giovedì 13 aprile 2017

CONDIZIONAMENTI RIFLESSI


Ma a voi succede mai che la vostra casa vi ..“condizioni” in qualche modo?

Vale a dire.. subite delle sudditanze, come una specie di influenza che genera comportamenti e modi di fare legati solo e soltanto alla presenza/assenza della vostra amata dolce casa?

Mi spiego con qualche esempio: io porto l'orologio, come credo la stragrande maggioranza di voi, lo porto anche dieci/dodici ore al giorno ma nell'attimo in cui varco la soglia di casa, quello stesso orologio diviene un fastidioso orpello che mi occlude il polso e lo devo togliere all'istante. Così come, se mi capita di uscire senza, appena fuori avverto subito la sua mancanza al braccio, come se all'improvviso avvertissi l'assenza di un pezzo di pelle, di fisico.. cose folli solo a pensarci..

oppure.. ancora più fastidioso.. posso stare serenamente ore senza fare pipì.. ma come arrivo a casa.. è come se il cervello avvertisse il sistema urinario che può di botto mollare le difese.. siamo a casa! Il bagno è finalmente disponibile!! Evviva!!! … solo che tutta questa comunicazione neuronale avviene sempre mentre sto ancora fuori della porta.. e cioè quando non ho ancora messo neanche la chiave nella toppa!!! ..anzi spesso quando ancora non trovo neanche le chiavi!!.. e mi porta ogni volta a rischio altissimo di farmela praticamente addosso!!! Non immaginate le volte che sono andato di corsa in bagno, e miracolosamente in tempo, con tutto il cappotto addosso!!!



Ora mi sono sempre chiesto... hai potuto aspettare tot ore senza nessuno stimolo.. un altro minutino no eh?! Come puoi sbragare così repentinamente come un incontinente qualsiasi?
Non sopporto questa mia debolezza in vista della home sweet home... ma non ancora matematicamente in tempo utile... cazzarola!!

Come si spiega tutto ciò? A qualcuno di voi capitano episodi simili? Ditemi di si per favore.. non lasciatemi solo vi prego!!!




martedì 11 aprile 2017

MI DICA PURE


Analista - Buongiorno

Paziente - Buongiorno a lei.. mi scusi.. ma sono un po' nervoso

A - Capisco, ma non c'è da preoccuparsi.. come mai ha deciso di consultare uno psicoterapeuta?

P - Oddio.. forse vorrei una risposta da lei anche a questa domanda..

A - Di solito c'è bisogno di essere ascoltati, neanche compresi, soprattutto ascoltati..

P - Io ho già molti amici cari, e magari qualche evento traumatico di troppo, perdita di persone care, paura di ulteriori privazioni di certezze materiali e di salute, mancanza di fiducia in me stesso, timore del futuro e inadeguatezza nell'affrontarlo senza poterlo pianificare.. da qui ansia e insicurezza, un'ansia della quale mi rendo conto... incapacità di godermi appieno il quotidiano, anche solo le piccole cose belle, le cose più semplici..

A - Ci sarebbe la politica dei piccoli passi, non farsi schiacciare dalle paure ma anche schivare l'immobilità, il tenere tutto fermo poiché rassicurante, come un castello di carte che rischia di cadere al minimo soffio. A volte si cristallizza la vita temendo vada in frantumi, ma si accumula solo polvere.. e bisogna guardare avanti, senza progetti pazzeschi.. a vista, ma navigare, uscire dal porto.

P - Mah.. io non mi sento immobile, ho la mia vita, i miei amici, i parenti, sono curioso, mi interesso, leggo, vedo mostre...


A - Strano sia qui da me allora...

P - Forse per un senso di irrisolto, di incompiuto, qualcosa che forse avverto che mi blocca ma che non saprei esprimerle.. pensavo davvero che lei fornisse diagnosi e conseguente valutazione.. le grandi decisioni mi allarmano, tendo ad adagiarmi e rimandare, ma anche le piccole variazioni, ancorché programmate, rimangono spesso lettera morta. Chiedo concessioni al tempo e alla mia pochissima voglia di variare stati di cose cui tendo ad affezionarmi.

A - In realtà lei subisce certi stati, senza reagire. Paura che il presunto equilibrio faticosamente tirato su, le si sgretoli attorno alla minima variazione.
Lei pensa che da me vengano persone fragili? Da me vengono persone forti, convinte di esserlo. Persone che vogliono solo conferme, una definitiva rassicurazione. Un passaporto di fluidità di pensiero rilasciato da un ente autorevole.
Io dovrei farle contente, assecondarle, ma non farei il bene della mia categoria. Purtroppo tanti colleghi si crogiolano sulla loro presunta “autorevolezza”, condizionando il paziente, lasciando che percorra la sua vita senza scosse, forniscono solo un autorevole ok a ciò che il paziente ha già scelto di subire per se. Non prospettano scenari diversi, perché quel “diverso” potrebbe allontanarli da loro.
Lei cosa crede che io, davvero, possa offrirle? Ci pensi.


P - Non saprei.. forse si.. un conforto riguardo il mio modo di gestire la vita.

A - No. Non posso rassicurarla. Sarebbe anche offensivo nei suoi confronti. Se si sentisse a posto non verrebbe da me. Se non avesse bisogno di aiuto, aiuto certificato, le basterebbero i suoi amici, i suoi svaghi, le sue passioni, le sue certezze. Ma io non posso certo coadiuvarla. Devo trovare anzi un antidoto contro le sue presunte sicurezze, contro ciò che rassicura lei, ma destabilizzerebbe chiunque altro.

P - A me non sembra di avere comportamenti .. destabilizzanti, come dice lei, o che semplicemente creino imbarazzo. Ho i miei modi di fare, abitudini radicate negli anni si, ma ..tutte cose che rientrano in una normale consuetudine. Certo sono pigro, incostante, preoccupato, temo i cambiamenti, le novità.. roba che genera ansia.. ma immagino sia logico, credo che lo riscontri anche in altri pazienti..

A - Oh certo. Dice bene. In altri pazienti, anche se non è la regola. La regola sarebbe non aver bisogno di venire da me. La regola sarebbe non essere paziente, auto analizzarsi e risolvere ogni minima bega con un espediente fantastico che porterebbe all'estinzione della mia categoria: l'obiettività. Una capacità potenzialmente patrimonio di tutti, e cioè l'abilità di guardarci non dall'interno, ma da fuori. Riusciamo di rado, e vale anche per me guardi, a porci idealmente fuori da noi stessi, osservarci come al cinema, noi in poltrona e sempre noi, sullo schermo. Un film che pensiamo a priori di conoscere a memoria, e che invece, osservato con l'esatto distacco, la necessaria obiettività, potrà solo che stupirci.
P - Da un lato mi sta come confondendo..

A - Quale lato? Ecco.. mi interessa.. l'ascolto..

P - Ma era come un modo di dire.. nel senso che sparigliare le carte come fa lei mi spiazza.. confondere i ruoli e i punti di vista.. io vorrei sempre tutto sotto una luce ampia e chiara, nulla che non sia ben distinguibile, temo le ambiguità forse, i malintesi.. per questo forse non vado mai a fondo con le persone, rimango in superficie.. magari per paura di urtare le suscettibilità, di alterare equilibri, di creare malintesi...

A - Così perde in naturalezza, in spontaneità. Si rischia il rapporto falsato, permeato di intenzioni sottaciute e interrogativi chiusi nel cassetto. Da un lato più facile, decisamente meno conflittuale ma incline alla superficialità. Lei deve sfruttare chi le gravità attorno, ed è un discorso bilaterale, una necessità profonda che prevede un do ut des da entrambe le parti, un reciproco arricchimento.
Diciamo pure che per oggi può bastare.

Può parlare con la segretaria per la parcella. Sono 150 euro. L'aspetto lunedì allora.   

giovedì 6 aprile 2017

AFFAR(ACC)I COSTITUZIONALI



Nella ormai abituale spartizione di cariche e poltrone, ieri al Senato si è data vita all'ennesima  ridicola pantomima.

Procedendo ad una votazione (a scrutinio segreto) per assegnare ufficialmente la Commissione Affari Costituzionali ad un elemento PD deciso poco prima al Bar del Senato.

Poi si è votato, cosi per sport, tanto per giustificare stipendi, vitalizi e pensioni, e per colpa di qualche bontempone monello, la carica è andata ad un ometto di Alfano.

Al quale giustamente è stato chiesto, poi, di dimettersi, perché al Bar del Senato la scelta era caduta su un altro.

Ora mi chiedo io... cosa serve ancora per delegittimare questi quattro buffoni di corte, questi pupazzi  dediti solo ai loro affari di pianerottolo?!


lunedì 3 aprile 2017

OTTO MESI


Otto mesi che non lavoro. Vittima di una sciocca caduta, e di circostanze ulteriori che continuano ad accavallarsi ritardando la necessaria fisioterapia, prima un'infezione alla protesi, poi calcoli improvvisi con relativa asportazione di colecisti.

Otto mesi di tempo sospeso, di pensieri lenti, di relazioni interrotte, di legami che nascono, di persone che svaniscono (a sorpresa), di altre che ci sono (a sorpresa), di rapporti confermati, di affetti consolidati, di parole carine, di sorrisi, di tempo per tanto altro, di persone che dicono di non preoccuparti, di altre che affermano di non coltivare aspettative, e di tempo che comunque non si trova.

Di sguardi dove avevo dimenticato di guardare, di parole non lette con la dovuta attenzione, di altre pronunciate con ritardo, di idee pensate senza riflettere troppo. Perché il tempo si dilata a dismisura, e si sparge come olio sulla tovaglia, refrattario al nostro fare ordine.

Otto mesi che a guardare dietro viene la vertigine, e a guardare avanti una strana consapevolezza.

Quella di vivere tutto il da vivere accarezzandolo per bene.  

lunedì 20 marzo 2017

PRONTO SOCCORSO


Ritrovarsi dalla vita reale proiettati in un pronto soccorso, è un po' come vivere un'allucinante avventura che ti scaglia in un mondo immaginario, fino a qualche ora prima verificabile solo su rassicuranti e distaccate serie tv.

Basta una colica, che tu scambi che per un normale mal di pancia, con vomito annesso.
Solo che inizi a mezzanotte e dopo 12 ore non accenna a calare, e tua moglie decide di portarti al Pronto Soccorso, e tu ti fai portare, perché stavolta senti qualcosa di troppo storto.
Pronto Soccorso di una grande metropoli.
Lasci la civiltà, e ti accomodi nel caos.

Anzi.. gli dici che stai a pezzi e ti accettano quasi subito, prelievo del sangue, pressione, elettrocardiogramma, maglietta bagnata per poterti attaccare gli elettrodi, ti manipolano un attimo, ti chiedono se sei allergico.
Poi via, primo step, piazzato in un limbo di abbandonati.
Terra di nessuno. Puoi lamentarti, urlare, bestemmiare.
Finché non chiamano proprio te, nessuno ti si fila.

Dopo un paio d'ore arriva il tuo turno e allora, si, giungi nel fulcro, quasi tutti in barella, un immenso corridoio gomito a gomito spesso, una striscia di Gaza che ti divide da una diagnosi ancora miraggio - talvolta separati da tendine volanti sospese al soffitto - alla pura attesa abulica e vuota.
Arriva un medico, mi tasta l'addome, mi chiede cosa ho mangiato, cosa ho preso.. Buscopan e Antispasmina colica, gli dico. Il dolore è fisso? Si.. suggerisco Maalox che l'infermiera all'accettazione aveva nominato. Sembrano prendere la palla al balzo, mi preparano un bicchierino. Ingurgito, ma nulla, neanche dopo un po', avrei preferito un placebo...


Passa il tempo. Non c'è posto al reparto, tanto meno nei pochi letti di pronto soccorso. Ogni tanto ti spostano più in là, più a destra o a sinistra, se cercano qualcuno urlano il tuo cognome in corridoio, strillano tutti, infermiere e infermieri, sono frenetici, formichine impazzite.
Una foga da stress, da iperattività, da disorganizzazione, da qualcosa che faccio fatica ad accettare, anche perché non sono lì come osservatore, ma chiamato in piena causa, a scorgere qualcuno che ti rivolga un segnale, che ti allevi uno spasmo; mi sembra tutto fuori giri, asincrono.

I dolori sono costanti, si prepara la notte, di dormire non se ne parla. Avevo sentito parlare di “visita”.. alle due mi alzo e mi avvicino al bunker con medici e infermieri di turno.
Scusate ma passa qualcuno poi? “Perché sta male?” (no sono in gita premio... mi verrebbe da dire, ma mi trattengo).
Si, il dolore è uguale.. “Torni sulla barella, ora vediamo. Il blitz ha smosso qualcosa, dopo neanche cinque minuti mi chiamano per una ecografia notturna..
Ce la fai ad arrivare fino a Radiologia? sono cento metri, giù in fondo..”

ce la faccio...

Dall'eco si evidenziano calcoli. Quindici ore per passare da un ostinato mal di pancia, a calcoli alla colecisti.
Mi attaccano il “rubinetto”, la sondina per le flebo multiple, e partono antibiotici.
E dormo pure un pochino, a strappi, girandomi di continuo da un lato e dall'altro, per attenuare il disagio, le fitte e l'arsura.
Al mattino il corridoio è una piccola Kabul, barelle alla deriva, continui arrivi, stento a collegare facce e corpi della sera prima, consulti in comunità, prelievi col fiato addosso.
Sottraggo, con la preghiera, una bottiglietta d'acqua ad un umanissimo infermiere che mi ricorda mille volte “Te la do, ma puoi solo bagnarti le labbra, mi raccomando”


In mattinata ci scappa il letto, ma sempre di Pronto Soccorso, abbandono il corridoio di disperati, ma sto a stretto contatto con medici e personale che litigano fra loro, coi sottoposti, come in un'emergenza continua, e con i parenti anche, che devono sfruttare le risicatissime finestre di visita ai pazienti per riuscire ad avere qualche notizia.

Giunge voce di un posto letto al reparto Chirurgia. Il medico di turno dice a mia moglie “Attenda fuori che tra due ore sale al reparto e lo raggiunge. Ne passano 7 di ore. Mia moglie è stravolta. L'antibiotico inizia a lenire i dolori, restano fitte quando respiro a fondo.

Dopo una cinquantina d'ore, finalmente salgo dagli inferi alla Chirurgia. All'infermiera che mi accompagna in sedia a rotelle chiedo.. ma vi pagano seimila euro al mese o siete in punizione?
Siamo in punizione” conferma “chi non riesce a schiodare.. resta là”

Giungo al reparto, stanza per me, letto fresco, camera accogliente, nugolo di infermierine e attenzioni, silenzio, e pace, soprattutto.
Una quiete irreale.

E non siamo a Villa Stuart (nota clinica romana esclusiva per vip e calciatori ...), è sempre ospedale.
Ma un altro pianeta. Non c'è conflitto, non esiste frenetico delirio, i parenti sono tollerati; ti controllano gli aghi, le flebo, le fasciature, ti chiedono come stai, cosa hai fatto, come ti chiami, come ti senti... ma quando gli accenni alla situazione del Pronto Soccorso, nicchiano, sono restii a parlarne.

Lo sanno che c'è un “altro” ospedale.. ma è distante.. e vogliono restarne distanti.

Ovviamente sono estremi i richiami a Gaza o Kabul, ma servono ad evidenziare questa disparità di condizione di lavoro.
Li pagherei triplo veramente questi infermieri e paramedici di Pronto Soccorso che si fanno in quattro, e che non possono far altro con i mezzi e i turni che hanno, la prima accoglienza rischia di tarare psichicamente soggetti già fragili, e minare la fiducia nel pubblico servizio.
Se spesso non avviene, è grazie a queste persone che si immolano in condizioni proibitive, che riescono a donarti un sorriso vagante anche mentre sei sbattuto alla deriva, senza sapere minimamente cosa ti attende. E quando.




giovedì 2 marzo 2017

TESSERE UN TOT AL KILO


La barzelletta della fila per le tessere rende ridicoli protagonisti e coprotagonisti.
I partiti sono ben oltre la frutta ormai.... ed il conto lo stanno facendo pagare a noi.

Che poi, dico io, se il Paese andasse a gonfie vele sarei anche disposto a sopportare questo saccheggio continuo, questa corsa al potere dissoluto nelle alte sfere...

Ma non è così. Continuano ad arricchirsi in pochi ed il popolo arranca.

Vediamo fino a quando saremo in grado di assistere immobili a questa ormai patetica commedia..

mercoledì 1 marzo 2017

IL FENOMENO "MONTALBANOSONO"



Non vorrei risultare monotono ma qualcuno ha visto ieri il nuovo Montalbano con l'episodio Un covo di zoccole vipere?

Ma come si fa, dico io.

Due ore e trenta di fuffa per un presunto gialletto all'italiana?

Due ore e trenta di commediola e aria fritta, quel “montalbanosono” che agisce circondato da un'umanità più o meno variegata, ma tutta accomunata da un quoziente intellettivo assimilabile a quello delle scimmiette del Circo Medrano (e temo di fargli torto, alle scimmiette..), e senza che dal medesimo standard si discostino neanche i cattivi di turno, ad ogni puntata più sprovveduti, maldestri e tontoloni.

Perché, ci chiediamo, piacciono queste messinscene arruffate, riscuotendo devastanti consensi?

Ci sarebbe da scomodare una delle fenomenologie del compianto Eco: bisogno di rassicurazione? 
Necessità di non spremere troppo il cervello (non sempre si può stare appresso ai machiavelli di N.C.I.S., Elementary o Colombo)? Illusione che gli arzigogoli e le strampalaterie a cui ci sottopongono Montalbano ed i suoi sottoposti, siano il sale ed il pane quotidiano del poliziotto comune, e servano a rendercelo meno distante dai fantasmagoricamente acrobatici James Bond od Ocean's Eleven?


Come il Mike fenomenologico evocato poc'anzi, il nostro commissario rispecchia la media della media, anzi, è bruttarello e stortignaccolo, ma recupera in simpatia (!?), un po' Paolino Paperino ed un po' Gastone (per come risolve i casi quasi sempre a botte di cu... ops!.. fortuna...), con la fidanzata che appare e scompare (non come la fantomatica moglie di Colombo...), la nuotata scomposta, l'impaccio che vuol apparire spontaneo; spesso viene messo in mezzo, ma appare sempre padrone della situazione; gli piace mangiare, è sensibile al fascino femminile, educato e rispettoso delle amicizie, insomma, esprime le aspettative di quei sette/otto milioni di spettatori (masculi e fimmine) a puntata.

E ogni puntata viaggia con personaggini di contorno divenuti ormai centrali, avanspettacolo puro, e chiacchiere, pranzi, colazioni, cene, tramonti sul terrazzino, appostamenti, e poi richiacchiere, indizi, sospetti, montagne di prove non esaminate (in questo c'è addirittura una suicida che passa per una che muore durante una nuotata - in camicia da notte -), e poi cenette e pranzetti, questori e pm dementi, medici legali grevi e panzoni, lettere anonime a pacchi, ovviamente donne smignottegianti come se piovesse (tutte in quel paesino stanno..), caratteristi da manicomio e, al termine di tutta una storia contorta, la soluzione inaspettata (inaspettata perché non c'entra nulla con tutto quello che ha preceduto e con tutti gli sviamenti proposti), e perché no, mettiamoci un'ospitata per farci una storia a parte, che di rimbalzissimo sfiora la storia principale, stavolta tocca al barbone Haber perfettamente a suo agio nel suo personaggio approssimativo (circondato dall'approssimazione..).


Ma tanto al fruitore medio non gliene importa nulla del giallo... il fruitore medio si fa due risatine con Montalbano, le amanti, i poliziotti scemi e l'ospite della puntata.. alla fine di due ore manco si ricorda cosa è successo all'inizio.. il giallo è una scusa, potresti fornire loro qualsiasi finale... vedono il telefilm come Sanremo... 
Deprimente davvero.

I gialli(?!) di Camilleri hanno un denominatore comune.
Partono sempre con un finale definito.
Omicidio, furto, imbroglio o quel che l'è.

Poi s'aggrovigliano a ritroso, imbastendo una storia, il più contorta possibile, senza ne' capo ne' coda rispetto alla soluzione prestabilita. 
Se ne i classici l'assassino è sempre il maggiordomo, con Camilleri che raschia il barile, l'assassinio è minimo il nonno del maggiordomo. E non escludo che tra un po' le vittime le farà ammazzare da uno che viene da un altro telefilm. 
Tutti i protagonisti agiscono come burattini indipendenti rispetto all'economia di quella che dovrebbe/potrebbe essere una trama sensata.

Come se Camilleri partisse dall'evento efferato per risalire indietro in modo da riempire le interminabili due ore dello sceneggiato (compresi una ventina di minuti di pubblicità, ovvio).

Un metodo pure quello. E purtroppo funziona pure.

Sono scemi quelli di Elementary, che escogitano ogni volta meccanismi thriller da paura...