THE POST
Perché
non rimarrà nella storia come Tutti gli uomini del Presidente? Forse
per l'eccessiva lentezza, per la poco spettacolarità, per le non
così eccelse performances di Hanks e Streep, e tutto questo
nonostante le rivelazioni di The post siano, almeno a mio avviso,
infinitamente più devastanti di quelle del Watergate.
Il
doppiaggio italiano stavolta credo non renda ampia giustizia,
specialmente a Meryl Streep. La storica Maria Pia Tempestini la
dipinge alquanto lagnosetta, e anche Tom Hanks appare fumettistico e
dedito al ghigno perenne.
La
regia di Spielberg risulta eccessivamente pacata, da compitino
sufficiente, con una prima parte addirittura propedeutica al
sonnecchiamento, senza alcuno strappo alla spettacolarità, o alla
zampata d'autore.
Un'ode
alla libertà di stampa che viaggia senza strappi verso il classico
finale.
Vero
che la vicenda tocca Nixon giusto di striscio, ma è lecito pensare
che senza l'immediato successivo Watergate, al Washington Post una
sonora lezione, economica e politica, non sarebbe stata risparmiata,
nonostante il celebrato
“la
stampa deve servire i governati, non i governanti”.
Il
Vietnam resta una ferita tuttora aperta, una macchia indelebile, la
prova di come la cocciutaggine statunitense abbia preferito ordire
nell'ombra piuttosto che dare ascolto al Paese.
Ma
la Stampa, quella con la S maiuscola, quella che ormai non vive più
di ideali, era davvero un quarto potere allora. Poteva sovvertire il
pensiero, ribaltare un'idea. Sogno campagne simili oggi, qualcuno che
scoperchi il vaso di Ustica, che ci difenda dalle trame occulte, che
denunci a spada tratta.
Ma
sono decisamente altri tempi.
Magari
è ora che il Cinema si accolli queste responsabilità.
Prima
che venga imbavagliato anche lui.
L'ORA PIU' BUIA
Non
posso nascondere che, alla luce della precedente visione del
nolaniano Dunkirk, le vicende che vedono Churchill protagonista,
rendono meno giustizia all’enfasi ed all’imponenza degli eventi.
Quest’ora
buia si avviluppa tutta attorno alla personalità debordante di Sir
Winston Churchill, inviso ai reali e al Governo, ma capace di far
leva sull’amor proprio e sul, neanche troppo nascosto, aiuto del
Nuovo Continente.
La
regia ce lo introduce scenograficamente, col suo perenne sigaro a far
luce sul volto trasformato di un magnifico Gary Oldman, costretto ad
ore di trucco ad ogni inizio ripresa.
Magari
ne esce fuori un ritratto troppo gigionistico, teso a suscitare
simpatia e feeling, come nell'assolutamente inventata scena che lo
vede protagonista nella metro londinese, a disquisire amabilmente con
la popolazione comune, ma tutto va bene per marcare il carattere
deciso e cocciuto di Churchill, la sua determinata scelta di
contrastare il pericolo nazista incombente, i suoi giorni di potere
decisionale scanditi tra telegrammi dettati alla fedele segretaria ed
a riunioni di gabinetto militare negli infiniti cunicoli blindati
dove si discutevano le sorti di una guerra incerta, e di un epilogo
ancor più oscuro.
Una
guerra tutta da interni. Di fumo di sigaro, di ripicche parlamentari,
di alleanze e tradimenti, di urla stridule; una guerra appesa
all'epica della parola.
“Combatteremo
sulle spiagge, sui campi, nelle strade e sulle colline”
Certo
poi toccherà ad altri rimetterci la pelle.
Ma
ha sempre “funzionato” così.