giovedì 30 dicembre 2021

COSE CHE VORREI E COSE CHE NO. PENSIERI TRA UN ANNO E L'ALTRO.

 


Cose che immagino non accadano, e ne accadono altre invece, che neanche con una lungimiranza delle più negative. Ma anche no.

Cose che immagino, frullano in testa come pallina di roulette, come asteroidi senza più rotta, di quelli che cercano solo portali magici a proiettarli in altri mondi abitati, forse, ma chissà da chi, e in quale maniera astrusa, pensiamo noi, che invece non abbiamo idea di quanto astruso sia già il nostro mondo.
Mondo di pulcini allevati in batteria, di balene ricondotte a casa, di pietre marziane esaminate a fondo, e di vecchine che risciacquano panni dalle pozzanghere di rara acqua piovana piovuta da quel cielo che arriva proprio fino a Marte, illuminato di luce celeste, ma qui da noi, si riflette solo nelle pozzanghere luride dove i bimbi giocherebbero anche, se non avessero sete.

Cose che, mentre guardo il Cristo Velato alla tv,  dimentico estasiato; e magari le dimentica pure quel cristo crocifisso troppo presto prima di insegnarci a campare davvero, a noi che immaginiamo sempre un mondo gioioso senza pellicce, senza olio di palma, senza odio fasullo, di quello che serve a sentirci importanti, vivi, perché tanti il bene e la riconoscenza la reputano solo un fastidioso accessorio, e mi ci metto sempre anche io, sia chiaro. 

Un difetto.

Cose che scrivo perché i tasti scorrono frenetici come un cartoon ma vorrei fissarle in testa, più che a video.
Vorrei alzarmi e abbracciare mia moglie (e lo faccio) che si prepara frenetica per una giornata da offrire ancora, col sorriso che la veste quando viene a baciarmi.

Cose che esistono ed esisteranno e un giorno non più, sostituite da altri pensieri, altri tasti, altre dita impazzite a strapparsi sensazioni da dentro e ordinarle in righe solo apparentemente ordinate e pronte da leggere come un sugo pronto con scadenza a breve.  

Cose che, però, potrebbero bastare per un intero anno nuovo.

Sereno 2022.

  

                                                                                                                    

  

                                                                                                                              

martedì 28 dicembre 2021

DON'T LOOK UP - LA METAFORA DELLA FINE CHE FAREMO


Nato contro il menefreghismo mondiale dei poteri forti, riguardo la preoccupante allerta verso i cambiamenti climatici; lo ritroviamo come possente metafora oggi - e più attuale che mai - a fare i conti con virus e pandemia; fazioni nate dal nulla, punti di vista folli o visionari, e soprattutto interessi mirati e parzialissimi, a condizionare il bene supremo della collettività: la vita.

McKay mette in scena uno spettacolo di micidiale satira caustica, dove tutte le star si impegnano con grande abilità, dal goffo scienziato (Di Caprio che torna a giganteggiare), alla lucida e rude dottoranda che scopre la cometa che impatterà la terra (brillantissima Jennifer Lawrence), al Presidente degli USA abbarbicato ai suoi interessi (Meryl Streep in gran spolvero).

Un film che spiazza, spaventa, diverte tantissimo anche, ma lasciandoti basito e con l'amaro in bocca, lo stesso che stiamo assaggiando in questi ultimi due anni. La bomba climatica, è evidente, ancora non spaventa chi decide di sospendere emissioni di gas serra solo nel 2050, catapultando l'eventuale rogna sulle generazioni a venire. Il virus invece un po' di sale sulla coda lo sta mettendo, ma troppi ancora giocano al "gomblotto", alla dittatura sanitaria, ai poteri forti che guardano il loro orticello.

Certo non abbiamo date e scadenze, e ancora nessun meteorite pronto a cancellarci esattamente tra sei mesi, ma se anche esistesse una data certificata, saremmo davvero così diversi  e distanti dalle pateticità descritte da Don't look up?

Io credo di no. Faremmo il tifo come sempre. Pregheremmo, ci faremo finalmente una canna, tradiremmo la moglie, compreremmo il sessanta pollici sempre desiderato, ritireremo tutti i soldi in banca per nasconderli nella pentola a pressione in cucina. Saremmo vittime delle nostre piccolezze, delle minuzie, degli egoismi, delle ridicolerie più ridicole. Tutti indistintamente.

Non guardate su! Non guardate troppo in là.. ammonisce il film, non c'è niente oltre il nostro tornaconto a stretto giro, a portata di mano e sguardo concupiscente.

Ho trovato una curiosa analogia con l'ultimo Pif di E noi stronzi rimanemmo a guardare.. anche lì un guru ipertecnologico diventa il sottile padrone del mondo e delle anime, scruta i desideri e grazie a calcoli di controllo sociale impertinenti, riesce a carpire desideri e segreti di ognuno di noi. Finiremo per obbedire ad un algoritmo.

Non prendiamo troppo sottogamba certe premonizioni.



domenica 26 dicembre 2021

ENCANT(AD)O

L'ultimo nato Disney (senza Pixar, ma senza alcun rimpianto) esalta davvero il fantasmagorico e l'eccellenza cartoonistica. Mi sono ritrovato di fronte alla perfezione animata, ad un esplosione di colori e di disegni mirabolanti ed una storia di delicata incomprensione familiare, che si risolverà ovviamente col trionfo della nostra piccola e buffa Mirabel, eroina con gli occhialini, elemento praticamente inedito in casa Disney, mentre un riferimento a Bruno, dopo l'ultimo film Luca, torna prepotente, e con addirittura un pezzo musicale;

ecco, c'è da dire che anche le canzoni di questo cartoon musical - che tanti non riescono a digerire nelle pellicole animate -, sono tutte gradevolissime, frenetiche e riproposte in versione italiana con estrema abilità, splendida resa e capaci di donare ulteriore sfarzo e rapidità ad una pellicola che non si ferma un attimo offrendo vertiginosi virtuosismi e gli iperbolici colori della magica Colombia dove è ambientata la fiaba. 


Mirabel è l'unica componente della eterogenea famiglia Madrigal a NON possedere un talento magico, una supereroina senza poteri, ma la sua normalità sarà fondamentale per salvare le sorti della dinastia. Un omaggio alla risoluzione dei dissapori familiari, una risposta alle gelosie e alle piccole rivalità, un inno all'amore tra consanguinei, troppo spesso minato dal culto dei "parenti serpenti"..

Un film che spazia dall'etnico al dark, dal pop al favolistico, dal magico allo storico con una naturalezza incredibile, senza pause grazie a continue invenzioni creative e alle particolari performances dei nostri doppiatori.

Un consiglio cinematografico a tutto tondo..e mi raccomando!! Occhio a nominare Bruno!!



venerdì 24 dicembre 2021

BUON NATALE!!!

 


Avrei tante cose da chiedere a Babbo Natale, ma forse dovrei essere conscio dei regali immensi che mi ha già portato da agosto in poi.

Quindi mi limiterò a cose normali, tipo far passare questa pandemia, infondere buon senso in quelli ammucchiati in fila fuori dai negozi dei centri commerciali con la mascherina sotto il naso (e non sono sempre vecchietti rincoglioniti, ma spesso solo giovani rincoglioniti - li immagino ad una certa età, sempre ammesso ci arrivino -); augurarmi che i politici spariscano dall'universo, che le armi si sciolgano come cioccolatini al sole, che le coltivazioni intensive nutrano solo bimbi affamati, che i confini di filo spinato si tramutino in zucchero filato, che le malattie più brutte si possano miracolosamente curare  e che la poesia entri in tutte le case, assieme ai sogni ed ai sorrisi.

Poche e precise pretese, tutto sommato, animate dalla speranza e dalla immutata voglia di vivere e fantasticare, che non deve abbandonarci mai.

Intanto Buon Natale a tutti voi che animate la blogosfera con la vostra voglia di comunicare, leggere e scrivere, e l'augurio che non venga mai a mancare, come passione e curiosità, autentico concime del buon vivere.. un abbraccio virtuale!!

mercoledì 22 dicembre 2021

DIABOLIK AL CINEMA

 

Che succede quando un non amante del Diabolik fumetto cerca di trovare nel film dei Manetti Bros qualche stimolo diverso per magari appassionarsi anche alle tavole disegnate? Nel mio caso accade che boccia pure il tentativo cinematografico, anzi, vede svaporare anche quel poco di buono che Diabolik rappresenta in un iconico immaginario: l’uomo feroce e tutto d’un pezzo che non teme nulla e si mostra nella sua glaciale impassibilità.. giusto davanti la figurina di contorno Elizabeth, fidanzata di comodo. Una pellicola che omaggia gli anni sessanta, con certosine ricostruzioni,  ambienti desaturati, il vintage ad ogni occasione (anche con le poltroncine nel rifugio altrimenti grigio e disadorno). E che ovviamente si arrampica su quello che ho sempre e fondamentalmente osteggiato nelle storie di Diabolik, vale a dire l’uscirne vincente sempre e comunque con gli stratagemmi più assurdi e le trovate buone giusto per un cartone animato. Ma tant’è, il fascino non ammette critiche né retro pensiero, come quando si torna a casa in auto non dal cancello principale, ma da un’entrata poco distante occultata nella roccia, però poi si sale da una botola a vista in pieno giardino, che farebbe ridere anche se il nostro abitasse da solo, ma qui ha anche la fidanzata ufficiale all’oscuro della sua attività ufficiale. Un altro rifugio invece, sempre con anta basculante in simil ambiente boschivo/cespuglioso, che occulta l’entrata a vista sulla statale, prosegue col traforo del Brennero fino alla solita stanza grigia e spoglia. 

Ma a prescindere dalle rampe sempre pronte, i pulsanti di cui dissemina i suoi luoghi, le catenelle da tirare per accecare i nemici proprio nel punto esatto dove si ferma, i piani, anche fantasiosi, che lo vedono penetrare comunque sempre e dovunque, ciò che lascia ancor più perplesso rispetto all’indubbio fascino del cartaceo, perlomeno veloce, incisivo, preciso, coinvolgente; è la lentezza quasi esasperata trasmessa dalla visione. Questa catatonicità narrata dai protagonisti, Marinelli e Mastandrea, e in parte anche dalla bella Miriam Leone, in qualche movenza più vicina a Jessica Rabbit che ad Eva Kant. Lentezza che tanti hanno dichiarato voluta, e che posso tollerare, ad esempio, nel tentativo di creare ambiente da parte del vice ministro della Giustizia (Alessandro Roja)  che tenta di conquistare Eva, con il lento scegliere dischi e collocarne uno sul piatto di Selezione dal Reader’s Digest e la giacchetta strappata direttamente dal divano della nonna; eccolo un omaggio agli ambienti e alla mentalità gretta, ma poi vogliamo perderci nel retrò, nel fumetto da riporto, in certa comunque soporifera ricercatezza che non si addice alle letture originali, pensate e costruite - a ben guardare - per i pendolari dell’epoca. Giusto mezz’oretta senza andare troppo per il sottile. Diabolik in fondo nasce rustico e sbrigativo, i camerieri si ammazzano e via nel tombino, mancano solo tre fermate. 



 

lunedì 20 dicembre 2021

E' VERO..

 


..a volte i libri diventano soprammobili, i piumini del comodino, uno strato come di polvere invisibile sul tavolino di fronte alla tivu, parete colorata di mensola impassibile, mattoncino incastrato a carpire sguardo distratto. Poi,  uno solo di questi si lascia sfogliare, carpisce attenzione e moltiplica il tempo a disposizione, anzi lo cristallizza pagina per pagina, e ti accorgi che, come in un film di Nolan, i contorni svaniscono, i suoni vanno come smolecolando le loro eco, le coordinate convenzionali si smantellano pagina dopo pagina e tu viaggi di paragrafo in capitolo, ti getti dagli a capo, divori periodi, perdi senso e connessioni per acquisirne di nuove, sei storia nella storia, personaggio e contorno, narratore e scenografo, vai immaginando volti e toni, anticipi lo scrittore e scavi lo scritto, più che leggerlo, vivi la stampa, navighi le righe.
Eccolo il potere di un libro, di pagine ordinatamente impilate che mantengono un sortilegio diligentemente custodito, fino a che l'occhio prima svagato e assente, si incanta di magia.

sabato 18 dicembre 2021

E' STATA LA MANO DI DIO

 


Non lo so sinceramente, se è stata la mano di Dio a salvare la vita al Fabietto della storia, a segnare il gol attribuito a Maradona, o a impedire che la presenza di Sorrentino sedicenne potesse magari evitare, ai genitori, di morire col monossido di carbonio.
E se Dieguito non fosse mai sbarcato a Napoli, magari salvandoli? So solo che a somatizzare il tutto, c’è un Sorrentino divenuto regista, particolarmente legato a questo suo senso estetico di girare, ma pesante, accasciato come un lampadario di sbieco nel salone col suo dolore da raccontare, con questa perenne voglia di creare immagine a sé stante, di richiamare visioni, a partire dal munaciello per insistere su tutte le fellinianità immaginabili (anzi, già immaginate - che ci faceva il "convenzionale" fratello di Fabietto in mezzo a cotanta fauna da audizione?-).


Alla fine disperdiamo anche le chicche, come il tufff tufff dell’offshore che Fabietto sembra voler rallentare ad arte, o certe mitiche vhs rimaste a prendere polvere sul tv senza telecomando.
Piange in pubblico, esibendo dolore, ma di spalle alla camera, il nostro piccolo Fabio, un pudore anche quello, ma con i singhiozzi a fare da sottotitoli, una bella immagine dove avrei lasciato intuire…
C’è tutta un’aneddotica forzata in questa mano di Dio, un déjà vu insistente di piccoli riquadri e ritagli che sfuggiranno, di delinquenza folcloristica, di mozzarelle che colano, di vespa in tre per far sorridere i profani, come le iniziazioni con la baronessa decadente e decaduta, i razzi di segnalazione sparati in cielo o le ciccione in bikini.  

La Luisa Ranieri (in Montalbano), zia Patrizia, richiama il primo Clint Eastwood (col sigaro o senza); anche lei a due velocità, con tetta o senza.

Dobbiamo corrergli dietro a Sorrentino, che non per nulla ringraziò Maradona agli Oscar - comunque gli ha scombussolato la vita - e ora cerca di segnare rivestendo Napoli di fuffa, lentezza e punizioni all’incrocio.
Regista che si altalena nelle mie preferenze, adoro assolutamente Young Pope, non riesco a collegarmi invece con le grandi bellezze, un elenco freddo di “vibrazioni”, come avevo già scritto per il suo precedente Oscar, e con questo pugno di Dio finito in rete, ribadisco le medesime sensazioni: voglia di raccontare, ma tutto a ralenty, tra pause e bradipeggi di macchina da presa, addirittura un azzardo di challenge col pibe de oro avvistato in auto, ma anche certe pieghe oniriche che lasciano il tempo di un saluto del munaciello alla stazione di Sessa Aurunca (spacciata per Formia).



Mancava un Jep Gambardella (un potenziale futuro Fabietto, contaminato dalla presunta bellezza romana), e avremmo chiuso il cerchio.
Di sicuro salvo l’eclettica e pregevole Teresa Saponangelo, giocoliera a mitigare rabbia, nei panni  della mamma di Paolo, cui il film è dedicato. Servillo, ormai feticcio di se stesso sembra sempre omaggiarsi, due toni sopra il necessario, effetto della sovraesposizione? (Ormai aspetto solo un film dove lui e Favino si impersonino l’un l’altro). Il piccolo Fabio (Filippo Scotti) se la cava, tranne in qualche eccesso, ma lo perdoniamo, in fondo lo hanno disegnato così, tra citazioni colte e zie giunoniche, in “una realtà un po’ scadente”.

La sorella uscirà dal bagno (ecco un’idea intrigante) solo alla fine. Il film, invece, rimane chiuso nella cornice di Napoli notturna e luccicosa, nel dolore in sordina di un giovane Sorrentino che ne farà  tesoro a suo modo.
Io, intanto, aspetto un altro Pope, young o meno che sia. 

"Bufala il film?! Noo, la mozzarella!"