Finalmente anche io, complice ovviamente questo virus
che impazza, ho potuto completare le prime due serie, con rapina alla Zecca di
Stato spagnola, che animano la celebrata telenovela targata Netflix, avventurandomi
anche nelle due stagioni successive ..
Una serie che prende pieno e facile spunto dal
famosissimo Inside man, di Spike Lee,
(anche lui non esente da vistose toppe di sceneggiatura), con rapinatori
e rapinati - volenti o nolenti - tendenti alla facile ibridazione e che
persegue un solo, più volte dichiarato, leitmotiv: guadagnare tempo, che ai ladri serve per riuscire nelle
loro malefatte tamponando gli interventi della polizia, e agli sceneggiatori
per allungare il brodo con trame e flashbackes sempre più contorti per arrivare
almeno ad un'altra una decina di serie..
Che dire.
Inevitabile sottolineare come ormai la gente tenda ad
accontentarsi.
Del resto, se con un minimo di storia riesco a
racimolare attenzione fin oltre l’inverosimile,
così come accade in tanti campi - politico, economico, sportivo, sociale
-, perché questo non dovrebbe accadere nell’ambito dello spettacolo? Nonostante
si voglia narrare non di fantascienza, ma
di teorica, perseguibile, realtà..
Ma allora, direte voi, se fa tanto ridere ‘sta fiction,
come mai ti sei visto oltre trenta episodi ?!?
Semplice: la serie attira, avvince, scorre, è ricca di
colpi di scena, invenzioni ed escamotages, svariati espedienti ed una
effervescenza che non lascia respirare, rarissimi i tempi morti (almeno nelle
prime due serie), nonostante si finisca per forza di cose col diluire
situazioni e pathos; i personaggi sono molteplici, poliedrici, interessanti
e particolari (anche troppo), anche se
tutti più o meno isterici e schizofrenici, e tutti con il loro fascino (tranne
Arturito ..che personalmente avrei ammazzato nel prologo della prima puntata…)
nonostante siano assemblati con criteri che neanche il più savio dei capobanda
avrebbe mai scelto (fortissima la premessa che nessuno doveva conoscersi e
nessun legame affettivo avrebbe dovuto compromettere la missione...ahahah…) ma
tant’è..
le vuoi fare una quarantina de puntate (tra serie 1,
2, 3, 4 e oltre..)?!
Qualcosa ti devi pur inventare..
Ed ecco il punto…
quando “crei” colpi di scena a ripetizione finisci con
lo scadere nell’assurdo, nell’impossibile, quando non addirittura nel ridicolo…
e si riesce con lo svilire anche le non poche botte di pura genialità,
annacquandole con tante, davvero troppe, situazioni scoordinate, ridicole e grossolane…
quando i richiami al mitico Tarantino diventano troppo
frequenti fino a perdere di ogni mordente, specialmente coi reiterati “stalli
alla messicana” dove nessuno spara mai e
anche se qualcuno spara al massimo ci scappa un ferito..
quando il modello Robin Hood ancora riesce a far
proseliti anche solo facendo passare per lazzaroni governi centrali e BCE...
quando il ritmo da telenovela prende il sopravvento..
quando ti rendi conto che oltre i mitici otto
iniziali, c’è un manipolo di “non protagonisti” che risolve di tutto e di più
(da fuori) cavando castagne dal fuoco a ritmi industriali e che sarebbero,
quelli sì-, in grado di eseguire ogni direttiva senza, nell’ordine:
innamorarsi, dar di matto, rimorchiare gli ostaggi,
trasgredire i compiti, nutrire sensi di colpa, diventare nostalgici,
ingelosirsi, litigare con i compagni …
ecco, quando accade tutto questo, diventa un peccato
perché a lungo andare, si deprezza inevitabilmente il molto di buono scaturito
dalla fantasia degli autori e tu che, comunque, lo conservi quell’attimo di
buon senso, finisci per mandare tutti a cagare…
perché arriva il momento in cui non puoi più concepire
come mai i cecchini degli assalti speciali siano sempre e comunque degli
incapaci che col fucile in mano ci
prendano una volta su dodicimila, che non ti capaciti come il Nostro
(l’ineffabile cervello della mega rapina), riesca sempre a trovarsi al posto
giusto, nel momento giusto e che se anche in difficoltà se la cavi
costantemente per il rotto della cuffia, nonostante che dopo una ventina di
puntate la cuffia si stia miseramente sbrindellando e più che altro, ci si
arrampica volenterosamente sugli innumerevoli specchi forniti dalla regia, e
ormai non fai più affidamento neanche sui servizi spagnoli tutti composti da
tanti piccoli gianniepinotto, che vanno sputtanandosi l’un l’altro senza
soluzione di continuità...
Perché anche la “sospensione dell’incredulità”, vale a
dire quel fenomeno che coinvolge chi - a dispetto di qualche situazione tirata
molto per i capelli - si lascia trascinare piacevolmente da una storia
intrigante, ha comunque i suoi limiti…e non ci mette molto a diventare "insulto all'intelligenza".
Ma questa botta di lucidità non illumina tutti, pochi anzi, in verità, perché
la maggioranza si accontenta, finisce col tifare per i più deboli, si
affeziona, e come in una gigantesca sindrome di Stoccolma, chiamata in ballo a
più riprese, per giustificare ripetuti voltafaccia, il pubblico inizia ad amare
i “bandidos”, e come in una cieca nemesi, finisce col parteggiare per loro
permettendogli qualsiasi nefandezza sceneggiaturiale.
Questo alla fine accade ne La Casa di Carta.
Storia di rapine infinite, dove i “cattivi” la
svangheranno sempre, come in un Diabolik qualsiasi, fino alla diciassettesima
serie dove ruberanno tutti gli Arcangeli dal Paradiso, convertendo San Pietro
in angelico rapinatore paladino dei diritti terrestri...