lunedì 1 marzo 2021

VIOLAZIONE DI FUTURO

Quella macchinetta digitale 

fotografava il futuro.



Ad ogni scatto si allontanava nel tempo.

Vidi svanire lentamente luoghi e paesaggi e persone, dapprima familiari,
mettendo sempre più in evidenza località e volti,
fino ad allora sconosciuti.

Ora mi inquieto ad ogni ulteriore click.
Ad ogni violazione di futuro,
ad ogni prendere atto dell’assenza di esperienza,
ad ogni sapore di inaspettato,
ad ogni fast forward


Tentare un selfie? ...ma non se ne parla proprio.

sabato 27 febbraio 2021

I LUOGHI DEL CUORE



 Dal meme di Mariella, una bella scusa per rispulciare anche io foto e attimi di passato..



E come faccio a non dirvi New York? Ci ho lasciato un pezzetto di anima e non vedo l'ora di tornarci...
"...la High Line di sole incredibile, ferrovia sospesa abbandonata e riconvertita a splendida passeggiata nella midtown più evoluta..."



La Grecia è la nostra seconda patria. La amiamo a dismisura. Cerchiamo di andarci ogni volta ci è possibile. E' tutto un luogo del cuore, ancora e ancora da scoprire..."... quella Grecia che riesce ad affascinare con poche pennellate, con i suoi odori, i tornanti sul vuoto, le risacche trasparenti, il cibo fantastico..."





Venezia:   "perché l'assenza di rumore è uno dei sogni più - ossimoricamente - eclatanti di Venezia"




A Scauri c'è tutta la mia infanzia, l'adolescenza, l'amore per il mare, i sogni, la bellezza e la meraviglia. Un’alba di Settembre a Scauri, col suo alone di nulla deglutito, può spaventare perfino Keats. 

"Sono i nostri occhi macchine del tempo, che grattano mille riverniciature, rivivono giochi, baci, pedalate...vedono locandine di cinema davanti vecchie arene ricoperte di edera"



Milano: a Milano sono stato concepito, solo la mia mamma ha impedito che nascessi sui Navigli. Ma poi la fede ha prevalso, il Milan nel cuore, e la città, il Duomo, il Cenacolo e la sua magia per sempre nei miei occhi.. 




Crociere: un mondo da esplorare.. fantastico! Definirle "un luogo" è un simpatico paradosso, ma permette scoperte infinite.. 




Maldive: per chi ama il mare, decisamente non esiste altro paradiso che possa competere. 

"..saporita rievocazione, cerimoniale salmastro, lingua di sabbia abbacinante e vento frusciato, ricamo di nuvola gentile a specchiarsi d'acqua pastello.."




Praga "...Il cielo t’inghiottirà assieme a guglie e ponti e cimiteri bisbiglianti, non distinguerai che radi orpelli nella nebbia sporcata di timida neve ed orme caute..."




Ponza   "..e ubriaco di ginestre in crisi di caldo, diventi allora custode dell'isola, di tutto il mare e di tutti i sogni appesi al tuo sguardo, ed anche chiudendo gli occhi, sapresti come muoverti.."




Matera"ti riempie gli occhi di quel grigio appannato, smussato dai secoli, ma che tiene incollate le case e crea "paese", sodalizio di intenti e memoria di stenti.."



Padova: "..può capitare di trovarsi un weekend catapultati a Padova, con poco più di tre ore di treno veloce, a calpestare l'acciottolato che ti massaggia i piedi, nel silenzio che ti fa percepire le bici, le chiacchiere leggere delle persone che sfiori, l'acqua placida dei canali ad un ritmo slow del quale avevi perso ogni traccia..




Procida ovviamente... ti cattura con una finestrella che sbircia la strada,
con i panni stesi ad abbronzarsi,
i colori pastello mischiati alla rinfusa, ma dalle cromie sempre incredibilmente in tinta.



Bruges. La Venezia del Nord. A pieno titolo. Coi canali e quell'aria altera che conquista e affascina. 



.. ma i luoghi del cuore sono tanti, a ben pensare, sono quelli dove ce lo lasci, e quelli che vengono sempre con te, quelli che aiutano a formarti un'idea universale, che poi cerchi di trasformare in saper vivere.. 



giovedì 25 febbraio 2021

LA CROCE DIVELTA


La croce divelta - film
"La croce divelta"


La croce divelta (1988)

un film di Aurelio Pitorri
con Michele Folli, Marion Feels, Orlando Goltray, Demi Creep, Alessandro Urbani


Un Papa impazzito (o rinsavito) un bel giorno decide di regalare il Vaticano, svendere proprietà, liquidare monasteri, disfarsi di chiese, “spossessarsi del demonio” come annuncia all'Angelus.

Si scatenerà una guerra santa. Il vicario di Cristo se la rischia, i popoli plaudono, i potenti deplorano, l'esempio viene raccolto a denti stretti. Gli equilibri si sfaldano, i coperchi si ribaltano. Si rischia il collasso dell'apparato “Chiesa”, inteso come emblema di potere.

Un giovane sacerdote (un Folli finalmente all'altezza delle promesse) ed una suora laica (la fin troppo fascinosa Creep), affiancati dagli eventi, imbastiranno la fuga del Pontefice (Alessandro Urbani forse troppo perennemente accigliato) minacciato dai poteri occulti.

Che assomigli molto a Giovanni Paolo I non è probabilmente un caso, questo Papa visibilmente turbato che si affida spesso in preghiera ad un Dio antico quanto dimenticato. La storia affascina anche se convince a fatica la maratona dei fuggiaschi tra sette, sodalizi, congregazioni ed associazioni più o meno occulte che tentano il ripristino degli equilibri di potere. 
Esalta in compenso l'angoscia dei ricchi di spirito che si abbatte sui ricchi (e basta), la tenacia della Fede sulla barbarie del profitto, gli orizzonti della speranza oltre i confini della miseria (di spirito). 

Il finale vagamente fantasy magari non esalterà il puritano ma dona verve ad una trama altrimenti non sufficientemente affrancata da un classico mystic thriller. 
Una certa new age rivalutata in ambito possibilista, tutto sommato, può incarnare il sogno dello spettatore medio. 
Gli escamotages sfiorano la credibilità come neanche Dirk Selley aveva mai fatto supporre con le sue teorie letterarie, ed il montaggio frenetico, i piano sequenza mozzafiato ed ardite sequenze con camera a spalla rendono commestibili le oltre due ore di proiezione, anche ai palati più ostici. 

Opera prima, questa di Pitorri, pupillo ed ex aiuto regista di Frank Dubolt, da non sottovalutare quindi.


martedì 23 febbraio 2021

CAMBIARE L'ACQUA AI FIORI

 

Ecco un libro del quale sembra non esistere una recensione negativa. L’ho letto anche abbastanza velocemente, mi ha preso molto all’inizio. Forse perché vi si narra la storia di una custode di cimiteri.

Un posto dove tanti si trovano a disagio, un posto dove a me piace passeggiare invece, spulciare le lapidi altrui, sbirciare gli epitaffi, osservare le architetture e gli ornamenti, le date dei decessi e le foto scelte.. lo facevo anche prima della morte di mamma, anche se meno spesso, andando a trovare suoceri, amici, nonni, zii.. quindi l’atmosfera di luogo appartato, di isolamento riflessivo ed intimo,  descritta nel libro, l’ho trovata subito nelle mie corde.

Ed anche Violette, la custode (anche se da più parti accostata - impropriamente - alla Renée  de “L’eleganza del riccio”), mi ha comunicato quasi un senso di complicità e di affinità elettiva, con la sua quiete interiore, la maturità ed un livello di esistenza superiore, mi è parsa permeata in acutezza e sensibilità da quel luogo di “pace eterna” . Ma proprio mentre mi stavo accomodando tra le pagine placide di aromi e tempi dilatati, si parte per la tangente. Violette ha un passato, e ci posso stare, ma soprattutto diventa arbitro e crocevia di una moltitudine di intrecci che svicolano tutti per il piccolo cimitero di provincia. Dall’amore folle a quello molestissimo, dal thriller elementare fino alla sua soluzione infantile. Dagli intrecci di vite diverse e molteplici, dai contorcimenti familiari fin troppo ambigui, improbabili, irreali. Dai ribaltoni alle confessioni, dalle preghiere ai distacchi e alle rinunce. Incontri e  rincontri, tutto e tutti  intruppati, a mirabolante incastro, nel sottosuolo del piccolo cimitero, con i flashbacks a esumarsi l'uno con l'altro.

E’ come nei piccoli paesi, appena fuori dell’abitato, dove mi piace aprire vecchi cancelli cigolanti, in minuscoli poderi, a volte in appendice ad antiche chiese appesantite dalle stagioni; a volte su disordinati cimiteri ricolmi di passato, di storie e racconti: non c’è morte ma solo palpabile quiete, tombe e lapidi sembrano composte sciattamente, lasciando minimi e insensati spazi, ma rimane l’idea di un composto omogeneo, affiatato, necessario.. una tavolata di vecchie conoscenze, e noi a passeggiare chiedendo permesso e origliando leggende.. 

Forse da qui quel “cambiare l’acqua ai fiori”, perché quel sottoterra brulica di sete d’amore, vendetta e incanto, odio e fascino, oblio e rammarico. Ma andrebbero impiantati semafori per quei vialetti, non lucine (quei semafori addirittura esaltati e protagonisti, attraverso una pagina di melassoso cinema a nome “I Ponti di Madison County”), e chi passeggia sopra non è che la punta dell’iceberg di sconvolgimenti che partono da lontano ed evidentemente non trovano pace ma, anzi, la arano quella terra fino a sviscerarne ogni più recondita radice. E lì comprendiamo che la Perrin (nella vita coniugata Claude Lelouch, del quale non lesina nel libro scene e citazioni) non vuole più solo stupire: vuole strafare, vuole ammucchiarne di legna sul fuoco, inondarli d’acqua quei fiori; adultere che danno del Lei,  personaggi e personaggini che si incrociano a più riprese, e poi esequie su esequie, orazioni funebri da show, numero dei presenti e numero degli assenti, collezione di vedove inconsolabili, matrimoni che ce ne fosse uno azzeccato, rimorsi e rimpianti, ceneri al vento e inumati che, in realtà, non ci sono mai stati. Un continuo scoprire carte (o tombe): si parte per sottrazione e i piani temporali disseppelliscono (per rimanere in tema) altri piani temporali. Un cimitero che è Arrivo ma allegoricamente Partenza, in teoria indizio di stabilità definitiva, ma in realtà punto focale dove il tutto si aggira vorticosamente attorno, tutto passa per la casa della custode, segreti e consigli, sensazioni e sentimenti, passato e futuro, consolazioni e rivelazioni; quella casa racchiude un turbinio, e il terreno attorno sembra dissodare costantemente, anziché custodire, urlare anziché silenziare.

Ricordo ancora quando, per vedere se le lampade crepuscolari messe nel terreno vicino la tomba di famiglia di mamma, dovetti aspettare nel cimitero, quasi fino all’orario di chiusura, che ci fosse abbastanza oscurità per permettere ai led di accendersi. Ero praticamente da solo a  passeggiare sereno tra vialetti e lapidi in un magnifico silenzio, ignaro dello spettacolo che di là a pochi istanti mi sarebbe apparso: nell’oscurità incipiente una miriade incredibile di lucine stavano creando autentico spettacolo. Una città fibrillante di luce, come di festa, ma privata, una festa solo per me, e per la mia mamma.

“Signor Seul, se sulle porte degli armadi ci sono le chiavi, è perché nessuno li apra” questo fa pronunciare Valérie Perrin a Violette. In realtà Cambiare l’acqua ai fiori si sarebbe potuto chiamare: “Svuotate gli armadi: se non ci sono le chiavi, chiedete a Violette”. Mi rendo conto però che sarebbe stato troppo lungo, ed in qualche modo avrebbe potuto spoilerare gli innumerevoli epiloghi, con svariati incipit ad orologeria, tenuti semi occultati per due/trecento pagine.. giusto per farci ambientare ad atmosfere solo apparentemente lugubri. Un romanzo a scatole cinesi a forma di piccole bare, se mi è permesso il gioco di parole. Un narrare che chiede troppo, a mio avviso, nella nobile intenzione di donare tanto, sia chiaro, ma che rischia di fracidare anche il fiore più resistente, a volergli cambiare troppo spesso l'acqua.



 

 

sabato 20 febbraio 2021

ANNUNCIO RITARDO



Dopo aver mollato un supponente Frecciarossa, aspettavo, assieme ad altri, il Regionale delle teoriche 17,05. 

L'annuncio "anticipo", colse molti di sorpresa. 

Anche perché tutte le fonti di orario stavano sballando, si pensava ad eccessiva calura o ad anomale tempeste magnetiche. 

Noi lì, ormai un po' istupiditi, si ipotizzava potesse essere addirittura pomeriggio inoltrato. 

Quando il treno giunse sembrava in surplace. Entrò in stazione sbuffando lievi soffi di vapore stanco.. e si diede un'occhiata tronfia, tutt'attorno, della serie: 
"decido io quando si arriva, e quando si riparte, ora".  

Solo un vecchio merci in sosta bofonchiò qualcosa sull'arroganza dei giovani... e tornò ad arrugginirsi in silenzio. 

Un giorno era giunto spavaldo anche lui, e sempre di pomeriggio. 

Certe coincidenze spaventano.



giovedì 18 febbraio 2021

MALCOLM & MARIE

 


Malcolm e Marie, ve lo ripeto, così se dovesse sfuggirvi durante il film, visto la ricchezza di location e personaggi, voi saprete sempre che sul set ci sono Malcolm e Marie. Del resto anche loro si chiamano per nome: “Malcolm, che stai dicendo?” “Marie, credi che non ti ami?”. Come del resto Luisa ed io a casa: “Luisa, dov’è il sale” “Sempre al solito posto, Franco”. Ma in quale casa con due sole persone, le medesime si rivolgono una all’altra, ripetendo il nome ogni due per tre, in quale casa vorrei sapere?!.


Dicevamo, Malcolm e Marie, sono neri, il film è in bianco e nero, il loro umore è un po’ bianco un po’ nero, litigano, fanno pace, litigano, fanno pace, litigano, fanno pace. Lui è un regista (nella vita è il figlio di Denzel Washington) lei la sua fidanzata (nella vita è Zendaya, famosa non si sa perché, ma tutti son presi dall’euphoria). Il regista vero, invece, è Sam Levinson ("Ma davvero questo è il figlio di Barry?!")



Sono appena tornati a casa dalla prima del suo film, festeggiatissimo, ma lei è un po’ storta perché, pur ispirando la pellicola, non è stata ringraziata nel discorso, appunto, dei ringraziamenti. Anzi, non solo non è stata ringraziata, ma neanche scelta come attrice. Lui si dispiace, si dispiacerà tutta la sera, tra un piatto di maccheroncini scotti come solo in America e conditi con burro a pacchi come solo in America;



e cercherà di spiegare ma senza spiegare, cercheranno di fare pace, lei col suo alluce valgo più cicciotto delle sue tette, e qualche scena madre tanto per fargli capire perché sarebbe famosa;  lui parlando e muovendosi come un rapper di quelli schizzati, e arrabbiandosi con la prima recensione online che parla di capolavoro ma è scritta da una stronza bianca (che comunque col bianco e nero non stona), e col viso a barbetta disegnata che vira spesso sul catatonico (che in Tenet ci stava pure, vista la sceneggiatura improba) ma qua fa solo pensare “Ma davvero questo è il figlio di Denzel?!"




La casa è minimal da paura e si fuma diligentemente solo fuori della finestra dove si aggira mollemente il dolly, dentro si beve solo (salutisti va bene ma c’è un limite a tutto..). Il distanziamento è assicurato, del resto il covid è covid e non guarda in faccia a nessuno, per questo anche Malcolm e Marie si allontanano spesso ("Marie? Marie? Marie dove sei?!"), lui vorrebbe avvicinarsi a più riprese (alla faccia del covid) ma proprio mentre lei si decide per il si, si ricorda che, no! Malcolm gliel’ha fatta grossa stavolta.. non l’ha ringraziata, non l’ha scelta, non l’ha considerata, non si accorge di lei, è troppo egocentrico.. e insomma niente, per stasera, neanche masterizzata.


Quindi a letto senza cena (anche perché coi maccheroncini intanto puoi stuccarci il garage), ci laviamo i denti una ventina di minuti e poi ninna.

E un po’ ninna anche noi, a dir la verità. 




mercoledì 17 febbraio 2021

MA POI CHI E' FRANCO BATTAGLIA?


Perché è facile dire che è uno che sogna, sbircia, viaggia, interpreta, 

fotografa, ama, colleziona e poeteggia 

Poi c'è un Franco che si arrabbia, che (si) delude,  

che vorrebbe piacere e piacersi. E invece non (si) piace poi tanto.

Che non risolve, non pianifica, non raggiunge, non riesce e un sacco di altri non.

Un Franco Battaglia in pensione, che ha lavorato abbastanza, ha fatto casini in abbondanza,  che ora ogni lunedì è di nuovo domenica, che finalmente piega l'ansia in un cassetto assieme alle camicie che non mette quasi più, perché erano un repertorio da ufficio, da colleghi, da clienti; e allora via nel cassetto assieme a tutto l'armamentario, alle mille cose da mettere a posto (perché è un trasloco che è per sempre, altro che diamanti..)

Un Franco Battaglia curioso che vuole ripartire (post Covid) il prima possibile, e apposta non si precipita al bar a fare lo spritz (che pur ama) o al ristorante ad ammucchiarsi. 

Un Franco Battaglia senza figli, con i suoi matrimoni, gli incidenti, le perdite, e paura che la vecchiaia possa essere brutta.  

Dal 2006 a scrivere di cinema su FilmTv, e dal 2013 su Blogger, su entrambe le piattaforme continuo a folleggiare, sulla prima come Lampur, e qui con Nome, Cognome e storia.

Settecento post di qua (e settecento recensioni di là), tra poesie e prose, viaggi e ritorni, prese in giro, racconti, recensioni, visite, analisi sociali e analisi mediche, ricoveri e di(s)missioni
trend, mostre, denunce, 
sport, teatro e sottocultura, amori e abbandoni,
barlumi di autobiografia, burocrazia e politichese, 
bellezze e brutture, 
cucina e fotografie, risate sguaiate, magie e tristezze, 
città e paesi, acque e montagne, 
gente da irridere e gente da esaltare, soldi e miseria, 
isole da sogno, 

e ancora sfoghi, stralci di vita, giochi; tutto insieme, tutto importante, come lo scambio di idee, le amicizie o le semplici conoscenze, e le delusioni, anche grosse.

robe inventate e robe vere, che fanno la posta dietro un risveglio, e un casino di altri pensieri da mettere in ordine..

Ma chissà voi, chi pensiate che io sia, se ispiro serenità di giudizio, o schizofrenia folle? 

Me lo chiedo a volte, come in questo post.. perché questo è un post a trabocchetto, per sapere cosa sbaglio, e fare le pulci a chi legge... 

del resto, se non voi, chi altri?


Davvero siamo come ci arrediamo casa?