sabato 28 gennaio 2017

LA-LALALA LA LA LAND...



Mia (una Emma Stone particolarmente lessa) glielo dice ben due volte a Sebastian (un Ryan Gosling particolarmente sprecato): “Ho visto di meglio”.
Condivido l'assunto.

Tutto sommato è un musical. E lo sapevo. 
Non mi dispiacciono i musical. 
Guardo ancora con la faccetta ammirata i Gene Kelly e le Debbie Reynolds che tiptapeggiano leggiadri.
E col tempo mi sono goduto i Grease, i West Side Story, i Jesus Christ Superstar Ora arrivano Mia e Seb che canticchiano e ballicchiano al minimo sindacale sbancando Golden Globe e Oscar?

Che sta succedendo?



Dov'è l'inghippo, l'errore, il fraintendimento.
Perché non poter guardare indietro con occhio davvero disincantato?
Perché il cinema non potrebbe sempre evolvere anche rispolverando miti celebrati?
In fondo esistono generi ben definiti e consolidati da tempo: western, poliziesco, fantascienza, guerra, comico, cartone animato, musical ed altri..


Ma il genio cinematografico dovrebbe sfruttare l'evoluzione, l'arte ed i mezzi a disposizione. Come il jazz, tanto caro al Gosling alter ego del nostro regista, che si rinnova ad ogni sessione, per creare qualcosa di nuovo e fascinoso sulla scorta dell'esperienza.

Cosa ci riscalda propone La la Land?

L'esaltazione del piano sequenza nel flash mob iniziale, il giochino di contrapposizione narrativa nel finale a celebrare l'arte che non cede al compromesso con la popolarità.


Poco altro in verità. Come accennato prima si ballicchia, si canticchia e si reciticchia.

Un paio di buoni sostegni musicali ci accompagneranno, a turno, per tutto il film, coi colori saturi, i continui rimandi ad una cinematografia che fu, le gigantografie di attori e attrici, i locali fumosi e i brividi del jazz, le audizioni dove ti distraggono in continuazione, citazioni d'epoca come se piovesse, il vintage che tracima ovunque anche se sostenuto da riprese in steadicam che garantiscono freschezza e realismo.


E poi gli occhioni colorati di Emma,
e poi il ciuffetto ribelle di Ryan,
e poi l'ambizione di Damien Chazelle.




Ho visto di meglio” dice Mia a Sebastian. 
Si. Buona la prima. La parte è tua.

giovedì 26 gennaio 2017

ARRIVAL



Qualcosa non convince.
Non c'è l'alieno, perlomeno quello evoluto, al quale ambivi da sempre, la comunicazione che ti aspetteresti, il Contact che sapevi, di Interstellar manco l'ombra dove brancolano i melliflui marzianoidi.

C'è quel gioco, spesso evocato dal film, a somma zero.
Man mano che la pellicola avanza, tu non perdi e la storia non guadagna.



Un pareggio annunciato, soffuso come le nebbie, indecifrabile come i messaggi, inchiostrato come la scrittura aliena, macchiato di evidenze non evidenti, tradotto come un sanscrito polveroso, che alla fine comunica messaggi ambigui affinché gli spettatori facciano - un po' come i bambini di Povia - ooh!.

Gli alieni evoluti scarabocchiano vetrate cercando di cose che già sanno, insegnando un futuro spiegato, a metà film dicono che fra tremila anni sarà l'uomo a dover salvare loro, e a quel punto potresti anche andare a vederti Silence nella sala a fianco della multi sala che ospita multi film con multi futuri e multi candidati ai multi Oscar.



Tom & Jerry negli Usa, Ficarra e Picone in Italia. Così vengono soprannominati i due amici multitentacolari. Dodici baccelli giganti portano in dodici luoghi diversi di un mondo ancora troppo spesso estraneo a se stesso, la richiesta e, contemporaneamente, l'offerta di aiuto.
Prevarrà la collaborazione, la paura, la curiosità, il timore, la voglia di sapere, il terrore di essere sopraffatti?
Un film già visto. E che si è già visto. In tutti i sensi.
Sia dall'inizio che dalla fine, sia da destra che da sinistra, come la scrittura a due mani evocata da Amy la linguista, dove entrambe (le mani) devono già conoscere tutto il discorso per potersi intersecare (ma qui rischiamo lo spoiler e allora ci tacciamo).



Eppoi le musiche pericolosamente mutuate dai Dead Can Dance, la fotografia frantumata di nebbia, i movimenti rallentati che reclamano gravità.
Ed un gioco come il mitico Tris di War Games. Un gioco a strategia perfetta, dove, se giochi con criterio, non perderai e non vincerai mai.

Oppure decidere di voler scientemente perdere per assaporare la strada fantastica (non si dice sempre che la vera meta è il viaggio?) che condurrà, comunque, al baratro.
Ecco un buon messaggio veicolato da Arrival: il criterio non come scienza applicata, ma come opzione, emancipazione di quell'arbitrio del quale spesso ci facciamo scudo e paladini.

Ma il meglio del film è il canguro che si chiama “non lo so”.
Quello davvero illuminante.




mercoledì 25 gennaio 2017

OSTERIA ACQUACHETA (MONTEPULCIANO)



Difficile che posti di un singolo ristorante sul blog - quasi in modalità tripadvisor - ma per una volta attingo all'eccezione e vi metto a conoscenza di un Luogo Magico, in località Montepulciano, dove non si entra solo per un bisogno primario, quello di sfamarsi, ma per condividere una percezione extrasensoriale, magari brutale e ammantata di una certa rozzezza basica, ma che rivitalizza e scuote i Sensi e il Gusto.

Un contatto col cibo che va decisamente controcorrente rispetto al trend attuale, e cioè quel rapporto quasi estatico con la pietanza: venir serviti di un'opera d'arte piuttosto che di un piatto riempito di nutrimento.
Quasi a doversi accontentare dell'estasi visiva, del colore e dell'armonia architettonica, della composizione equilibrata, dell'esatta saturazione degli spazi e delle tonalità.

All'Osteria Acquacheta nulla di tutto questo. Tovaglie di carta, un solo bicchiere per acqua e vino (rosso della casa).

Qui si mangia. Quello che dicono loro. Punto.



Atipicissimo ristorante toscano. Si, avete letto bene, a-tipico.
E lo avrete anche capito dall'introduzione.
Erano anni che volevo mangiare in questa osteria, rinomata e ambita, nel cuore di Montepulciano, ma già il fatto di dover prenotare giorni prima, mi aveva scoraggiato.. stavolta no, ci siamo impegnati e siamo riusciti a strappare il consenso per uno dei due inflessibili orari serali (19,30 e 21,00).

Se arrivi dopo sei fuori, se arrivi prima non entri.



Un'ottantina di posti in un locale spartano e informale dove ci si siede tutti insieme, menù abbastanza limitato ma... FANTASTICO.

Si viene da Acquacheta soprattutto per la “ciccia”, e ragazzi.. mai mangiato carne più buona, poco da girarci attorno, le bistecche, i filetti, qualsiasi taglio, te lo fanno vedere prima di cuocerlo, puoi negoziare giusto peso e tipologia, ma non la cottura: su quella decide lo chef, decisamente al sangue, ma di una tenerezza unica (la vuoi ben cotta? Prego si accomodi altrove...),  il famoso “ti si scioglie in bocca”, qui esalta tutta la sua essenza ed elimina paragoni, memorie e concorrenti per anni a venire.

Tutto qua. 
Inutile dilungarsi. Locale ASSOLUTAMENTE da non mancare. Il resto è fuffa.


L'unico consiglio, per quanto stupendi anche i primi, possibilmente, limitatevi agli antipasti, e uccidetevi di “ciccia”. 


martedì 24 gennaio 2017

LA BELLEZZA COLLATERALE C'E'...


Ci troviamo davanti ad uno di quei film massacrati, soprattutto dalla critica. Quel filone di critica alla quale spesso mi accodo pervicacemente.
Be', stavolta gioco contro corrente. Collateral beauty mi è piaciuto assai.
Mi ha coinvolto, incartato, “tirato dentro” e mollato solo alla fine.
Probabilmente reso incapace a sormontarne trucchi e parrucchi, espedienti e messaggistica subliminale, inabile a decifrarne i quantitativi abnormi di carne al fuoco esposta, inadeguato a difendermi dalla melassa versata su tutti i meccanismi e le giunture di regia.
Un film che se solo gli tendi una mano ti trascina in un gorgo di buonismo senza uscita.


Ecco. Io sono voluto affondare in questa dimensione. Tassello anche io di un domino gigante, non sono riuscito a - o non ho voluto - sottrarmi, inceppando in qualche modo il perverso meccanismo.
Volendo giocare al gioco dei detrattori, voglio scoprire la bellezza collaterale di un prodotto “furbo”, che picchia di citazionismo esasperato, che mette sul piatto fior di attori, seppur sottoutilizzati, che estremizza i sentimenti umani evidenziando tutte le corde da tirare, dall'elaborazione della perdita, alla scoperta della malattia, alla frantumazione dei rapporti familiari; dalle crisi lavorative, all'esaltazione del prenderla con filosofia, al recitare della nostra vita, fino al vivere recitando, in un metodo Stanislavskij che intreccia palco e marciapiede fino a confondere chi recita e chi, in teoria, è spettatore.


Collateral beauty è una fiaba, non un thriller dall'oliato meccanismo, e se ci sfugge l'assioma, possiamo serenamente seppellire il film in un amen.
Ma anche noi andiamo a caccia di bellezza collaterale, di gentilezza e pacatezza d'animo. Cerchiamo quell'equilibrio che non ci renda sfrontati e pessimisti, che non ci cristallizzi nell'immobilismo, aspiriamo a quella serenità che appare, a volte confusa, dietro ogni contrattempo, perché accade sempre qualcosa di nuovo, perché noi siamo i protagonisti, e perché Amore, Tempo e Morte - i co-protagonisti perenni della nostra vita, celebrati e temuti - recitano a braccetto con noi, forniscono la battuta quando la memoria difetta, subentrano in scena quando la noia attanaglia, spengono i riflettori quando siamo stanchi dei fischi di disapprovazione, o capiamo che serve solo un applauso.

Certo è un messaggio antico quello che traspare dallo schermo, anche se fa appello a tutti i ghirigori tecnici che il cinema permette.
Una messinscena calcolata, scaltra quanto basta.
E stavolta è bastata.




lunedì 23 gennaio 2017

VUOI METTERE?

Ora va bene Trump, la neve, i terremoti, i ritardi nei soccorsi, la Juve che vince, il traffico, il lavoro,
Salvini, la pensione a 70 anni, Grillo, gli immigrati, il Debito... va bene tutto...

ma quelli che ciancicano incessantemente l'involucro delle patatine al cinema?!?

VUOI METTERE?!?

  

TRE STORIE D'AMORE (TRUCCATE)


PASSENGERS
Una storia d'amore truccata da film di fantascienza.
Passengers coglie l'attimo, e la trucca pure bene, con Pratt e la Lawrence che si barcamenano discretamente, considerando che per gran parte del film se la devono sbrigare da soli soletti e l'unico col quale confrontarsi è un barista androide.
Disperazione, senso di solitudine, vergogna, paura e impotenza sono nodi che vengono tutti al pettine e coinvolgono nostro malgrado, perché in fondo ci siamo anche noi chiusi su quest'astronave lanciata nel nulla cosmico, in una sospensione spazio temporale che pur appellandosi a infinite pellicole precedenti, da Cast away a The martian, si autodetermina nel suo dramma che non prevede lieto fine, ma solo un cosciente e confinatissimo, seppur dorato, sopravvivere.



ALLIED
Una storia d'amore truccata da film di spionaggio.
La struttura giallo/spionistica paga, purtroppo, un dazio pazzesco, per poter giustificare l'intensa liason tra Marion Cotillard e Brad Pitt. E alla fine non ci rimette solo l'Angelina Jolie (che poi non so quanto, in realtà, anzi in soldoni, ci abbia “rimesso”.. ma questo è un altro film.. ), ma ci rimettiamo sicuramente noi costretti ad assistere alla mattanza della logica più elementare ed al trionfo delle incongruenze.
E mi dispiace soprattutto per Zemeckis, complice del fattaccio stavolta, lui che solitamente non sbaglia un colpo, e si accolla, anzi, il rischio di dirigere “inediti” e di tentare l'inenarrato.
Non so cosa abbia affascinato Robert in questo filmetto, quali tematiche, quali dinamiche, a quali lacci contrattuali sia stato, forse, indotto ... non nego che parta bene ma poi... come ribadito inizialmente, il castello se ne vola via come investito da una tempesta di sabbia desertica...



CAROL
Una storia d'amore truccata da unione civile
Ormai non si scandalizza più nessuno, ma una volta se ti innamoravi di qualcuno del tuo stesso sesso, erano problemi, e non solo etici.
La storia d'amore andava avanti lo stesso, ma a differenza di quelle convenzionali, non c'erano solo – come ci sono oggi – cuori che palpitano, epidermidi che vibrano. Ma anche difficoltà di integrazione sociale, di accettazione, di comprensione.
Carol viaggia a scarto ridotto: emozioni col freno tirato, una mano sulla spalla dell'una, e l'occhio sognante che si chiude, dell'altra, tutto reiterato a più riprese, non possono narrarci della difficoltà di un rapporto ambiguo e ancora troppo trasgressivo.
La raffinatamente mascolina Cate Blanchett invaghita di una malleabile, rapita, lacrimevole e tenerotta Rooney Mara, non bastano a fare una storia d'amore, figuriamoci un film.
Senza la deliziosa e trascinante colonna sonora e una fotografia intrigante e paragnosta, che si dedica a tutti vetri, i finestrini e i riflessi possibili, staremmo a parlare di pura fuffa cinematografica.



sabato 21 gennaio 2017

ABRUZZO IN LACRIME



Impazza la polemica sui social, tra chi - come me - getta benzina sul fuoco sui ritardi degli interventi, sull'incapacità di salvaguardare zone flagellate dal terremoto, dove anche soli cinque centimetri di neve avrebbero rappresentato un disagio enorme, dove sorteggiano le "casette" come noi giochiamo al Gratta e Vinci.

E chi invece accusa quelli con le chiappe sul divano - sempre come me - di saper solo buttare la croce su gente che si fa un mazzo tanto per aiutare il prossimo.

Io credo solo che la prevenzione sbandierata dai nostri politici dal 25 agosto mattina in poi non c'è stata.

Credo che dobbiamo sempre affidarci agli eroi del momento - quelli che arrivano al Rigopiano con gli sci e scavano con le mani per salvare vite tutta la notte.

Credo di essere stufo.

Veramente.