sabato 3 agosto 2013

IL CAVALLO DI TORINO



Mi accomodo in poltrona per vedermi Béla Tarr, o essere visto da lui, chissà. M’interrogo sullo spirito col quale approcciarsi a tali opere. E forse cado già in errore. 
Cercando un approccio dove il film destruttura la visione e smantella gli archetipi. 
O perlomeno tenta. 
Low budget mi dicono, pale di elicotteri per simulare ventoso turbine perenne, leggo. 
E tempi dilatati. 
Dii-laa-taa-tiiss-sii-miii. 
Osservare e pensare. Pensare ed osservare. 
Un'immagine/un'evocazione, una pausa/una reminiscenza.
Forse funziona cosi Béla Tarr. 
Vado al pozzo torno dal pozzo. Apro la stalla chiudo la stalla. Guardo il cavallo il cavallo mi guarda (a proposito.. grande attore ‘sto cavallo!...). Riempio il carretto svuoto il carretto. Mi ha ricordato molto lo zen casareccio di Karate Kid (..metti la cera, leva la cera…).



Mi spoglio mi vesto (anzi mi veste mia figlia ma, quando m’infila i pantaloni prendendomi sbadatamente dentro anche il braccio paralizzato non dovrei tirarlo fuori io, perché anche se stiamo girando ad estremo low budget lo spettatore, che ormai fa caso - se non s’è appisolato - pure alla polvere ed ha contato e fatto amicizia anche con i tarli sugli scuri delle finestre, non è che si lascia sfuggire simili magagne). 
Penso io, attore consumato e manovrato maniacalmente da Béla Tarr, quasi sappia che mi stanno guardando al caldo in poltrona dall'altra parte della camera
E quando arrivo al pozzo guardo giù. La camera mi segue, guarda giù anche lei ed anche tu allora, si tu, quello a casa in poltrona e senza neanche una bava di vento che trasudi dalle  finestre insonorizzate, noti che il pozzo è prosciugato. A quel punto il dannazione! (a voce ed in sovrimpressione) é d’obbligo. Forse sarebbe dovuto arrivare prima, ma non vorremo stare qui a fare le pulci al Mission Impossible alternativo… qui stiamo terminando il mondo… un po’ di rispetto…
Il cavallo non si muove, il cavallo si muove. Partiamo nella tempesta, torniamo nella tempesta. La camera fissa non c’illumina sull’orizzonte appena scavalcato. Poco affascinante evidentemente perché si ritorna a casa. Lo spettatore è rimasto proprio lì infatti. Dalla parte della collina morta. Niente train de vie colmo di zingari fuggenti dall’altro lato. 
Se si deve morire tanto vale farlo qua. Tanto a patate c’è da scialare. E le lampade sono colme. E la brace tiene. 
“Padre, cos’è questa oscurità?” Chiede la figlia al buio. “Accendi le lampade”. Ed ecco che la casa, stanza per stanza, s’illumina come il Bolshoi (sarà low budget, ma un po’ di luce non guasta…)
Accendo la lampada spengo la lampada. Cuocio la patata. Sbuccio la patata. Mangio la patata (il papà con una mano sola, e con una mano sola ci mette pure il sale, vita grama ma non sciapa).

Fine del primo giorno. Fine del secondo giorno. Fine del terzo giorno. 
Ma la figlia la valigia la preparerà a festa, festa frugale ma ottimista. 
Ed il padre esorterà a quel “dobbiamo pur mangiare”. 
Rassegnazione mista ad istinto di sopravvivenza?



Fine del quarto, del quinto e del sesto giorno. Fine dei giorni. Una (ri)creazione a ritroso. 
Fine di tutti i giorni… 

“Perché tutto è in rovina, tutto si sta degradando, ma posso dire che loro hanno rovinato e degradato tutto. Perché questo non è una specie di cataclisma che ci viene addosso dal nulla. Al contrario è questione del giudizio dell’essere umano su sé stesso a cui ovviamente dà una mano Dio o, mi azzardo, a cui prende parte anche Dio e qualunque cosa a cui prenda parte è una delle creazioni più orribili che tu possa immaginare. Perché, vedi, il mondo è nel degrado. Per cui non ha importanza ciò che dico, perché ogni cosa che hanno preso in mano è svilita e siccome hanno preso controllo di tutto in una strisciante e subdola battaglia hanno degradato tutto. Perchè qualunque cosa tocchino, e toccano tutto, degenera. Andava così fino alla vittoria finale, fino alla fine trionfale.
Acquisire, degradare
 Degradare, acquisire
O possiamo metterla diversamente se vuoi: toccare, degradare e quindi acquisire…o toccare, acquisire e quindi degradare. E’ andata avanti così per secoli…ancora e ancora. Questo e solo questo, a volte dal cielo, a volte in modo rude, a volte gentilmente, a volte brutalmente ma è sempre stato questo.
 Ora invece c’è un solo modo…come un attacco di topi di fogna in un’imboscata.
Perché per questa vittoria perfetta era anche essenziale che l’altra parte, che rappresenta tutto ciò che è eccellente, grandioso e nobile in qualche modo, non si ritrovasse ad intraprendere alcun tipo di lotta. 
Non ci doveva essere alcun tipo di combattimento fra le due parti, solo l’improvvisa scomparsa di una delle due, intendendo quella luminosa, grande e nobile. Non c’è un solo piccolo angolo in cui qualcuno possa nascondere qualcosa da loro, perché qualunque cosa su cui possono allungare le mani…è loro. Anche le cose che pensiamo non possano raggiungere sono in loro possesso, perché il cielo è già loro, e così tutti i nostri sogni. Possiedono i momenti, la natura, l’infinito silenzio
Anche l’immortalità è loro capisci?
 Tutto….tutto è perso per sempre!!!
E tutti quei nobili d’animo, grandi, eccellenti…sono rimasti così…se così si può dire. Si sono fermati a questo punto e dovettero capire che non c’è Dio e non ci sono Dei…e dovettero capirlo dal principio. Ma naturalmente erano abbastanza incapaci di capirlo… Lo credevano e lo accettavano…ma non lo comprendevano. Rimasero lì…sconcertati ma non rassegnati finché qualcosa, quella scintilla nella mente, finalmente li illuminò. E tutt’a un tratto realizzarono che non ci sono Dei né Dio, tutt’a un tratto capirono che non c’è né il bene né il male. Poi realizzarono che se era così, allora loro stessi non esistevano! Vedi, io calcolo che quello possa essere stato il momento in cui abbiamo potuto dirli estinti, si sono spenti. Estinti e spenti come fuoco lasciato a covare sotto la cenere in un prato. Uno era vincitore costante…l’altro il costante perdente. Sconfitta, vittoria…e un giorno, qui nel vicinato, ho dovuto realizzare che mi sbagliavo, mi sbagliavo di grosso quando pensavo che non ci fosse mai stato e che non ci potesse mai essere cambiamento su questa Terra 

Perché, credimi, ora so che quel cambiamento c’è stato eccome”
(monologo del vicino di casa -  copincollato da kikisan che l’aveva copincollato da yume - cfr.Film.Tv.it -)



 
Ci sarà anche della tecnica in Béla Tarr. Della buona geometria visiva. Zoomate a ralenty e piani sequenza in circolo. Splendida anche la musica clonata da Brian Eno e dal suo Music for factory
Ci sarà del vuoto che arreda e dell’ombra insinuante che barrylyndoneggia, 
ma invano. 
Si tende allo sfacelo dello sfacelo con efferata spavalderia mista ad elementare incuria. 
Credo si tenda all’annientamento, ma anche dello spettatore. 
Ed a spettatore annientato, corrisponde giustamente la Fine del Tutto. 
E’ una tecnica pure questa.

* * *

…ed anche loro sono alla fine. Il cataclisma è qui alla porta. Il fuoco si è estinto - dice la piccola al padre (o perlomeno sottotitola la pellicola, metaforeggiando forse una Fine dinosaura)  - il buio sommerge, un ultima luce riappare, speranza o ugello difettoso che esala l'ultimo respiro divino?

Non si saprà mai. 
Béla Tarr dice che non girerà più film. 
(lo disse pure Olmi) 
Speriamo che almeno lui sia di parola.



LANTERNE ROSSE




I pedoni occupano rispettivamente la seconda e la settima traversa, mentre i pezzi prendono posizione nella prima e nell'ottava traversa. A partire dai due angoli, in modo simmetrico, ogni giocatore posiziona torre, cavallo e alfiere e, per concludere, la donna, sulla casa del proprio colore rimasta libera, e il re nella casa di colore opposto


 



Riproduzione di elementare impianto di vita socialmente classista della Cina imperiale, in algido e compìto ambito geometrico.   Una visione tridimensionalmente scacchistica, dove ogni mossa è legata alla tradizione ed a regole ancestrali: quarta signora visita prima casa. Prima signora ovviamente ci sforma. Seconda signora sorveglia le mosse in seconda casa. Il re muove sull'intera scacchiera in teorica padronanza assoluta, schiavo, in realtà, delle sue stesse regole. Esploriamo cosi, per mano del futuro autore di smaniosissime foreste dai pugnali volanti, Zhang Yìmòu,  il mondo del concubinato regolato da tradizioni millenarie che vedono il signorotto in questione spassarsela ogni sera con una moglie diversa segnalata alla bisogna, appunto, da lanterne rosse appese dai servi all'uscio della prescelta.



La donna può scegliere ad ogni mossa se muoversi come un alfiere o come una torre, eccettuato il fatto che non può, a differenza di quest'ultima, prendere parte all'arrocco. L'alfiere può muoversi su una qualunque casa della stessa diagonale rispetto a quella in cui si trova, ma non può cambiare mai il colore delle case su cui si trova.
 


Confezionato con apparente e laccata eleganza, tutta volta a sottolineare tempi scanditi con un metronomo arrugginito, passiamo in rassegna tutto lo scibile delle povertà umane, dall'invidia alla gelosia, dalla cattiveria al tradimento, dall'inganno alla crudeltà. E tutte coltivate in ambiente claustrofobico che agevola follie, crucci e ripicche.
 


Minuscoli privilegi e svariati dispetti sono alla base del quotidiano (soprav)vivere della piccola comunità semimonastica, i rari interventi esterni (medico di famiglia, figlio del dinastico) saranno causa di ulteriori squilibri, mosse azzardate e catenacci ardimentosi.
Il microcosmo si alimenta indispettendosi e specchiandosi tra superstizioni, mini regolamenti di conti, wudù casarecci e ferrei riti cerimoniosi che sottolineano le settorizzazioni di casta, le relazioni spersonalizzanti e gli sgarri al protocollo     



Il pedone è il solo pezzo che cattura in maniera differente da come muove. Può catturare un pezzo nemico se si trova su una delle due case poste diagonalmente in avanti rispetto alla sua casa di partenza ma non può muovere in queste case se esse sono libere (e neanche accenderci lanterne senza marchio ufficiale del Burattinaio Capo) 
 





La giovanissima Songlian (una splendida Gong Li) capiterà nell'isola felice come la classica zeppa intralcia-meccanismi e tra massaggini ai piedi e voglia di tenersi tutte le notti il concubinante in camera, esaspererà (esasperandosi) la maggior parte degli oliati ingranaggi facendo saltare la mosca al naso anche ai più innocui servitori e riducendosi, in breve tempo, da titolare "accreditata" a ruota di scorta ciancicata, a tutto vantaggio di una bamboletta finta che subentrerà a fine pellicola per ristabilire priorità e regolarità. La quinta signora euchessina.



Lo scacco matto segna la conclusione della partita con la sconfitta del giocatore che lo subisce. Lo “scacco” invece è l'attacco (parabile) che un pezzo avversario porta al re. 
Non è necessario che lo scacco venga annunciato verbalmente. 
In alcuni casi è possibile - come narra metaforicamente il film - che la regina rimanga in fase di stallo subendo, lei, scacco e diventando, inesorabilmente, matta.





 
 

CINEMIL

INDICAZIONI TERAPEUTICHE:
Trattamento sintomatico delle carenze filmiche



CONFEZIONI DISPONIBILI:
vhs dvd bluray usb multisala pidocchietto. Diffidare delle imitazioni, dei superotto confezionati a mano e dei cinepanettoni casarecci di dubbia provenienza.








COMPOSIZIONE
Cloruro d'argento teso ad agglomerare genio d'artista.
Occhio alle spropositate confezioni costituite dal solo cloruro d'argento.




INTERAZIONI
Dipendenza con elementi video/audio, cavi hmdi e supporti appropriati.



CONTROINDICAZIONI
Dipendenza da supporti audio usufruibili in lingua originale ma sottotitolati in altra lingua ugualmente inappropriata



POSOLOGIA
Una pellicola al giorno, massimo due.
Oltre si rischiano forme di bradipismo acute.
Gli ultra sessantacinquenni possono usufruire di confezioni gratuite da fruire direttamente in sala.



PRECAUZIONI
Evitare cinemil di marca orientale, alto rischio di dipendenza con forme di inobiettività acuta



SOVRADOSAGGIO
Consigliate dosi inferiori alle 4 ore giornaliere, sconsigliate le visioni a doppia velocità (tranne per Il cavallo di Torino usufruibile anche a tripla velocità), cautela anche coi Cinemil di fabbricazione sud/nordcoreana, distribuiti in larga parte, illegalmente, nella provincia di Chieti.



EFFETTI INDESIDERATI
Cornea convessa, incubi notturni a base di finestre che ridono, voci golinesche e viaggi in 3D al centro della terra.



INTOLLERANZE
Verificati casi di vomito, attacchi di panico, diarrea. Suicidio in sala nei casi più estremi.



SCADENZA
Alcune produzioni possono risultare scadute ancor prima dell'emissione sul mercato. Consultare il proprio noleggiatore/distributore/bancarellaro






venerdì 2 agosto 2013

PROCIDA


C’è una piazzetta appena accennata
come t’inerpichi per l’isola,
accorda le eco della marina
che vanno ad arruffarsi nell’acciottolato
e ne pettina le armonie,



disincaglia i toni dismessi
e rispedisce al mare
- imbevuto di brezza -
un suono di silenzio che fissa ogni tremore
e scolpisce le vene.



Mi siedo ancora qui stasera.

A farmi spiare dai viottoli.


CALCE MORTA



Spedì una lettera

ma non ricevette risposta.

Telefonò ma  nessuno rispose.

Viaggiò fino a quel domicilio bussando senza esito.

Attese in strada ma nessuno si fece vivo.

Chiese attorno ma non seppero fornirgli notizie.

Interrogò la polizia ma lo credettero una spia.

Attese paziente e vide raccomandate senza ricevuta di 
ritorno,


altre persone disperate alla ricerca di una figura indistinta,

salì nel palazzo, individuò una porta mai aperta,



dal suono cupo al ripetuto percuotere,

oltre intuì solo parete di calce morta.

Tornò a casa e riprese a scrivere.



Ora conosceva il destinatario delle missive.

Non era poi cosi distante.

CRETA




Il filo di Arianna, srotolato per la prima volta nel labirinto di Minosse, ci conduce per spiagge caraibiche, gole, vallate, sentieri dalle centinaia di scalini strappati alla roccia per tuffarti in un blu dipinto e noi, dedalicamente persi,



ci lasciamo inebriare giorno per giorno da chiese monastero, angoli di paesi scrostati, residui di fortezze che hanno avvistato un mondo in transito,
architettura ibrida che pesca dal bizantino arrotondato al ricamo veneziano;



tra l’Egeo ed il Libano Creta si erge a dividere il Mediterraneo e calamitare poteri che ne squassano albe e sentieri, cime e ciottoli.
Ma l’isola e la sua imponenza si dipana anche lungo un arco di sole, ti desta un’alba egea e ti culla tramonto mediterraneo dopo un’estenuante caccia agli abissi.




Ti attira in barca, scorre pacata anse bruciate svelando riva di corallo orlato di vento a scalfirne memoria di barriera violata, ti narra un tempo di mitologia irreale e ti corrompe con un piccolo Cristo in legno. 

Il filo di Arianna lo lascio scorrere via.
Meglio perdersi e lasciarsi adottare.



giovedì 1 agosto 2013

RILKE













Oh, ma con i versi si fa ben poco, quando li si scrive troppo presto. Bisognerebbe aspettare e raccogliere senso e dolcezza per tutta una vita, e poi, proprio alla fine, forse si riuscirebbe poi scrivere dieci righe che fossero buone. Poiché i versi non sono, come crede la gente, sentimenti (che si hanno già presto), sono esperienze. Per un solo verso si devono vedere molte città, uomini e cose, si devono conoscere gli animali, si deve sentire come gli uccelli volano, e sapere i gesti con cui i fori si schiudono al mattino. Si deve poter ripensare a sentieri in regioni sconosciute, ad incontri inaspettati e a separazioni che si videro venire da lontano, a giorni d’infanzia ancora inesplicati (…), a giorni sul mare, a mari, a notti di viaggio che passavano alte rumoreggianti e volavano con tutte le stelle, e non basta ancora poter pensare a tutto ciò. 


Si devono avere ricordi di molte notti d’amore, nessuna uguale all’altra, di grida di partorienti (…). Ma anche presso i moribondi si deve essere stati, si deve essere rimasti presso i morti nella camera con la finestra aperta ed i rumori che giungono a folate. E anche avere ricordi non basta. Si deve poterli dimenticare, quando sono molti, e si deve avere la grande pazienza di aspettare che ritornino. Perché i ricordi di per se ancora non sono. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo, e gesto, senza nome e non più scindibili da noi, solo allora può darsi che in una rarissima ora sorga nel loro centro, e ne esca, la prima parola di un verso.”

(Rainer Maria Rilke - “I quaderni di Malte Laurids Brigge”)










E’ quindi una memoria incosciente, la poesia.

Il ricordo di un ricordo.
La metabolizzazione di un’esperienza
che viaggia a livello di déjà vu.
La condivisione di una stato d’animo,
di più animi che giocano a rincorrersi.
Uno sfogo, un ninnolo, un’arma.
Il palpito delicato d’un cuore in tumulto.

O non è, forse, anche l’immaginazione
a crearti adrenalina,
a far si che che la tua smania,
appena stiracchiatasi,
si scopra indifesa di fronte alla realtà che gli mostri
e si rifugi in percorsi inversi,
a creare sorpresa,
a grattare disperata quiete dove il ricordo
è sorriso che sgorga sempre diverso,
ad inchiodarla ogni nuova emozione,
prima che 
- con un lieve battito d’ali -
scompaia.

E’ quindi una memoria incosciente la poesia?