Arduo il
sunto di Tarantino, bisunto di sangue e odio. Western stufato e
spezzatino. Camini a scaldare nella bufera, porte inchiodate alle
bell'e meglio con la tormenta a scardinare da fuori.
Mentre
dentro ci si scardina in tutt'altra maniera.
Alla
Tarantino.
Più
spezzatino che stufato in realtà. A tavola coi loro cucchiai tenuti
a pala, e quelle ciotole fumanti di carne ribollita, ti viene in
mente nonna papera e le sue leccornie, nonostante sappia nel tuo
intimo che ogni boccone può strozzartisi in gola.
Spezzatino
di ossa e uomini.
Un emporio
claustrofobico, e fuori solo tempesta.
Tempesta di
neve che sentiamo addosso.
Il gabbiotto
cesso a cento metri. Con una corda a guida, sequenza che da sola
vale un film.
Ma per
cagarsi sotto basterà rimanere tutti dentro, in bunueliana memoria.
Tarantino
gira da tutte le angolazioni, sfrucuglia ogni punto di vista.
Se esce
dalla casa usciamo anche noi, viene da mettersi il cappotto. Se
rientra c'accostiamo al camino a riprenderci dal gelo
Un buco di
locale diventa esterno, spazio da riempire. Spazio da svuotare.
Spesso
capita di non catalogare subito un fotogramma tanto è illuminante
(“Da dove sta riprendendo?” è la domanda che ci si pone appena
ripresi dallo stupore.. e il gioco di parole non lo scuso.. ci sta
tutto).
Quindi non
siamo noi a vedere il film.
Ma lui
stesso a scovare in noi la capacità di scorgerlo.
Coi forward
e i rewind, gli sfumati e i ralenty, i contro tempi e i contro spazi.
I dall'alto,
i dal basso e i dal fuori.
I dialoghi
cadenzati che scavano i personaggi e li scolpiscono
tridimensionalmente, e noi spesso a non comprendere e a supporre, e
far tesoro di input, silenzi, ghigni, metafore, ammiccamenti minacce,
sospetti.. tutto tra piani di ripresa che si accavallano, o scorrono
su binari che sfidano ogni ordine di logica visiva.
I flash back ci
proiettano indietro e avanti.
Siamo
inchiodati in poltrona, e sballottati nello stesso tempo.
In frenetica
diligenza o in un emporio dove solo il tempo è cristallizzato.
Eppure il
plot non reclama importanza.
Per quanto
di mega thriller si tratti. A tutti gli effetti.
Morricone
disegna la sua musica scolpendola su un crocifisso in legno che parla
sotto la neve, in un incipit che inchioda l'occhio assieme a quei
polsi e fa
capire che ci rimarrà giusto la preghiera.
A tutti rimarrà forse
solo una preghiera.
La storia di
cacciatori di taglie ed ex combattenti di guerre civili si
intersecano e vomitano - letteralmente - su ipocrisie e nuovi
orizzonti di vita.
Fanno a
pezzi un passato di lotta fratricida, di razzismo ancora fresco, di
odio e vilipendio.
Si uccide in
un amen, ci si commuove per una lettera, si tradisce e si ama.
Tutti contro
tutti. Tutti contro tutto.
Tarantino
che pesca e disegna (col sangue) almeno una Jennifer Jason Leigh
monumentale, angelo evocato con le ciaspole per ali, e un Samuel L.
Jackson da urlo, anche quando le sue sentenze le sospira appena.
Ma tutti gli
“otto odiosi” si riveleranno lentamente, col freddo e la condensa
che entrano in sala, come se indossassimo occhialini da 3D, col tiro
di carrozza a sei cavalli che ci fruscia neve fresca addosso.
Lentamente.
Come melassa che cola, come sangue a rapprendersi.
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"...voi neanche immaginate... " |