Lo avevamo
lasciato, Woody, a compiacersi sulle ceneri del suo cinema che fu. Lo
ritroviamo devastante oggi, complice una mostruosa Blanchett, che
catalizza e permea di se l'intera pellicola, in una storia
accartocciata su se stessa, labirinto senza uscita, dove anche il
lieve bagliore di fine tunnel si rivela gioco di specchi ad
infrangere di nuovo ogni speranza.
Woody
abbandona le camilleristiche velleità di giallista alla buona e si
adagia nell'ecletticità del dramma che solo un grande umorista può
elevare ad icona.
E frega due
volte lo spettatore che, in perenne attesa della svolta sarcastica,
si vede man mano immerso nel calco tragico di una vicenda volutamente
a cul de sac.
Sullo
sfondo, il contrasto tra classi, il distacco di sentimenti, il solco
che sempre più avvertiamo anche noi, tra ricchi e poveri, semplicità
e spocchiosità, onestà e cinismo.
Allen, su
questa ragnatela sociale, cala, anche se talvolta con prevedibili
conseguenze, l'asso della contaminazione rifiutata, facendo emergere
magistralmente attriti ed incongruenze in maniera molto più
realistica ed efficace di tanti venerati maestri del dramma.
Le montagne
russe della diversa scala sociale vengono abilmente percorse
coinvolgendo a strappi lo spettatore, anche con l'ausilio di esatti
flasbacks.
Certo di
peli nell'uovo ce ne sarebbero, ma siamo talmente oltre le ultime,
supponenti, prove che la soddisfazione traspare lampante e perdoniamo
tutto.
La nostra
Jasmine, che ha preso una strada “diversa dalla sorella” non ci
si trova proprio a combattere in un’altra dimensione.. un po’
come la Lazio a lottare per la retrocessione.. ma Woody ce la
disegna molto estrema, amante dei capi “firmati” e con la testa
tra le nuvole riguardo i magheggi del marito, ma anche fredda e
cinica quando si tratterà di abbandonare i deliri sognati e di
rivelarsi di nuovo donna e disponibile “sul mercato”.. rimaniamo
dell’idea che la stratosfericità della Blanchett supplisca da sola
a qualsiasi stortura sceneggiatoriale; una Cate in stato di grazia
che istrioneggia e gigiona come non mai sfruttando tutta la gamma
degli stati d’animo, delle incomprensioni, degli imbarazzi, delle
sbavature, dei tipici tic alleniani, delle ribellioni, ben coadiuvata
dai chirurgici flashbacks che la vedono, in alternanza, ora vittima e
ora carnefice.

L’impressione
monella è che Woody, una volta in partita, voglia strafare,
allentare ogni tanto il solido guinzaglio di una belva ormai ridotta
in deturpante cattività senza permettere mai che il volo
ri(spicchi), ma su questa falsariga, alla fine spina dorsale del
film, deve rinunciare anche lui al minimo sprazzo che, come accennato
prima, lo spettatore attende fin quasi alla fine, come a smascherare
questo tormento denso.
Al termine
non si sottrarrà all'ultimo, melodrammatico, atto - sfida definitiva
di chi non depone le armi neanche a guerra terminata - utile se non
altro a sottolineare nuovamente le differenze di destino, aspettative
e casta che separano inesorabilmente Jasmine da quel tesoro di sua
sorella
Giusto un
ultimo interrogativo: avremmo ottenuto lo stesso risultato senza
questa mastodontica Cate?