Ci
concediamo anche un'entrata serale, di domenica, per goderci il
rutilante Albero della Vita col suo spettacolo di luci e acqua.
Ed
è mossa azzeccata. Perché bersi prima nove ore di
padiglioni, potrebbe stendere chiunque.
Invece
rimaniamo abbagliati dal simbolo dell'EXPO - che pare traslocherà a
Dubai a fine giochi, e non nel Burkina Faso, dove, se fosse magico,
farebbe decisamente più comodo - e ci prepariamo, il giorno dopo,
alla full immersion del giro del mondo in ottanta e passa padiglioni.
Lunedi
mattina, pronti via: l'impressione è di trovarsi tra Gardaland e
una carnascialesca sfilata di Viareggio, si passeggia frenetici e
sono gli involucri dei padiglioni, architetture spesso più bizzarre
che ardite, a sfamare l'occhio, perdendo per strada il concetto
teoricamente prioritario, di sfamare il mondo.
E' la festa
del feticcio attira visitatori: Albero, Vialoni (denominati Cardo e
Decumano in omaggio all'urbanizzazione romana a croce), Padiglioni.
E Cibo
soprattutto: in teoria quello da recuperare, da moltiplicare, da
curare, da conservare, da distribuire equamente nel nostro mondo che
viaggia a due velocità ormai ben distinte: i troppo ricchi e i
troppo poveri.
In pratica
salta all'occhio - e al palato - il pronto consumo, il take away,
l'asporto selvaggio, il consumo compulsivo, la scorta infinità a
chilometri zero, ogni declinazione dal dolce al salato.
Ti vendiamo
tutto. Anche l'acqua che pure è distribuita gratuitamente. Se sei
pigro la compri.
Si mangia
dappertutto qui in Expo. E non necessariamente a prezzi proibitivi,
si può spuntinare e spiluccare di-tutto-di-più senza svenarsi..
peccato imperversi quest'esaltazione del bengodi in netto contrasto
con le prospettive del mondo affamato, tragicamente al palo.
Anche negli
stand più poverelli, l'angolo del frittino da piazzarti, non manca
mai..
Urgerebbe
inversione di tendenza.
Educazione
della e dall'infanzia, ma quello che si scorge è soprattutto cura
del proprio orticello - anche non figurativo - nel senso che l’altro
“orticello”, quello globale, quello del mondo affamato che
andrebbe sostenuto e coltivato, rimane rovinosamente brullo...
Chissà
quanti di questi adolescenti pasciuti, che scorgo in fila dallo
sponsor (?!) McDonald's o nutellarsi allo stand Ferrero hanno ben
chiaro il concetto, assurdo a ben pensarci, del morire di fame.
Chissà in
quanti usciranno stasera con l'idea, e la voglia, di sprecare meno..
Ma veniamo
alla cronaca più leggera.. i Padiglioni sono i reginetti
incontrastati della festa: tanto legno, specchi e laminati a gogò,
geometrie spesso contorte da non capire manco dove si entra.
All'interno multimedialità come se piovesse, video, audio, foto e
filmati, ologrammi, giochi laser, scale e corridoi, tende e ante a
scomparsa, un botto di piante, piantine e pianticelle (il verde che
non vorrebbe morire..) e l’immancabile ristorantino etnico,
spessissimo aria condizionata sparata a mille, e poi ancora luci,
musiche, app interattive, tavole virtuali, giochi d’acqua;
ma vere
botte creative si percepiscono, sensibili e spiazzanti, da Corea e
Giappone.. commistione di poesia e tecnologia di grandissimo impatto,
il fascino esotico invece, emana copioso, ad esempio, da Nepal e
Malaysia dove rimaniamo come sospesi in altri mondi, complici
architettura e suoni che ci astraggono, per un momento, dal caos
imperante..
Tra i
padiglioni più inutili vincono alla grande gli USA, con splendide
scale mobili per salire due piani di nulla e ridiscenderne ancor più
velocemente e, ahimè, il padiglione Italia, il più grosso e
frescone di tutti, dodicimila metri quadri di pura fuffa.
Bypassabilissimo, considerando che l’ora di fila per visitarlo,
grida una tremendissima vendetta..
Curiosi e
interessanti i padiglioni di mondi lontani, che ti immergono in
atmosfere sconosciute, come l’Oman ad esempio, che tenta con
successo di cavare il classico sangue dalle rape bonificando ettari
di deserto.
Peccato che
di rado si avverta questo invito all'ottimizzazione delle risorse,
alla razionalizzazione delle produzioni, alla cultura del riciclo,
come ammiriamo nello spazio Irlanda, paese che eccelle nella cultura
della sostenibilità.
Più spesso
ci si limita ad una vetrina ad impronta pubblicitaria e questo è,
purtroppo, il lato che rimane impresso all'occhio meno accorto.
Splendido il
Padiglione Zero, che troviamo ad inizio percorso, delicato e
sensibile omaggio al lavoro e alle risorse di quel mondo che dovremmo
preservare ma anche spietata denuncia degli sprechi e del disastro
ambientale che incombe.
Forse
l’unico padiglione dal quale si esce col magone per il destino del
mondo.
Ma anche
rimpianto per quelli che avremmo voluto/dovuto vedere, Kazakistan su
tutti - ma la fila era veramente da bollino rosso, attirata da
tulipani, storioni e cinema dinamico in 4D -, l’Austria col
padiglione nella foresta o quello dell’Ungheria, a forma di arca e
chissà quanti altri.. ma un giorno è veramente poco.. e anche
trottando di gran lena non si può vedere tutto...
Una cosa è
certa. Di questa visita milanese, ben più radicato dell’EXPO,
rimarrà l’impatto emozionale offerto dal Cenacolo Vinciano.
Un miracolo
di Leonardo che a oltre cinquecento anni di distanza, sorprende
ancora per la grazia e la leggerezza che infonde.
Probabilmente
questa l’autentica “esposizione permanente” da non perdere.