venerdì 25 ottobre 2024

VINCENZO

 


Si chiamava Eleonora, sua moglie. Aveva vissuto per lei. E dopo la sua scomparsa era scomparso un po’ anche quel Vincenzo che tutti avevano imparato a conoscere, per far posto a qualcosa di nuovo.  Agli occhi degli altri, almeno.
C’era stato come uno stop, un rivalutare il mondo; mondo che lo aveva sempre affascinato e continuava, nonostante tutto, anche ora, alla soglia degli 85 anni.
Non esisteva più il senso del donare, ma il vivere una sorta di assorbimento totale, saturarsi di quel far fronte, come a riequilibrare l’assenza più importante,
a gremire i colmi della sua solitudine che gli parlavano di storie non più sue,
ma sapeva di non essere solo.

Ed allora ecco i viaggi, le letture, il cibo, i teatri; il circondarsi di bellezza a stemperare supposta malinconia, nuovi ricordi a confondere memorie inamovibili e crearne di nuove, inattese.
La sua casa museo traboccava di emozione, e lui manteneva tenacemente acceso quel tepore domestico, come le boccette di profumo, mai più spostate.
Cenava e amava raccontarsi spesso con pochi, eletti, amici fidati, ormai depositari delle sue confidenze, di intimità e affinità elettiva.

Viaggiare, adesso, era ricostituente e allo stesso tempo calmante per l’anima, una sorta di salvavita, uno smussare turbamenti ma, soprattutto, incentivo ad accumulare, riscoprire, rendere partecipe il se stesso di una volta, riverniciare dove le crepe prendono vigore e dalle quali temeva, un giorno, smettesse di trapelare la luce del ricordo, e il solo dubbio era che l’aria ne ossidasse il sapore, una stasi che non voleva né poteva permettersi.
Alimentava un moto continuo a generare solo in apparenza quel frenetico porsi
al (r)esistere, come con le rose, puntuali  ad ogni compleanno.
In realtà era un ripercorrere il suo: indossava il suo passato e se lo teneva addosso, non aveva problemi di risorse economiche o liquidità: prenotava sempre doppio coperto nelle cene dove cercava intimità, e due posti in aereo: sua moglie occupava idealmente quello vuoto, tenendogli la mano per tutto il volo.

Le visite guidate erano di coppia, ogni nuovo arredo per la casa aveva l’assenso di Eleonora, leggeva a voce alta in salotto con la luce fioca, sceglieva assieme a lei nuove uscite in libreria, e curiosi saggi in biblioteca.
Ad ogni prima teatrale lei gli sistemava la cravatta, quella regalata all’ultimo compleanno, alla fine testimoniavano gioia autentica, ed Eleonora era sempre nell’ultimo eco di applauso.


sabato 19 ottobre 2024

MEGALOPOLIS

 

Non è solo la cifra immensa sbandierata ai quattro venti - e le difficoltà affrontate da Coppola per questa sua creatura, rimettendoci anche di tasca propria - a farmi attendere impatto e potenze visive che invece fanno estrema fatica ad emergere;
ma anche le soluzioni digitali elementari e le architetture urbane futuristiche alla Star Trek, con le automobiline  a bolla e i tapis roulant, una visione basica versione Legoland e che riesce a rivalutare anche certe scenografie del lanthimosiano Povere Creature.

Non è solo la New Rome modellata sull’onda dall’attuale bolla americana scimmiottante la decadenza della Roma di fine Impero, con pretoriani corrotti e viziosi, i loro nomi a richiamarne l’epoca di panem et circenses, e la plebe costantemente a sbirciare da dietro una rete metallica;
ma anche la trama déjà vu, orpello alla grandezza posticcia sullo sfondo dell'allegoria tra opulenza e bassifondi da aizzare al proprio servizio, come tenterà il garrulo Commodo/Trump/LeBoeuf.

Il palazzo che viene fatto crollare all’inizio è una ridicola casa popolare che avrebbe sfigurato nella più degradata delle periferie romane, lontanissima dalla città che una sonda - guarda caso targata CCCP - dovrebbe radere al suolo per permettere a Megalopolis di disegnarsi utopica e rivoluzionaria, tra il fantasy e la new age stile Roger Dean, che da una vita celebra il futuro attraverso le mirabolanti copertine degli Yes.

Non è solo l’America messa su da Coppola che strizza l’occhio a città crepuscolari viste e riviste, citando tutto il citabile, da Fellini a Scorsese, da Nolan a Cuaron, da Spielberg a Scott;
ma anche il narrare una favoletta dalle limitatissime pretese (forse buona parte del budget era per convincere Dustin Hoffman in quel suo insulso cameo), senza poi farti  testare nessuna inedita concezione, o un approccio davvero innovativo; si ricalcano richiami spremuti, dal pruriginoso al kitsch, e poi il consueto campionario di gelosie, canzoncine, invidie, scaramucce e cotillons,  passando dall’ormai obbligatorio lato LGBT.

Non è solo l’abusato tormentone del bel tormentato, architetto geniale che ha facoltà di fermare il Tempo creando (e ricreando) materia con la plastilina magica Megalon, fino ad innamorarsi della figlia del sindaco in bilico tra amore paterno e ardori passionali;
ma anche tutto il calderone dove gli stessi protagonisti sembrano finire spaesati recitando come automi e macchiette (Jon Voight tanto per dire, zio magnate di Catilina e futuro sovvenzionatore dei suoi rampanti ghirigori edilizi) ingoiati dalle sottotrame spesso in maldestro incastro.

Sarò un nostalgico, come Cicero, il sindaco conservatore che, almeno inizialmente, osteggia Catilina, ma rimango legato alla vera, autentica, e ancora “rivoluzionaria rivoluzione” coppoliana,  quella di Apocalypse Now, altro spessore: visivo, narrativo, emotivo.

Non è solo questa New Rome confusionaria, con l’utopia  giusto accennata tra alcool, droghe e intarsi onirici;
ma anche la troppa carne al fuoco senza focalizzare ne’ storia e meno ancora i caratteri di personaggi a rasentare il fumetto.
Del resto anche il superpotere di Adam Driver ne evidenzia questa essenza visionaria e cartoonistica, ritagliandosi prologo ed epilogo ad effetto, fino ai tarallucci e vino del finale dove, tra le altre ovvietà, non solo Speranza, Pace, Giustizia e Prosperità ma anche, e per l’ennesima volta, Shakespeare nel suo massimo evergreen, sempre utile in tutte le epoche ed evidentemente in tutti i futuri auspicabili..

Menzionerei comunque tra i comprimari, oltre Shia LeBeouf in veste, diciamo pure, eccentrica, la nostra immarcescibile Elsa Fornero, per l’occasione moglie del sindaco cattivo, senza tuttavia apparenti crediti nei titoli di coda.
La fotografia tenta con qualche garbo di rendere tutto impalpabile mai come la colonna sonora, però, impalpabile davvero.

Mi sa che stavolta Coppola ha dilapidato davvero, in una botta sola, tutti i sospesi raccattati dal garzone di bottega per conto del droghiere.. (cit. all’apparenza generica, ma neanche troppo).

Francis Ford Coppola. Ex droghiere. 



martedì 15 ottobre 2024

PERCHÉ NON BALLATE?

 


Leggere Carver, e rileggerlo. E ogni volta a scoprire righe non scritte, periodi sottintesi, paragrafi sottaciuti, capitoli accennati, intere storie che fanno appena capolino, protagonisti che neanche si affacciano.
Un minimalismo che ha fatto scuola, che può rendere un racconto breve più intenso di un’intera opera narrativa; perché dobbiamo collaborare, percepire, diventare storia, leggere ad ogni riga le dieci non scritte, ogni allusione e i suoi dieci indizi confusi, ogni dettaglio e la sua narrazione a sostenerne le radici.
Perché non ballate? Indica Carver. Dovete anche leggere però, ad ogni traccia sospesa.
Perché non leggete?

Un racconto di Carver sta a noi, non a lui. 

 

Perché non ballate?

In cucina si riversò da bere e guardò la camera da letto sistemata sul prato davanti a casa. Il materasso era scoperto e le lenzuola a righe bicolore erano piegate sul comò, accanto ai due cuscini.
A parte ciò, aveva lo stesso aspetto di quando stava al chiuso – comodino e lampada da lettura dalla parte di lui, comodino e lampada da lettura dalla parte di lei.
Di lui, di lei.
Ci pensò un po’ su mentre sorseggiava il whiskey. Il comò era a poca distanza dal fondo del letto.
Quella mattina ne aveva svuotato i cassetti e sistemato il contenuto in scatoloni, che adesso erano in soggiorno.
Accanto al comò c’era una stufa portatile. Ai piedi del letto, una poltroncina di vimini con un cuscino.
La cucina di alluminio lucido occupava parte del vialetto d’ingresso.
Una tovaglia di mussola gialla, troppo grande, un regalo, copriva il tavolo e pendeva tutt’intorno.
Sul tavolo c’era un vaso di felci e più in là un cofanetto di argenteria, un altro regalo.
Un grosso televisore a console poggiava su un tavolino basso e, a poca distanza, c’erano un divano, una poltrona e una lampada a piantana.
Aveva tirato una prolunga dalla casa e tutti gli apparecchi erano collegati e funzionanti.
La scrivania era contro la porta del garage. Sul suo piano c’era qualche utensile, un orologio da parete e due stampe incorniciate.
Sempre nel vialetto, c’era uno scatolone pieno di tazze, bicchieri e piatti, ciascuno avvolto in una pagina di giornale.
Quella mattina aveva svuotato gli armadi e ora, a parte i tre scatoloni in soggiorno, ogni cosa era fuori dalla casa. Ogni tanto una macchina di passaggio rallentava e la gente guardava incuriosita.
Ma nessuno si fermava.
Gli venne in mente che non si sarebbe fermato neanche lui.
– Oh Signore, dev’essere una svendita, – disse la ragazza al ragazzo.
I due stavano arredando un piccolo appartamento.
– Vediamo quanto chiedono per il letto, – disse la ragazza.
– Chissà quanto vogliono per quel televisore, – disse il ragazzo.
Entrò nel vialetto e fermò la macchina accanto al tavolo della cucina.
Scesero e cominciarono a esaminare gli oggetti. La ragazza toccò la tovaglia di mussola.
Il ragazzo accese il frullatore e lo regolò su trita.
Lei prese uno scaldavivande. Lui accese il televisore e cominciò a sintonizzarlo con cura.
Sedette sul divano a guardare qualcosa. Si accese una sigaretta, diede un’occhiata in giro e gettò il fiammifero nell’erba. La ragazza si accomodò sul letto. Scalciò via le scarpe e si sdraiò.
Riusciva a vedere la stella della sera.
 – Ehi, Jack, vieni qua. Prova un po’ il letto. Prendi uno di quei cuscini, – disse. – Com’è? – chiese lui. – Provalo, – fece lei. Lui si guardò intorno. La casa era buia. – Mi pare un po’ strano, – disse.
– Meglio vedere se c’è qualcuno in casa. Lei rimbalzò sul letto. – Prima provalo, – disse.
Lui si distese e si mise il cuscino sotto la testa. – Allora, che te ne pare? – chiese la ragazza. – Sembra sodo, – disse lui. Lei si girò su un fianco e gli mise le braccia attorno al collo. – Dammi un bacio, – gli disse. E lui: – Dai, alziamoci– Baciami. Baciami, tesoro, – disse lei.
Chiuse gli occhi. Lo teneva stretto. Lui dovette aprirle a forza le dita.
Disse: – Fammi vedere se c’è qualcuno in casa, – ma si limitò a mettersi a sedere. Il televisore era ancora in funzione. Qualche luce si accese nelle case lungo la strada. Il ragazzo era seduto sul bordo del letto. – Non sarebbe divertente se… – disse la ragazza, e sorrise senza finire la frase.
Lui rise. Accese l’abat-jour. Lei scacciò una zanzara.
Lui si alzò e si sistemò la camicia nei pantaloni.
– Guardo se c’è qualcuno in casa, – disse.
– Secondo me non c’è nessuno, ma se ci sono gli chiedo quanto vengono queste cose. – Qualsiasi cifra ti chiedano, offri dieci dollari di meno, – disse lei.
– Mi sa che sono disperati o giù di lì. Seduta sul letto, si mise a guardare la Tv. – Tanto vale che alzi il volume, – disse, ridacchiando.
– Il televisore non è male, – disse lui. – Chiedigli quanto viene, – disse lei. Max arrivò lungo il marciapiedi con una busta del supermercato.
Aveva panini, birra e whiskey.
Era tutto il pomeriggio che beveva e ormai aveva raggiunto il punto in cui l’alcol che mandava giù sembrava cominciare a schiarirgli le idee.
Ma c’erano anche dei momenti di vuoto.
Si era fermato al bar vicino al supermercato, si era messo ad ascoltare una canzone al jukebox e, non sapeva come, si era fatto buio prima che si ricordasse delle cose fuori sul prato.
Vide la macchina nel viale e la ragazza sul letto. Il televisore era acceso.
Poi vide il ragazzo in veranda.
Cominciò ad attraversare il prato. – Salve, – disse alla ragazza. – Hai trovato il letto.
– Salve, – disse lei. – Lo stavo giusto provando –.
Diede qualche pacca sul materasso. – Non c’è male come letto. – Sì, un letto niente male, – disse Max.
– Cos’altro volevo dire? Sapeva di dover dire altro.
Mise giù la busta e ne tirò fuori la birra e il whiskey.
– Credevamo non ci fosse nessuno, – disse il ragazzo. – Ci interessano il letto e forse il televisore. Magari anche la scrivania.
Quanto vuole per il letto? – Per il letto pensavo cinquanta dollari, – disse Max. – Le vanno bene quaranta? – disse la ragazza. – Quaranta, d’accordo, – disse Max.
Prese un bicchiere dallo scatolone, lo liberò del giornale e aprì la bottiglia di whiskey. – E il televisore? – disse il ragazzo. – Venticinque. – Le vanno bene venti? – disse la ragazza.
– Venti, sì. Mi vanno bene venti, – disse Max. La ragazza lanciò un’occhiata al ragazzo. – Volete bere qualcosa, ragazzi? – chiese Max.
– I bicchieri sono in quella scatola. Io mi siedo un attimo.
Mi siedo qui sul divano.
Si sedette sul divano, si appoggiò allo schienale e li fissava. Il ragazzo tirò fuori due bicchieri e versò il whiskey. – Quanto ne vuoi? – chiese alla ragazza. Avevano solo vent’anni, il ragazzo e la ragazza, tra loro c’erano un mese o due di differenza. – Basta così, – disse la ragazza. – Mi sa che nel mio ci voglio un po’ d’acqua. Tirò fuori una sedia e si sedette al tavolo della cucina. – L’acqua è in quel rubinetto lì, – disse Max. – Apri quel rubinetto. Il ragazzo allungò il whiskey, suo e della ragazza, con dell’acqua.
Prima di sedersi anche lui al tavolo della cucina si schiarì la gola. Poi sorrise.
Sopra di loro gli uccelli sfrecciavano a caccia d’insetti.
Max fissava lo schermo del televisore. Si scolò il bicchiere.
Allungò una mano per accendere la lampada a piantana e la cicca gli cadde tra i cuscini del divano.
 La ragazza si alzò per aiutarlo a trovarla. – Vuoi qualche altra cosa, tesoro? – disse il ragazzo.
Tirò fuori il libretto degli assegni. Versò altro whiskey per se stesso e per la ragazza. – Oh, voglio la scrivania, – disse la ragazza. – Quanto costa la scrivania?
Max agitò la mano per scacciare quella domanda ridicola. – Di’ una cifra, – disse.
Li guardò lì seduti attorno al tavolo.
Alla luce della lampada c’era qualcosa di speciale nell’espressione dei loro volti. Un’aria di cospirazione, per un attimo, che poi però si trasformò in un’espressione tenera – non la si poteva definire altrimenti.
Il ragazzo le sfiorò una mano.
– Adesso spengo il televisore e metto su un disco, – annunciò Max.
– Anche il giradischi è in vendita. A poco. Dite una cifra.
Si versò altro whiskey e aprì una birra.
– Tutto in vendita.
La ragazza gli porse il bicchiere e Max le versò altro whiskey. – Grazie, – disse lei. – Dà subito alla testa, – disse il ragazzo.
– Già comincia a girarmi. Finì di bere, fece una pausa e poi se ne versò un altro. Stava scrivendo l’assegno quando Max trovò i dischi.
– Scegli qualcosa che ti piace, – disse Max alla ragazza, porgendole i dischi.
Il ragazzo continuava a scrivere. – Ecco, – disse la ragazza, indicando un disco.
Non conosceva i nomi sulle copertine, ma non importava.
Era un’avventura.
Si alzò dal tavolo, però poi si rimise a sedere. Non voleva starsene seduta lì ferma. – Lo faccio al portatore, – disse il ragazzo, che continuava a scrivere. – Benissimo, – disse Max. Si scolò il whiskey e subito dopo un po’ di birra.
Si riaccomodò sul divano e accavallò una gamba sull’altra. Bevvero. Ascoltarono il disco fino alla fine.
Poi Max ne mise su un altro.
– Perché voi ragazzi non ballate? – disse Max.
– È una buona idea, no? Perché non ballate?
– No. Non mi pare il caso, – disse il ragazzo. – A te va di ballare, Carla? – Coraggio, – disse Max. – Il vialetto è mio. Ci potete ballare.
Abbracciati, i corpi stretti l’un l’altro, il ragazzo e la ragazza si spostarono su e giù per il vialetto. Ballavano.
Appena finì il disco, la ragazza invitò Max a ballare. Era ancora senza scarpe.
– Sono brillo, – disse lui. – Ma no che non sei brillo, – disse la ragazza. – Be’, io lo sono, – disse il ragazzo.
Max cambiò lato al disco e la ragazza gli si avvicinò.

Cominciarono a ballare. La ragazza lanciò un’occhiata alla gente che si era affacciata al bovindo della casa di fronte. – Quelli là. Ci stanno guardando, – disse. – Va bene? – Va bene, – rispose Max. – Il vialetto è mio. Possiamo ballare.
Credevano di averne viste di tutti i colori quaggiù, ma questa non l’avevano ancora vista, – disse.
Dopo un po’ sentì l’alito caldo di lei sul collo e disse: – Spero che ti piacerà il tuo letto. – Senz’altro, – disse la ragazza. – Spero che piacerà a tutti e due, – disse Max. – Jack! – disse la ragazza.
– Svegliati! Jack si reggeva il mento e li guardava assonnato.
– Jack, – ripeté la ragazza. Aprì e chiuse gli occhi.
Affondò il viso nella spalla di Max.
Si strinse di più a lui. – Jack, – mormorò.
Guardò il letto e non riuscì a capacitarsi di cosa ci facesse in mezzo al prato. Alzò gli occhi al cielo sopra la spalla di Max.
Gli si aggrappò. Si sentiva piena di un’insopportabile felicità.

In seguito la ragazza disse: – Il tizio era di mezz’età. Tutti i suoi averi erano sparsi lì sul prato. Non scherzo mica. Ci siamo ubriacati e abbiamo cominciato a ballare. In mezzo al vialetto. Oh Signore! Non ridete. Ha messo su dei dischi.
Guardate questo giradischi. Ce l’ha regalato lui.
Anche questi vecchi dischi. Jack e io abbiamo dormito nel suo letto. La mattina dopo Jack soffriva dei postumi della sbornia e ha dovuto prendere un carrello a nolo.
Per portare via tutta quella roba del tizio.
A un certo punto mi sono svegliata. Ci stava mettendo una coperta addosso, quel tizio. Questa coperta. Sentite qua. Continuava a parlare. Raccontò la storia a tutti.
C’era dell’altro, lo sapeva, ma non riusciva a metterlo in parole. Dopo un po’, smise di parlarne.

 


mercoledì 9 ottobre 2024

UMBRIA


 L'umbria ci accoglie tra i suoi borghi, rimaniamo affascinati da stradine, archi, saliscendi, pertugi.. e basiti nel constatare come tanto turismo, invece, vaghi giusto per i percorsi principali senza neanche uno sguardo a scorci, vicoli, infiniti dedali ad accennare intrico urbanistico.


Un turismo di superfice che non si immerge, non si dedica, un turismo che mette il timbro di presenza senza approfondire, senza sfogliare, senza respirare.


Come mai questa approssimazione? Un bar in cambio di una chiesa romanica.

Una panchina invece di un'escursione di viuzze contorte.


E' la misura dei nostri tempi forse, tempi che hanno perso curiosità, il gusto della meraviglia.


La toccata e fuga per poter dire "abbiamo visto.."

Senza guardare.























venerdì 4 ottobre 2024

SEI GRADI DI SEPARAZIONE

 


Mi affascina la teoria dei sei gradi di separazione. In soldoni, ogni persona nel mondo può essere collegata a qualsiasi altra tramite una rete di conoscenze e relazioni che non superi i cinque intermediari.

Una rete fittissima e invisibile che ci rende parte integrante della trama. Particelle insostituibili e necessarie affinché l’ordito regga il punto, mantenga l’aspetto e le aspettative.
Siamo essenziali quanto superflui, tante vite ci stanno a cuore,
di infinite altre ne avvertiamo giusto l'esistenza.
Battito estraneo a renderci comunque umani,
esseri viventi mossi da afflati a volte simili,
molto più spesso da repulsioni spietate,
a moltiplicare esponenzialmente le distanze,
rendere insormontabili quegli appena sei gradi.

 


lunedì 30 settembre 2024

IL GIORNO DEI DISCHI VOLANTI

 


Di Neil Gaiman avevo già postato il racconto, Gli altri, sempre dalla raccolta Cose fragili. 
Adoro il narrare breve di Gaiman, ecletticissimo autore di horror gotici e dallo stile tagliente, anche disegnatore di graphic novel e sceneggiatore. 
E poeta in questo caso, di particolare sensibilità.

 

IL GORNO DEI DISCHI VOLANTI 

Quel giorno, atterrarono i dischi volanti. Centinaia, dorati,

Silenziosi, scendevano dal cielo come grandi fiocchi di neve,

E i Terrestri immobili

li guardavano arrivare,

Aspettavano, le bocche riarse, di scoprire cosa contenessero

E nessuno di noi sapeva se ci sarebbe stato un domani

Ma tu non l’hai notato perché

 

Quel giorno, il giorno dei dischi volanti, pura coincidenza,

Fu il giorno in cui dalle tombe si riversarono i morti

E gli zombie emersero piano dalla terra morbida

o invece eruppero di brutto, barcollanti, opachi, inarrestabili,

Vennero verso di noi, i vivi, e noi fuggimmo urlando,

Ma tu non l’hai notato perché

 

Il giorno dei dischi volanti, il giorno degli zombie, fu anche

Il giorno del Ragnarok, e la televisione ci mostrò

Una nave fatta con le unghie dei morti, un serpente, un lupo,

Tutti più grandi di ogni immaginazione,

e il cameraman non riuscì

Ad allontanarsi abbastanza, e poi ne scesero gli Dèi

Ma tu non li hai visti arrivare perché

 

Nel giorno dei dischi-zombie-fine del mondo

saltarono tutte le barriere

E ciascuno di noi fu invaso da geni e spiritelli

Che ci offrivano desideri e sorprese ed eternità

E incantesimi e brillantezza e cuori

sinceri e coraggiosi e pentole d’oro

Mentre i giganti ucciucciavano per il

paese, e le api assassine,

Ma tu non ne avevi idea perché

 

Quel giorno, il giorno dei dischi il giorno degli zombie

Il giorno del Ragnarok e delle fate, il giorno

dei venti potenti

E della neve, quando le città divennero cristallo, il giorno

In cui tutte le piante morirono, la plastica si dissolse, il giorno

In cui i computer si accesero per dirci

a chi dovevamo obbedire, il giorno

In cui gli angeli, ubriachi e impastati, barcollavano nei bar,

E tutte le campane di Londra risuonavano, il giorno

In cui gli animali ci parlarono in assiro, il giorno dello Yeti,

il giorno dei supereroi e dell’arrivo

della Macchina del Tempo,

Tu non ti sei accorta di nulla di tutto questo perché
 

eri seduta in camera tua, non facevi niente,

non leggevi neanche, in realtà, stavi

lì a guardare il telefono,

chiedendoti se avrei chiamato.

 

mercoledì 25 settembre 2024

ATTESA

 


Certe sale d'attesa incurvano l'asse temporale.
Ti appallottolano su una sedia mentre aspetti il tuo amore.
L'aria condizionata confeziona tramestio come nuovo acufene.
Rimani coi pensieri tutti appiccicati,
lo fletti tutto quel tempo che passa,
oppure è lui che comprende l'assillo,
smette di trascorrere
e ti concede una pausa impercettibile,
come tra veglia e sonno.
Resti a contare mattonelle, perlustrare corridoi,
decifrare le espressioni del personale medico, 
ma tutto come un intervallo raggomitolato ad attutire l'istante, renderlo immobile a non pesare.
Certe sale d'attesa azzerano lo scorrere del tempo
ti vengono incontro così,
e non c'è più parete a dividerci.