsiasi cinema che
pretenda una sorta di distacco dalle convenzioni.
Noi,
intanto, ci siamo girati mezzo mondo ieri, e pace se, per aggiornare
il nostro profilo “posti visitati”, potremo solo inventarcela una passeggiata sulla cresta dell'Himalaya...