domenica 16 ottobre 2016

TRAPEZI



Ci sono versi che non ne vogliono sapere.
Restano in testa, ma neanche,
nel cuore poi, no di certo.

Sono nei muscoli stanchi,
nei batteri che ti avvelenano
Negli occhi a rovistare il vuoto,
nel dolore che litiga col sonno,
nel futuro, maneggiato finora come gli acrobati i trapezi
e ora lui, a nasconderti le carte,
svuotarti il cilindro,
imbrattarti d’ansia.

Ma se ancora scarabocchio un display,
plasmo un sorriso di sfida,
sussurrando amore al deltoide pigro.

A certi versi glielo faccio sapere lo stesso,

che esistono.

venerdì 14 ottobre 2016

MA BARICCO E' UN ROMANZIERE?


Un'amica mi ha confidato che non avrebbe acquistato l'ultimo Barnum di Baricco, preferendo leggerlo in veste di romanziere. 
Mi ha fatto riflettere e precisare quanto di seguito:

 Carla carissima, mi ha sorpreso che una baricchiana doc come te, possa ritenersi poco  rapita dagli scritti del Nostro,  quando esulino - o lo si voglia credere - dalla struttura del romanzo.
Baricco, per sua natura, dissemina diamanti, anche in un aforisma.
I suoi periodi hanno fiato corto, cortissimo.
Il suo modello di romanzo non è mai un sipario che spalanca tonnellate di luce, ma infiniti flash a squarciare il buio, fino a ricamare, col tempo millesimato, una tela compiuta.
Piccoli sorsi, passi misuratissimi, gesti minimi,
immagini istantanee, capoversi sospesi.





Da Seta a La Sposa giovane è sempre stato così. Non si galoppa mai. Parole lente, dispensate col misurino.
Solo la punteggiatura spessa e frenetica.
A mozzare l’emozione, il respiro, la descrizione, la pagina intera.
Addomesticare l’aspettativa, renderla un turbamento razionale, una suggestione familiare, riconoscibile. Anche quando si mira ad orizzonti estesi, in realtà si accartoccia l’infinito in un amen.
Il mare aperto è in una mano, la strada che torna, la storia che si ripete.

E nei suoi Barnum non tradisce il passo cadenzato.
Raccolta di articoli che spaziano in un arco temporale di quindici anni, ma dove anche nel meno recente, non si avverte affatto la sensazione di “datato”, anche perché Baricco è sempre una quindicina di anni avanti quando scrive di attualità, analizzandone ragione e scopi. E lo si riconosce. Stilettate brevi, ad evidenziare i suoi perché e i suoi percome, tentando, riuscendoci, di configurarli ai nostri.
Lui lo narra un articolo. In due pagine riesce a descrivere un’epica.
E te la fa respirare, quieto.

Pensi di leggere uno scampolo, ma vivi un piccolo romanzo fiume.




mercoledì 12 ottobre 2016

I MAGNIFICI SETTE (...déjà vu)


Un remake stantìo che ti fa passare la voglia di (ri)guardare ancora western.

Il primo déjà vu: i cattivi alla fine muoiono, anche se in quantitativo industriale contro sette, più l’aiuto dei contadini residenti addestrati alla bell’e meglio
Il secondo: la belloccia indifesa diverrà deus ex machina
Il terzo: la mira dei cattivi è una chiavica disumana
Il quarto: mettiamo insieme i più incompatibili del mondo, anche multirazzialmente parlando
Il quinto: caratteri e personalità appena scalfite, con l’ovvia presenza del solito codardo che si redime
Il sesto: il cattivo è cattivissimo e il buono è buonissimo
Il settimo: non un’inquadratura che esalti, un dialogo che incalzi, un duello che intrighi, una visione che illumini. Tutto stragià visto.


Perché, allora, la necessità di certe operazioni che ti afflosciano sulla poltrona?
Pensavo a Quel treno per Yuma, remake di qualche anno fa con Bale e Crowe.
Quello aveva senso. C’era materiale per scavare e ci si sbizzarriva addirittura a cambiare le carte in tavola.
Questi magnifici invece? Qual è la ratio? Servivano soldi a Denzel per ristrutturare la piscina a Beverly Hills? Oppure il regista, Antoine Fuqua, è finito in bancarotta? 
O meglio ancora per far rivoltare nella tomba Kurosawa, autore dell’originale I sette samurai che ha dato via, poi,  alla saga western?
Un film che non ti scuote di una virgola, perché presto comprendi di essere impantanato in un passato che non vuole rischiare nulla, roba da rimpiangere i Leone se non addirittura i Terence Hill.


Ed esci dal cinema come uno dei cattivissimi.
Con le aspettative crivellate.


martedì 4 ottobre 2016

CURRICULUM VITAE







Informazioni personali:
Franco Battaglia
Nato a Roma 1. 8. 1959
Residente a Roma  
Esperienza lavorativa:
troppa
Tipo impiego:
Scritturologo, poetante, fotografatore, teatrista, recensente, bloggeriatra, raccontiere
Mansioni:
quadro banconomo, aspirante guardiano musei irrequeti
Responsabilità:
non identificate
Attività:
svariatissime e disordinate, viaggista recidivo, collezionista di dubbi
Docenze:
Folletologia 1 e 2, Versi riversi, Architettura di pozzanghere,



Partecipazione convegni e seminari:
Progetto per nuvole, Forum su vento e controvento, Laboratori aromi perduti, Promozione sfilettatura e riequilibratura dei sogni, Riforma dei desideri, Tutor base al Corso di Sbirciatore di finestrini
Istruzione e formazione:

Testatore di protesi e grado innervosimento fisioterapisti, Rilevatore di tramonti terzo livello, Manipolazione delle ombre, Lettura tra le righe, Laurea in Rovistatore di minuscolerie, Diploma per Accordatura di Contrasti, Attestazione in Limatura rimpianti, Dottorato sull’orizzonte degli incanti,  Patente per la Restituzione di Sorrisi 

martedì 27 settembre 2016

TRAFFICANTI



L’incipit è, a suo modo, un omaggio a Lord of War, mitico film sul traffico d’armi con Nicholas Cage, e denuncia quello che ancora in troppi, forse, fanno solo finta di non capire: all’origine della guerra, di tutte le guerre, c’è solo il dio Denaro.



 Il resto è tratto da una storia vera, una guerra tra poveri “ricchi”. Uno scannarsi a colpi di commesse e compravendite di armi e munizioni in tutto il mondo, legalizzata da governi che pensano solo ad arricchirsi. Alla quale partecipano squali e sprovveduti… tutti alla sola ricerca di guadagno facile, alla faccia di ogni etica, di ogni rispetto, senza guardare in faccia nessuno, parenti, amici, complici, alleati o chicchessia.


Vaghiamo tra il tragico e il comico in un bilanciato reality che mixa farsa e dramma ponendo bene in evidenza a cosa si può arrivare affamati di voglia di affermazione e supremazia o anche solo di fare soldi facili.


I protagonisti sono in perfetto equilibrio nella loro evoluzione che li proietta ai vertici di un mercato spaventoso, che con occhi meno ipocriti e pietosi rende decisamente plausibili anche le voci complottiste sul crollo più o meno "provocato" delle torri gemelle… e al centro di un mondo che li stritolerà lentamente, dal momento in cui non si accontenteranno più delle briciole ma punteranno all'assalto dell’intera torta.



Jonah Hill e Miles Teller, con le loro titubanze, le insicurezze, quell'agire incauto e sconsiderato, sono di certo più vicino a noi che a famigerati mercanti d’armi senza scrupoli, e questo rende la storia credibile (lo è davvero del resto) e compatibile il nostro virale parteggiare per loro, e il prendere a cuore i loro destini, nonostante non si tratti esattamente di eroi da esaltare. 

Ma tant’è. 

Finché non capiremo che la guerra è solo un affare, e non  l’unico metodo per risolvere dispute mondiali.



Dulcis in fundo, la partecipazione di Bradley Cooper (che produce anche). Un attore che ormai può permettersi qualsiasi performance, di qualsiasi intensità o durata, e rimanere impresso indelebilmente.

sabato 24 settembre 2016

MUSEI





Finalmente confermato. Sarò custode del museo. Il mio sogno. Un po’ perché li ho sempre amati, i musei, un po’ perché ho sempre voluto fare un lavoro che mi lasciasse estraniare tra i miei pensieri, dove servisse presenza, anche autorevole, ma certo non concentrazione esasperata.
I visitatori sono irrequieti e spesso indisciplinati, si, ma spesso basta che avvertano la sola presenza del custode, perché rinuncino a fare foto, ad avvicinarsi troppo ai cavi dell’allarme, a commentare a voce alta disturbando gli altri.
Il custode come uno spaventapasseri.
Ma non immaginavo, non credevo proprio, che il custode del museo dovesse custodire anche le visite notturne. A porte chiuse.

E non dei visitatori. Ma degli altri musei.



Che la notte, a turno, organizzano escursioni per vedere come ci si allestisce - tra musei - come si predispongono le sale, l’accoglienza, come si espone, come si illumina, l’esatta collocazione dei disimpegni, come si gestiscono gli spazi tra le opere, il coordinamento dei fruitori, in modo da non creare ingorghi e disagevoli attese, favorire una sosta pacata.



Eppoi mettere a frutto, una volta tornati in sede, i migliori suggerimenti, le proposte più innovative, spunti e ispirazioni atti a fornire una visita  proficua, interessante e che crei trasporto e curiosità, il rapporto con l’artista, una sorta di dialogo intimo.
E non immaginavo, neanche, di dover accompagnare io, il mio museo, in visite notturne di orientamento presso altre esposizioni, a studiare gallerie e strategie altrui. A provare la medesima ebbrezza del visitatore di tutti i giorni.



Prendere per mano le mie opere, custodite come bimbi, e stare attento affinché ora, curiose, e finalmente libere di scorazzare, non si mischiassero tra loro, e a qualche dipinto non venisse lo schiribizzo di cambiar di posto, cornice e museo, tanto per provare l’ebbrezza di una nuova collocazione, di nuove luci e nuovi punti di vista, e l’amicizia solidale con autori magari sconosciuti, e loro opere mai viste. 
Quindi appelli e contrappelli. Controlli all’entrata e all’uscita. Liste da spuntare. Roba snervante davvero.



Ragazzi, e io che pensavo fosse una passeggiata rilassante fare il guardiano del museo, almeno di uno come il mio, meno smanioso  di altri, con opere un po’ barbose e senza troppe velleità di variare la loro sede abituale...

Se rinasco, voglio lavora’ in banca.



venerdì 12 agosto 2016

..E SONO PROPRIO LORO...



Succede che li conosci da tempo questi due.
Li conosci come bloggers, ovvio.  Paola  e  Maurizio

Li conosci sul web, dai loro post e dai loro commenti. Non sai neanche se si chiamino effettivamente così, ricchi dubbi anche sui luoghi da dove scrivono. 
Ma ti piacciono e ti intrigano. 
Ti affascina soprattutto – inutile negarlo – questa loro storia d’amore nata sul web, questo  attirarsi solo per la capacità di essersi scoperti, letti e compresi attraverso un modem, prima ancora di vedersi o ascoltarsi. 
Poi finalmente l’incontro, il rivelarsi di affinità elettive solo supposte, il contatto visivo, umano, epidermico.

E’ un amore che esplode e cresce anche per noi, che facciamo il tifo e prenotiamo un posto in chiesa, tra post travolgenti e  tenere dichiarazioni, un amore che continua a cibarsi di blog, e ad espandersi nella rete, a beneficio di tutti quelli che hanno visto nascere, e crescere, questa storia bellissima, perché in fondo è proprio al blog, che deve tutto.

Alla capacità di comunicare noi stessi, di trasmetterci quali siamo e spesso anche più intimamente. Una scommessa vinta subito se non si bara, se ci si apre al destino, se si comprende che un’anima gemella può respirarci tenerezza anche da un display. 
E noi altri a cullare questo avvenimento, questa sorta di nascita in cattività, come se la blogosfera non potesse permettersi di sfornare sentimenti nobili, ma solo rapporti surrogati, confidenze burocratiche. Che non palpitano.

E succede che finalmente riesci ad incontrarli, li inviti a casa e loro sono titubanti perché anche tu, comunque, sei un prodotto del web, potenzialmente inaffidabile, parole senza sorriso, sentimenti senza sguardo. E un giorno, finalmente, le circostanze sembrano favorire l'incontro, uozzap, messaggi, indicazioni stradali, una voce al cell... e di punto in bianco l'incontro di "terzo tipo"

E sono proprio loro, per mano come due innamorati non del tipo 2.0, ma old style, vecchia maniera, tipo.. incontrati a una festa o in spiaggia. 

Invece no. 
Loro hanno sfidato la banda larga, hanno attraversato il portale della diffidenza, hanno smagliato la rete, hanno azzerato le distanze, e hanno vinto.
E sono belli e giovani, luminosi e sorridenti. E anche tu che hai imparato a scorgere sguardi e sorrisi solo da un post,  ora li hai lì per te, davvero, con tua moglie basita, incredula che certe storie possano accadere davvero, che poi ti dirà sorridente, “potrebbero essere nostri figli”, finalmente rassicurata da quella candida innocenza, dai sogni che tracimano dai loro occhi, dal futuro che li avvolge potente.
Dai loro modi spontanei, dalla loro felicità, dalla loro scommessa vincente.

Perché se è il cuore che detta le regole, non si può aver paura di nulla.

Grazie di tutto!